Ha lasciato l'Italia e tornerà solo il 9 gennaio,
giusto in tempo per sedersi nell'aula del Tribunale in cui, come
presidente della sezione penale di Lamezia Terme, porterà avanti il
processo contro Pasquale Giampà. Pino Spadaro, il giudice da mesi nel
mirino della 'ndrangheta, non vuole commentare la notizia sul fallito
attentato del 24 dicembre 2008 lungo la provinciale catanzarese di cui,
probabilmente, era vittima predestinata (si veda il Sole 24 Ore di ieri).
«So solo che il magistrato salernitano che sta conducendo le indagini –
dichiara al Sole 24 Ore – è una persona estremamente capace. Di lei mi
fido. Così come so che la squadra mobile di Catanzaro e il commissariato
di Lamezia stanno facendo il possibile per non trascurare alcun
indizio».
Parole asciutte, poco prima dell'imbarco per una località
segreta, che lasciano a chi commenta l'episodio qualche dubbio sulla
permeabilità delle informazioni che riguardano gli spostamenti del
giudice.
Spadaro non ha una scorta ma solo un autista che svolge
anche funzioni di tutela: se i finti agenti avessero intimato l'alt alla
sua macchina blindata, si sarebbe dovuto fermare. E questo qualcuno lo
sapeva, così come sapeva che il 24, all'improvviso, aveva deciso di
portare le figlie a visitare il Tribunale. Strano anche il fatto che – a
poche ore dal conto alla rovescia del nuovo anno – altre pesantissime
minacce siano giunte direttamente a casa di Spadaro: questa volta nel
mirino erano le figlie, con lui in macchina alla vigilia di
Natale.
Bocche cucite in Prefettura e Questura. Come da copione i
dirigenti si limitano a dire che non c'è alcuna conferma al momento che
l'attentato riguardasse solo o proprio Spadaro. Questo conferma
indirettamente l'altra ipotesi di obiettivo sensibile avanzata ieri dal
Sole 24 Ore: massima allerta dunque anche su Gerardo Dominijanni, Pm del
processo che vede Giampà accusato di estorsione da un piccolo imprenditore
lametino, Rocco Mangiardi.
A commentare sono i colleghi di
Mangiardi riuniti nelle associazioni antiracket. Tano Grasso, leader in
Italia della rivolta contro gli estorsori, non ha dubbi. «Il 9 gennaio –
spiega al Sole 24 Ore – sarò a Lamezia, dove accadono cose che non mi era
mai capitato di vedere. L'attenzione è alta ma il clima è pazzesco. Gli
imputati sono a 50 cm di distanza dai loro accusatori, non ci sono gabbie
dove recluderli. Una cosa incredibile. E poi gli avvocati. Mai avevo
assistito a un balletto simile di rinunce e ricusazioni. Si stanno
tentando tutte le tattiche giudiziarie per far slittare un processo
storico in Calabria, reso possibile da giudici e magistrati coraggiosi e
Forze dell'ordine all'altezza. Se la testimonianza reggerà, e non ho
dubbi, ci sarà un effetto a cascata in Calabria, simile a quello
registrato anni fa in Sicilia. Per questo non mi meraviglio che ci sia
qualcuno che a ogni costo farà di tutto per non far celebrare il
processo».
Armando Caputo, presidente dell'"Associazione antiracket
Lamezia" è sulla stessa lunghezza d'onda. «In Spadaro abbiamo fiducia –
dice al Sole 24 Ore – e questo non accadeva da tempo in questa città. Cosi
come guardiamo con fiducia al Pm Dominijanni. Da parte nostra siamo vicini
al supertestimone, che gode di una protezione delicata delle Forze
dell'ordine e che sta vivendo serenamente un'attesa comunque sfibrante.
Fino a due anni fa eravamo un Paese silente come ce ne sono tanti in
Calabria ma l'impegno del Prefetto, della Questura e la forza di questo
processo cambieranno le cose».
E per capire a che livello di diffidenza
giunga questa terra, Caputo rivela al Sole 24 Ore che nuove associazioni
antiracket stanno per nascere in Regione, ma non può dire dove perché gli
occhi di tutti sono puntati sull'esito del processo lametino. Come a dire:
se sarà celebrato e ci saranno condanne altre vittime del racket usciranno
allo scoperto, altrimenti meglio gettare la spugna ancora prima di
combattere.
Merito del cambiamento in atto è anche del sindaco
Gianni Speranza, attaccato praticamente ogni giorno che Dio manda in terra
da chi ha interesse a restaurare un ordine che capovolga le cose. «Siamo e
resteremo parte civile in questo processo – dichiara – anche perché chi
combatte per la legalità non può essere lasciato solo e mai mi sarei
aspettato che saremmo giunti a questo punto. Sono sconvolto dagli eventi.
Ma abbiamo un precedente che dà fiducia. Il 1° agosto 2008 al Comune di
Lamezia, anche in quell'occasione parte civile lesa, è stato riconosciuto
un risarcimento di 5 milioni per i danni all'immagine che la collettività
aveva riportato dalle attività criminali di 11 esponenti della 'ndrangheta
lametina». Anche in quel caso, giova ricordarlo, il Pm era
Dominijanni.