Torino: azione antirazzista in comune
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- Date: Wed, 30 Jul 2008 20:02:49 +0200
Torino: azione antirazzista
in comune 30 luglio Torino. A metà pomeriggio la prima e la quarta
commissione del Consiglio comunale torinese, riunite in seduta congiunta,
dovevano discutere la proposta del fascista Ravello e del leghista Carossa di
estendere a Torino il rilievo delle impronte digitali ai bambini
rom. Un gruppo di antirazzisti torinesi hanno deciso che era
un’occasione da non mancare per dire la propria. Consegnati, come d’obbligo, i
documenti alle vigili all’ingresso, gli antirazzisti sono andati alla sala
dell’Orologio, dove era prevista la riunione. Mentre si accingeva a prendere la
parola il fascista nazionalalleato Ravello, gli antirazzisti hanno aperto uno
striscione con la scritta “dai un dito a Maroni”. Il “dito” era rappresentato
graficamente dal classico medio levato in alto. Uno striscione identico era stato sequestrato dalla Digos
l’11 luglio durante un presidio di fronte alla sede della Lega in largo
Saluzzo. Vengono distribuiti volantini e un piccolo flier con una
bimba che offre a Maroni il suo ditino medio. Insieme si grida “vergogna!”. Ma i
razzisti, si sa, di vergogna ne hanno davvero poca e, per dirla tutta, difettano
anche di buone maniere. Gridano sguaiatamente invocando l’intervento delle forze
dell’ordine, si agitano, sudano. Carossa si distingue nel promettere schiaffi ad
un antirazzista, subito dopo aver gridato che lui avrebbe ben saputo come
adoperare tutte e cinque le dita. Nella concitazione non si è compreso se
volesse rivolgere le sue gentili attenzioni ad un’altra antirazzista che lo
invitava a portare a Maroni il flier con la bimba o alla presidente che tardava
a far arrivare i marines. Arrivano minacce di denunce. Uno intima ad una
compagna “pulisci!”, indicando i flier caduti a terra. “Ci vorrebbe ben altro
che una scopa per ripulire la merda morale di questa sala”, suggerisce la
compagna in questione. Carossa, Ravello ed altri fotografano gli antirazzisti e
lo striscione: che vogliono farne avere una copia a Maroni?
Alla fine le truppe dello Stato, nelle vesti di alcuni
vigili urbani, arrivano e scippano lo striscione dalle mani degli antirazzisti.
Giunge poi la polizia che accompagna i compagni al piano terra per
l’identificazione di rito. Carossa non pago si precipita in guardiola, si fa
mostrare le fotocopie delle carte di identità e confabula con la digos.
Ripresi i documenti gli antirazzisti vanno in via
Garibaldi, aprono uno striscione uguale a quello scippato dai vigili nella Sala
dell’Orologio e volantinano ai passanti. Arriva la digos e scippa il nuovo
striscione: gli antirazzisti continuano a volantinare ai passanti. Poco prima
che il presidio improvvisato si sciogliesse, la digos restituisce lo striscione:
forse con questo caldo non avevano voglia di scrivere un altro
verbale. La lotta al razzismo continua. Domani è un altro
giorno. Di seguito il volantino distribuito durante
l’iniziativa. Impronta
fascista Per la loro sicurezza. Così
il ministro dell’interno Maroni ha giustificato la decisione di prendere le
impronte ai rom, bambini compresi. “Sicurezza” è una parola
magica: in suo nome tutto diviene possibile. Per via gelidamente amministrativa,
facendo il gioco delle tre carte con norme e regolamenti esistenti. Proviamo a
vedere come. Si comincia con il
dichiarare che a Roma, Milano e Napoli esiste un’emergenza rom. Quest’emergenza
è “nominata” non descritta: con ogni probabilità Maroni & soci pensano che
la violenta campagna mediatica scatenata contro i rom sia sufficiente a spiegare
lo stato di emergenza. I prefetti della tre città
vengono nominati commissari straordinari: tra i loro compiti
“l’identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei
nuclei familiari presenti” nei campi nomadi legali e abusivi “attraverso
rilievi segnaletici”. Un censimento su base etnica fatto attraverso una
procedura, i “rilievi segnaletici”, che la legge italiana riserva alle
“persone pericolose o sospette”, in altre parole a chi si ritiene abbia
commesso un reato. In questo modo Maroni ha sancito che tutti i rom residenti in
Italia sono da considerarsi “pericolosi e sospetti”, facendo partire una
procedura che non si può che definire razzista. Quando un intero popolo è, in
quanto tale, considerato pericoloso, quando la sua presenza sul nostro
territorio viene definita un’emergenza, siamo di fronte ad un’operazione che ha
il suo precedente solo nelle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei.
Il dibattito che ha seguito
l’annuncio del censimento etnico ha fatto sì che Maroni & soci annunciassero
che, dal 2010, sulle nuove carte di identità le impronte le dovremo dare tutti.
In tal modo saremo tutti “pericolosi e sospetti”. Si parte dai più deboli
per mettere sotto controllo l’intera società. Da rilevare che sulle carte di
identità elettroniche le impronte vengono inserite già oggi.
Nel frattempo il censimento
dei rom, tra resistenze e difficoltà, sta partendo. Le prime “schede” dimostrano
la piena natura razzista dell’intera operazione. Sulla scheda dei rom “censiti”
a Napoli accanto alle impronte c’è anche l’indicazione della religione e
dell’etnia. A nessun cittadino italiano (o straniero non rom) viene chiesto di
dichiarare il proprio orientamento in materia religiosa. Sulla nostra carta di
identità si indica la nazionalità non certo l’etnia. Nel nostro paese vivono e
sono cittadini italiani persone di lingua tedesca, greca, ladina, friulana,
sarda, albanese… ma nessuno di loro viene schedato in base a questa
appartenenza. A Torino, per ora esclusa
dalla dichiarazione di “emergenza”, la destra cittadina invoca a gran voce che
la schedatura etnica sia estesa alla nostra città. Dicono che occorre tutelare
la sicurezza dei bambini. Siamo d’accordo: ai piccoli
e ai loro genitori occorre sicurezza, perché vivono in baracche senza luce e
acqua, nel fango e tra i topi. Per i rom torinesi, nel mirino dei razzisti, la
sicurezza è un miraggio: a ottobre i fascisti hanno incendiato il campo di via
Vistrorio, mentre si moltiplicano le aggressioni. I continui sgomberi fanno sì
che per i bambini sia quasi impossibile andare regolarmente a scuola: alla
faccia della tutela di cui si sciacquano la bocca destri e
sinistri. Alcuni baraccati di via
Germagnano, stanchi di vivere nella miseria e nella paura, il 6 luglio hanno
occupato una casa abbandonata in via Pisa 5, dalla quale sono stati sgomberati e
deportati nel campo abusivo da cui erano fuggiti. Nessuno, né l’Enel
proprietaria dello stabile, né il comune di Torino poteva correre il rischio che
il loro esempio divenisse contagioso. Una casa dignitosa è la miglior sicurezza
per adulti e bambini, una sicurezza conquistata con l’azione diretta, una
sicurezza vera, perché fatta di libertà e dignità. Libertà e dignità di cui
abbiamo bisogno in tanti, anche se sulla carta di identità siamo definiti
“cittadini italiani”. I provvedimenti razzisti
mirano a dare alimento alla guerra tra poveri, la pratica della solidarietà tra
immigrati e indigeni rende tutti più forti di fronte ai nemici comuni: i padroni
che sfruttano e affamano, i politici che decidono per noi il nostro presente ed
il nostro futuro. A cura dell’Assemblea
Antirazzista di Torino contatti:
assembleaantirazzistatorino at autistici.org |
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