Riyadh (AsiaNews) - Una maglietta con la scritta “drivers”, una torta con
sopra un’automobile, una foto di gruppo: si è svolta così, quest’anno, la
manifestazione di una cinquantina di donne saudite che hanno commemorato la
protesta che il 6 novembre 1990 vide un gruppo di 47 guidatrici in un convoglio
che per una mezz’ora girò intorno a Riyadh. Poi furono fermate dalla polizia,
perché l’Arabia Saudita resta l’unico Paese al mondo dove alle donne è vietato
guidare, anche se quest’estate funzionari di governo hanno sostenuto che si sta
studiando la possibilità di un decreto che, entro la fine dell’anno, abolisca il
divieto.
La reazione delle autorità fu dura. A tutte le guidatrici ed ai loro mariti
(che hanno il ruolo del “guardiano” che ogni donna deve avere) furono vietati
per un anno i viaggi all’estero, quelle che erano dipendenti pubbliche furono
licenziate, ma, come ricorda Fawzia al Bakr, una professoressa che fu una delle
guidatrici, in una intervista a NPR “dovunque lavorassimo eravamo
etichettate ‘guidatrici’ e non c’era possibilità di fare carriera, per quanto
brava tu fossi”.
“Penso – dice una imprenditrice, Aisha al Mana – che fu una cosa meritevole
perché avevamo sollevato e dato coscienza di un problema delle donne in Arabia
Saudita”. “Per un anno – aggiunge – siamo state tormentate, perché pensavano che
avessimo compiuto qualcosa che non è accettabile dalla
società”.
Poi le acque si sono calmate e, due anni dopo la manifestazione, le
licenziate furono riassunte. Ma la questione, come spiega la professoressa al
Bakr, è più complessa di quanto appare. “Se guidi, significa che puoi andare in
pubblico, hai accesso alle istituzioni, me se se sei totalmente impossibilitata
a muoverti senza avere un uomo che guida per te, sei completamente paralizzata”.
Ora, “a livello pratico re Abdullah sta lavorando in modo discreto per dare
sostegno alle donne. Ma, purtroppo, quelle delle donne alla guida è ancora un
grosso grattacapo ed il re ha problemi piuù
importanti”.