Riyadh (AsiaNews/Agenzie) – Protestano l’Unicef, il Dipartimento di Stato
Usa e i gruppi per la tutela dei diritti umani per la sentenza del tribunale
saudita di Unaiza che ha confermato in appello la validità del matrimonio tra
una bambina di otto anni ed un uomo di 50.
Il tribunale ha affermato che la tradizione islamica ammette il matrimonio
di bambine, a condizione che non abbiano rapporti sessuali prima della pubertà.
In teoria, per la validità delle nozze sarebbe richiesto il consenso della
donna, ma molti funzionari che celebrano i matrimoni non ritengono necessario
chiederlo.
La questione dell’età minima per sposarsi è estremamente controversa nei
Paesi islamici. Chi si oppone a fissarla indica il fatto che lo stesso Maometto
prese in moglie una bimba di nove anni. Ma i movimenti femminili e in genere le
donne vi vedono una indiretta tratta di esseri umani, oltre che una violazione
di un fondamentale diritto umano. Ciò provoca anche abbandoni della religione
islamica.
Questo caso, però, sembra poter smuovere il sistema, anche per la volontà
di modernizzazione del Paese espressa da re Abdullah. Se l’Unicef ha espresso
“profonda preoccupazione” per la sentenza del tribunale saudita, affermando che
il matrimonio dei bambini “è una violazione dei loro diritti” e un portavoce del
Dipartimento di Stato, Robert Wood, l’ha definito “una chiara e inaccettabile
violazione dei diritti umani”, anche il ministro saudita della giustizia Mohamed
al-Issa ha annunciato di voler “porre fine alla arbitrarietà dei genitori che
danno in moglie ragazze minorenni”. Il ministro, però, non ha parlato di
divieti, ma solo di voler “preservare i diritti” delle giovani e di “eliminare
gli aspetti negativi del matrimonio delle minorenni”.
Dietro a tali nozze, infatti, oltre alle tradizioni tribali, spesso ci sono
traffici economici, con il vero e proprio “acquisto” da parte di uomini di
spose-bambine. La pratica, infatti, è presente soprattutto nelle zone più povere
dei Paesi della Penisola arabica, come lo Yemen.