L'esercito
dell'Etiopia lascia la Somalia, come annunciato più volte. L'ennesimo
scontro a colpi di mortaio contro i miliziani islamici degli "al Shabaab"
ha lasciato sul terreno altri 11 civili, così che i 3000 soldati di Addis
Abeba hanno deciso di abbandonare la più importante base di Mogadiscio,
iniziando il ritiro verso nord. Una mossa accolta con gioia, da centinaia
di somali scesi per strada, sparando colpi e inneggiando al proprio
popolo, nonché razziando e saccheggiando la base militare.
E
mentre il lungo serpentone di carri blindati e di tank cominciava ad
attraversare il Paese, si sono verificati nuovi scontri armati a Gurael,
nel cuore della Somalia, con lanci di razzi e colpi di mortaio. In tre
giorni di combattimenti i morti sarebbero circa 50 morti, rimasti sul
terreno dopo gli scontri tra due milizie islamiche.
Finisce
così un'incursione avviata dal 2006, che aveva l'obiettivo di sbaragliare
le Corti islamiche, che avevano nel giro di pochi mesi, due anni fa, fatto
fuggire i signori della guerra e preso possesso della Somalia.
Così,
dopo un accordo raggiunto tra il Governo Transitorio federale e la parte
moderata delle Corti islamiche nel novembre scorso a Nairobi, l'Etiopia ha
dato il via all'operazione di rientro, dopo cinque anni di morti e
attentati, senza che la popolazione somala avesse visto reale beneficio
dall'occupazione da parte del nemico storico.
Con
il ritiro delle truppe etiopiche si acuisce l'incertezza: sul
terreno restano solo 3500 soldati ugandesi e burundesi che l'Unione
africana ha spedito sul posto undici mesi fa. Ma sia Kampala che Bujumbura
hanno fatto sapere nei giorni scorsi di non essere disposti a restare
ancora, perché temono di rimanere impantanati in un Paese allergico ad
ogni missione di pace. I due stati hanno chiesto altri cinquemila soldati
di rinforzo, e in caso contrario lasceranno la Somalia nel giro di un
mese.
Come
se non bastasse, l'Unione africana non ha più soldi, e da tempo non è più
in grado di finanziare altre missioni, prova ne sia, la richiesta d'aiuto
all'Onu. Provano a venire a capo della situazione gli Usa, che avrebbero
già pronta la bozza di una risoluzione che chiede l'invio di una forza di
pace di altri 6000 caschi blu, ma non è un mistero che il segretario
generale Ban Ki-Moon sia contrario, convinto che che la Somalia sia troppo
pericolosa per poter investire in una missione internazionale.
La
situazione paradossale di festa in Somalia nasconde così l'empasse
politico che consegna una soluzione piuttosto confusa. Molti pensano
adesso che l'assenza delle truppe di Addis Abeba accelererà il processo di
pace, che da 18 anni è strozzato da una lunga e drammatica guerra civile:
il rilancio di un governo somalo, meno legato a forze straniere, è
possibile però soltanto se la forza delle Corti Islamiche sarà placata.
In
particolare, è il dominio degli al Shabaab ( "i giovani"),
legati ad al Qaeda, ormai padroni di gran parte della Somalia, a far
temere il peggio. Sono stati loro, tra l'altro, gli estremisti islamici, a
combattere una guerra lunga almeno 23 mesi, che ha provocato, secondo
fonti Onu, 16mila morti, e più di un milione di profughi. Ed è loro merito
(o colpa) se l'Etiopia è arretrata, difendendosi disperatamente. Adesso, i
propositi delle milizie islamiche, che vogliono riportare l'ordine in
questo inferno, sono preoccupanti, se è vero che vogliono riportare la
sharia, la legge islamica.
Nelle
zone già sotto il loro controllo sono state spente le tv, chiusi i
piccoli cinema dove i somali amano andare nelle ore più calde, imporre
il velo ad una popolazione femminile tradizionalmente laica. Con una loro
vittoria, la Somalia si trasformerebbe nel nuovo avamposto di al Qaeda nel
Corno d'Africa, completando islamizzazione del Corno covata da
tempo dai fanatici dell'Islam. ALESSANDRO
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