Grecia. Un popolo di pazzi ? Punto info solidale lunedì 17



Grecia. Un popolo di pazzi? Punto info solidale lunedì 17

Lunedì 17 maggio ore 15,30/
“Un popolo di pazzi?”
punto info solidale con la lotta dei lavoratori greci
15,30/19 – di fronte a Palazzo Nuovo - via S.Ottavio

Atene in fiamme. Così titolavano i principali quotidiani all’indomani
dello sciopero generale e delle proteste con le quali i lavoratori greci
hanno accolto il piano di austerità voluto dal premier socialista
Papandreu per ottenere dall’UE e dal FMI il prestito di 110 miliardi
necessario ad evitare la bancarotta e, incidentalmente, il conseguente
tracollo delle banche europee.
La crisi greca ha riportato al centro del dibattito la questione sociale.
Nascosta tra le pieghe di una sfera pubblica da decenni pacificata a
forza, ridotta a mero rumore di fondo nelle rievocazioni dei Sessanta e
dei Settanta, come una sorta di errore dal quale il “Paese” ha saputo
emendarsi, ri-emerge nei discorsi grazie al potente detonatore greco.
Basta scavare nel linguaggio che ci governa per cogliere la potenza della
lobotomia della quale siamo stati vittime, ben più grave del revisionismo
che rilegge la Resistenza, il Sessantotto, piazza Fontana, il
Settantasette.
Da quanto tempo chi ci governa blatera di interessi “comuni” tra lavoro e
capitale, di difesa della “nazione” e simili sciocchezze? Da quanto tempo
ci chiedono di pagare in parti uguali il conto dei padroni, degli
imprenditori pubblici, dei politici, dei militari? Da quanto tempo i più
pensano che tutto questo sia “normale”? O, comunque, ineluttabile? Da
quanto tempo questo sistema sociale pare il migliore, l’unico possibile?
“Il Giornale” racconta la crisi greca. Il testo, nella sua brutale
semplicità, è più chiaro dei pietosi corsivi di Repubblica. “Vediamo in
poche parole di dire ciò che sta avvenendo. La Grecia è fallita. Ha
contratto debiti superiori alla ricchezza che produce in un anno. Ma il
problema è che ogni mese deve rifinanziare questo enorme mutuo, non avendo
i quattrini per farlo. L’Europa, con qualche titubanza di troppo, le ha
fatto un prestito a un tasso ridotto della metà rispetto a quello che oggi
Atene spunta sul mercato. In cambio, ha preteso che il governo mettesse un
po’ d’ordine nei suoi conti: un bel po’ di spese in meno e qualche entrata
in più. E un popolo di pazzi si è riversato sulle strade per dire che non
ci stava.”
“Un popolo di pazzi”. Così scrive il vicedirettore de “Il Giornale”,
Nicola Porro.
Una pazzia che sono in molti a temere contagiosa.
Può essere interessante guardarla più da vicino, la follia greca.
I lavoratori greci si oppongono alla riduzione del salario,
all’allungamento dell’orario di lavoro, all’innalzamento dell’età
pensionabile, alla riduzione delle garanzie, all’aumento delle tasse sui
beni al consumo e sui carburanti, alla fine della contrattazione
collettiva. In altre parole si oppongono ad un pacchetto di misure
destinate “a cambiare per sempre la (loro) vita”, come dice con insultante
leggerezza Repubblica. Si rifiutano di stare peggio, si rifiutano di
pagare la crisi dei padroni. Si rifiutano di considerare “privilegi” il
poco che hanno. In Grecia un giovane su cinque vive al di sotto della
soglia di povertà.
I nababbi che lavorano per la pubblica amministrazione guadagna(va)no
intorno ai mille euro al mese: con il piano di austerità ne prenderanno
800. L’eliminazione di straordinari e bonus porterà ad una riduzione della
retribuzione di quasi due stipendi. E, loro, egoisti, piantano casino,
scioperano, assediano il parlamento, gridando “bruciamolo!”.
I “realisti” di turno sostengono che non vi sia via d’uscita, che la
bancarotta è alle porte. Dimenticano, volutamente, di dire che la
restituzione di un prestito dipende da quanto forte e grosso è chi lo
esige. La Polonia e, poi, più recentemente, l’Argentina si sono limitate a
dire “non pago”, o, meglio, pago il “giusto”. L’Argentina ha offerto 30
centesimi per dollaro dovuto e i creditori hanno incassato. Della serie:
meglio pochi che niente.
Qui da noi i vari giornali suonano tutti la stessa litania, sperando,
sotto sotto, che i greci, con le buone o con le cattive, la smettano di
resistere. E di dare il cattivo esempio. Dalle nostre parti, come
dappertutto in Europa, il boccone amaro che vogliono far inghiottire tutto
intero ai greci, lo abbiamo mandato giù, pezzo dopo pezzo, ormai da tempo.
Ogni volta la logica dei “sacrifici” necessari per il “bene comune” ci ha
portato via un po’ di reddito, qualche manciata di libertà, i margini di
autonomia presi a forza da chi, nei posti di lavoro, come nelle strade, ha
lottato contro un sistema che garantisce – a volte – la sopravvivenza a
chi con il suo lavoro rende ricchi i ricchi.
Il governo italiano ha approvato il piano di sostegno alla Grecia proposto
dall’UE: una roba che suona bene, benissimo ma nasconde una legalissima
truffa ai danni di chi lavora. In Grecia come in Italia. I soldi prestati
alla Grecia per il “salvataggio” vengono dalla finanza pubblica, ossia
dalle nostre tasche, ma nemmeno un euro andrà a sostenere il reddito dei
cittadini di uno dei paesi più poveri d’Europa, perché tutto il malloppo
di cinque miliardi e mezzo stanziati dall’Italia è destinato agli istituti
di credito con cui è indebitata la Grecia, che sono soprattutto in
Germania e in Francia ma anche in Italia.
Tradotto in altri termini ognuno vedrà una parte del proprio salario,
quella che ai dipendenti è sottratta alla fonte, destinata al “soccorso”
della Grecia, finire nelle casse delle banche tedesche, francesi o
italiane. In altri termini ancora: il governo ha deciso che ogni
lavoratore italiano faccia un regalo alle banche europee che hanno crediti
verso la pubblica amministrazione greca. Ai lavoratori greci, non resta
che ringraziare e, in silenzio, pagare. E, per loro, niente cintura di
salvataggio, niente giochi a tresette finanziari. Solo lacrime e sangue.
La crisi, in Grecia come da noi, morde la vita di tanti, di troppi,
chiamati a pagare senza nemmeno la promessa di una ciambella di gomma.
Se non arrivo alla fine del mese e non pago la bolletta della luce, resto
al buio, non riscaldo l’acqua con il boiler, non accendo il computer, non
alimento la batteria del telefonino… poco male visto che non ho i soldi
per ricaricarlo. Se non pago il mutuo o il fitto, resto senza casa,
finisco in strada.
Chi perde il lavoro, e sono sempre più, prima o poi resta senza tetto. A
Torino, la mia città, nell’ultimo anno sono aumentati del 22% gli sfratti
per morosità. Tradotto in cifre umane significa che i procedimenti di
sfratto sono stati 3029. Calcolando una media di tre persone ad
abitazione, significa circa 10.000 senza casa in più. Il comune ha
tagliato i fondi per il sostegno alla famiglie in difficoltà, perché
preferisce spendere in operazioni più remunerative sul piano
dell’immagine, come la kermesse della Sindone. E le cose non vanno certo
meglio altrove. Capita persino che qualcuno ce la faccia a mettere insieme
i soldi per pagare gli arretrati ma non abbia i 1.500 euro per l’avvocato
e venga quindi ugualmente sfrattato.
Da noi la polverizzazione di ogni futuro altro consegna ciascuno alla
solitudine della propria condizione, all’irrilevanza sociale e politica di
un mal vivere che è di tanti, alla retorica razzista della Lega Nord, che
peraltro pronuncia senza troppi infingimenti il lessico comune di
un’intera classe politica, un lessico velenoso che ammorba a fondo il
corpo sociale, che obnubila la solidarietà, che annega la distinzione tra
chi ha troppo e chi nulla.
La possibilità di rompere quest’ordine ingiusto, prevaricatore, che
inghiotte le vite di tanti pare dimenticata, relegata in un passato con il
quale si sono recisi i legami, spezzati i fili della memoria viva, quella
memoria che, ricordava in occasione del 25 aprile un compagno, è
inesauribile nostalgia del futuro.
Al di là del canale di Otranto hanno deciso di resistere, di non pagare la
crisi, di mandare al diavolo i piani dell’UE e del Fondo Monetario
Internazionale. E tutti tremano. Tremano nei consigli di amministrazione
delle banche e delle aziende, nei parlamenti, nei governi. Ma quello che
li preoccupa non è certo l’indice Dow Jones o il Nasdaq. Quello che li
inquieta è il riemergere della questione sociale.
La posta in gioco è alta, altissima. E non si misura certo in termini di
mutui e prestiti, bancarotta o “sistema paese”. È il vecchio scontro tra
sfruttati e sfruttatori, che si ripropone nella sua brutale semplicità e,
con altrettanta semplicità, allude ad un mondo senza più sfruttati né
sfruttatori.
Robe da pazzi. Un popolo di pazzi che in questo maggio lotta per se e per
tutti.

Altri appuntamenti:
Per i lunedì della resistenza antirazzista.
Lunedì 24 maggio
ore 21 in corso Palermo 46
Resistenza rom a Milano: la lotta contro gli sgomberi.
Interviene Antonio D’Errico del Comitato Antirazzista Milanese

Due lunedì al mese (uno sì e uno no) – assemblee informative e punti info
antirazzisti.

Federazione Anarchica – Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to at inrete.it