Torino. Azione antimilitarista al monumento agli alpini



Torino. Azione antimilitarista al monumento agli alpini

All’angolo tra corso Ferrucci e corso Vittorio Emanuele c’è un giardinetto
intitolato agli artiglieri di montagna. Nel centro c’è un orrendo
monumento alla guerra: in alto l’aquila simbolo degli artiglieri, in basso
una targa arrogante e triste “i nostri morti vivono e comandano”.
Nella nottata tra il 2 e il 3 novembre al collo dell’aquila è stato legato
un lungo drappo insanguinato.
Davanti alla targa ne è stata posta un’altra “diserta!”.
Sul retro dove un’altra targa ricorda le sanguinose imprese coloniali
dell’Italia e le due guerre mondiali è stata vergata la scritta “4
novembre festa assassini!”.

Alla vigilia del quattro novembre alcuni anonimi antimilitaristi hanno
voluto ricordare che l’Italia è in guerra e che c’è chi, in nostro nome,
uccide, bombarda stupra, tortura. Oggi in Afganistan, ieri in Iraq, in
Somalia, Libano, Grecia, Albania, Libia, Eritrea… Ma, oggi come allora c’è
chi diserta le guerre, chi si oppone al militarismo, nelle nostre strade
come in Afganistan.
Via gli alpini da Torino, via i militari dall’Afganistan!
No a tutti gli eserciti!

Qui le foto scattate da un insonne reporter di passaggio:
http://piemonte.indymedia.org/article/10513

L’Italia è in guerra. Lo chiamano “peace keeping” ma è guerra. Là, in
Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A
morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei
petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
Raccontano la guerra nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento
umanitario, ma la quotidianità è un’altra: i dossier americani diffusi in
questi giorni da wikileaks dimostrano quello che già sapevano: i militari
italiani in Afganistan combattono tutti i giorni, senza troppi riguardi
per i la popolazione inerme.
Il ministro della guerra il (post) fascista La Russa vuole impiegare anche
i bombardieri, come il democratico D’Alema in Serbia. Pochi sanno che da
alcuni anni l’esercito italiano in Afganistan usa gli elicotteri d’attacco
Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco
un intero villaggio.
Ma qui, in Italia, si parla dell’Afganistan solo quando un ben pagato
professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi
umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione
a coniugi e figli.
A Torino da ben due anni l’esercito pattuglia le strade. La chiamano
sicurezza ma ha il sapore agre di un’occupazione militare. Il confine tra
guerra “interna” e guerra “esterna” è ormai caduto. Nel mirino sono i
poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla
devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse.
In ogni angolo della penisola si militarizza il territorio e si trattano i
cittadini in rivolta come delinquenti. È la guerra. La guerra interna.
Serve anche questa a mantenere la pace, la pace sociale.
I protagonisti sono i medesimi della Somalia, dell’Iraq e dell’Afganistan.
Sono i reduci dalla battaglia dei ponti di Nassirya, dove un’ambulanza con
una partoriente venne crivellata di colpi, sono i reduci dell’Afganistan,
dove sono normali le irruzioni nelle case e le uccisioni dei civili,
sempre tutti terroristi, bambini compresi. Sono quelli della Somalia con
le torture fotografate per diletto e vanteria. Sono assassini di
professione.
La propaganda della paura, che ci vorrebbe nemici dei più poveri, degli
ultimi arrivati costruisce il consenso intorno alla barbarie bellica.
Stiamo sempre peggio, tra lavori precari e in nero, senza tutele e senza
sicurezza, ma ci convinciamo che i nemici siano quelli che stanno peggio
di noi, non i padroni che ogni giorno lucrano sulla nostra vita. Bisogna
rompere la propaganda di guerra, costruendo ponti solidali tra gli
oppressi e gli sfruttati. Un lavoro quotidiano, difficile, concreto.

I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno.
La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato
l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei cento
cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose
utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra
parte del mondo. Anche il bilancio della difesa è in costante aumento.
Negli ultimi quattro anni soldati in strada, missioni all’estero,
finanziamento per nuovi sistemi d’arma hanno assorbito una montagna di
soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record
del costo più alto per i cittadini, ben 689 dollari a testa. La spesa
militare complessiva si aggira intorno ai 24 miliardi di euro. Cifre da
capogiro.
Provate a immaginare… cosa si potrebbe fare con quei 689 dollari.
Immaginate la scuola dei vostri figli, l’assistenza per gli anziani, i
treni dei pendolari…

Opporsi alla guerra senza opporsi al militarismo, senza opporsi
all’esistenza stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali,
è mera testimonianza.

Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo
eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono
caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi. A partire dalle
nostre piazze dove campeggiano come “eroi” le statue dei macellai di tutte
le guerre: simboli da cancellare perché il militarismo è un’aberrazione
indecente.

Sabato 6 novembre
dalle 10 punto info antimilitarista
al Balon – via Andreis angolo via Borgodora

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46
La sede è aperta ogni giovedì dalle 21
Info: fai_to at inrete.it