Il male terribile della sinistra italiana secondo Richard Drake: riformismo e revisionismo varianti socialiste del capitalismo
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- Date: Mon, 15 Jun 2009 00:58:15 +0200 (CEST)
Il male terribile della sinistra italiana secondo Richard Drake: riformismo e revisionismo varianti socialiste del capitalismo | ||
di Salvatore Sechi Nella storia della sinistra italiana ha prevalso la tradizione rivoluzionaria marxista.Da Carlo Cafiero arriva alle Brigate rosse, passando per i Labriola, Mussolini, Bordiga, Gramsci e Togliatti.I tentativi di armonizzare il marximo con la democrazia e il liberalismo sono stati minoritari.Il primato dell’ideologia sulla realtà. Ridurre la vittoria del centro-destra in Italia ad un episodio elettorale, ripetuto,significa non rendersi conto della grande discontinuità avvenuta nel corpo della società e negli orientamenti ideali che il voto segnala. Il centro-sinistra continua a banalizzare il successo dell'alleanza creata da Berlusconi con Fini e Bossi e ridurre tutto alla personalizzazione del potere (dimenticando le pagine di Max Weber sul carisma del leader), ad un coagulo di meri interessi personali. In questo modo credo che si punti a mitigare l'ampiezza politica, culturale e antropologica della propria sconfitta. Ad aiutarci a mettere in prospettiva i mutamenti avvenuti nell’elettorato negli ultimi 15-20 anni è uno dei maggiori storici dell'Italia contemporanea, Richard Drake (Apostoli e agitatori, Le Lettere, Firenze, Euro 35). Grazie alla distanza che lo separa dalle aule in cui fa lezione e ricerca, dell'università del Montana, nel Nord degli Usa, Drake ha potuto ravvisare nel rapimento e nell'uccisione di Aldo Moro un episodio altamente sintomatico del desiderio smisurato di molti italiani,soprattutto degli intellettuali,cioè di disfarsi del capitalismo e, vorrei aggiungere, del liberalismo. Drake coglie la differenza dell'Italia rispetto agli Stati Uniti e ad altri paesi che hanno avuto a che fare con sommovimenti come la guerra del Vietnam,il razzismo, il consumismo, la repressione sessuale, nel clima prolungato di violenza politica che il nostro paese ha dovuto sopportare. Credo che il confronto andasse fatto con altri due paesi cattolici, che hanno,anch’essi, subito una lunga guerra civile, l'Irlanda e In essa, come in Italia, la guerra civile prese le sembianze di una guerra di classe, cioè ebbe un carattere anti-capitalista e anti-liberale. A ragione, Drake rileva come esso si sia incarnato nella tradizione del marxismo teorico, cioè in una cultura rivoluzionaria che la sinistra fece propria e, grazie al contributo dell'elite intellettuale, socializzò ampiamente in ogni ceto sociale :"Il paese si era dato un sistema di valori di estrema sinistra che diede forma alla rab bia, alla frustrazione e alla delusione delle giovani generazioni"(p.7). In altri paesi, come Drake coglie un elemento importante quando rileva come da nessuna parte come in Italia gli intellettuali ebbero, in seno ai partiti di sinistra, come mediatori politici, un ruolo tanto prezioso. Ciò dipese dal fatto che il destino della storia è sempre oggetto di guerre culturali, in cui si manifesta il contrasto tra diverse visioni del mondo che gli intellettuali hanno il compito di elaborare e conservare nel tempo. Drake offre una galleria di questi interpreti e mediatori.A cominciare da Marx, poi Carlo Cafiero, i due Labriola (Antonio ed Arturo), Benito Mussolini, Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. La presenza di Mussolini può lasciare perplessi. Egli, infatti, non essendo un intellettuale non ebbe alcun peso nell’adattare il marxismo teorico alla situazione italiana. Ma come giornalista di rango, popolarizzò le idee di G. Sorel e dei sindacalisti rivoluzionari sulla necessità della violenza come unico mezzo per creare una società socialista. Drake è molto coraggioso nel chiudere il naso in presenza dei miasmi del dibattito culturale e storiografico italiano. Sono gli anni Sessanta quando una sinistra faziosa e provinciale ha cercato di rappresentare il fascismo come una rivoluzione (anzi vera e propria reazione) conservatrice. La criminalizzazione delle ricerche storiche di Renzo De Felice su Mussolini e sul consenso al fascismo fu l’autodifesa di una cultura, quella antifascista, che aveva introiettato l’egemonia del comunismo.Essa si espresse sempre nel rifiutare l’anti-comunismo come un atteggiamento ed una cultura non democratica, anzi anti-democratica. L’antifascismo italiano non ha mai saputo fare a meno dell’alleanza con i comunisti. In questo modo ha insegnato a credere che si potesse combattere una dittatura di destra con una dittatura di sinistra. L’Italia è il solo paese dell’Europa occidentale in cui abbia avuto luogo questa forzatura della storia. Infatti, sono stati gli antifascisti a garantire quanto i comunisti non avrebbero potuto riuscire a far credere, cioè che destra e sinistra, Mussolini e Stalin, non si potevano porre sullo stesso piano, cioè che la dittatura comunista era un processo di liberazione il cui sbocco finale era l’ affrancamento e la libertà. Perciò il mito sovietico in Italia è stato così esteso e durevole. Che il fascismo avesse potuto conquistare il consenso di grandi masse, come sostenne De Felice, significava riconoscere che non esisteva una visione uniforme, ad una dimensione, del regime fascista, e che esso poteva essere “riformato” senza una cura radicale, sostitutiva, come quella prescritta dal comunismo. Fu Churchill a perorare la causa di una fascismo senza Mussolini. L’intervento, sul quotidiano l’Unità, con cui un dirigente comunista come Giorgio Amendola impedì l’ emarginazione e la demonizzazione di De Felice fu il segno che il Pci non aveva bisogno delle paure, dei timori dell’antifascismo. Era in grado di dominarlo quanto bastava per accettare una storia del fascismo come quella di De Felice che non era passata attraverso gli stampi del vecchio antifascismo. Drake recupera il fascismo come uno dei volti assunti dalla sinistra rivoluzionaria italiana in cui, a differenza che nel comunismo, l’elemento della nazionalità non è sopraffatto da quello dell’internazionalismo. E il socialismo “poteva essere anti-marxista e nazionale”, come scrisse sul “Popolo d’Italia” nel dicembre 1917. Era nato il Lenin italiano. Analogamente Gramsci teorizzerà l’idea che la conquista del Palazzo d’Inverno fosse “la rivoluzione contro Il Capitale”, diventato in Italia il vangelo dei borghesi,cioè una dottrina dell’immobilismo, una lectio sacrae paginae conservatrice. Il culto della realtà, il suo primato rispetto alle regole codificate nei testi sacri, porta al vitalismo, all’attivismo, facendo prevalere sulla ragione le emozioni, gli stati d’animo, cioè lo sviluppo della soggettività rispetto alle condizioni oggettive. Fu proprio la presenza di un ceto intellettuale diffuso, come quello studiato da Drake, a impedire che un apostolo (come Massarenti nella tradizione socialista) e un agitatore (quali furono i dirigenti sindacali) venisse confuso con un rivoluzionario che doveva essere munito di cultura e di strumenti teorici di analisi della realtà. Il dramma della sinistra italiana è stato nel tipo di intellettuali che ha avuto.Furono non dei sociologi, politologi, economisti ecc., cioè persone muniti di competenze e strumenti di valutazione, ma degli ideologi che, sempre, invece di adattare il marxismo e il leninismo ai mille, cioè cangianti, volti della realtà (classi, ceti, bisogni, domande ecc.), fecero il contrario. Le Brigate rosse non sono state sideralmente distanti da questi loro maestri, anche se li hanno rinnegati tacciandoli (basta leggere le reprimende verso il riformismo e il revisionismo) di essere sostenitori di varianti socialiste del capitalismo:”Non importava che solo poche persone avessero sostenuto le Brigate rosse nel 2002. Quanti sostenitori aveva avuto Lenin nel 1902? La cosa importante era tenere accesa la fiamma della rivoluzione nella gelida oscurità dell’egemonia capitalista”. Il capitolo, molto bello, su Palmiro Togliatti intitolato “l’impresario culturale della rivoluzione” mostra un uomo indissolubilmente attaccato a Lenin e a Stalin. E’ un principio di fede incrollabile che Carlo Cafiero, il primo agente italiano della Seconda Internazionale, aveva consegnato all’agente della Terza. |
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