Da un momento all’altro Beppino Englaro, con il conforto dei suoi stimabili
amici della consulta bioetica, fior di medici biologi e professori che la
pensano diversamente da me o dalle suore o dai vescovi sul ciclo finale della
vita di persone prive di coscienza, potrebbe interrompere la nutrizione di sua
figlia Eluana e, con questo, mettere in moto il deperimento e la fine della
vita di quella giovane donna nel giro di dieci-dodici giorni. E’ un suo
diritto di tutore, certificato da una doppia sentenza, della Cassazione e
della Corte civile d’Appello di Milano. Sebbene il mio istinto sia di battermi
contro quella decisione, per il suo significato e il suo risvolto pubblico,
non gliene vorrei personalmente. (D’altra parte odio l’aborto ma ho amore e
compassione per ogni donna costretta dalla cultura contemporanea ad abortire
la sua creatura, vorrei che la mentalità prevalente del mio tempo elevasse
quella strage e quella “violenza indicibile” nel grembo delle donne a tabù, la
qualificasse per quello che è, una risposta barbarica, facile, moralmente
indifferente al problema del rifiuto di maternità, ma non penso che l’aborto
sia una colpa delle donne.)
Ho letto un testo del signor Englaro, sull’Unità di sabato, l’ho
trovato intenso e forte, e penso di poter dire conclusivamente che questo
padre eseguirebbe come una gioiosa istanza di liberazione quella che a molti
di noi sembra una crudele condanna a morte. Lo farebbe con piena convinzione,
come persona e come familiare di Eluana, come chi la conosce meglio al mondo,
e anche come membro di una società (la consulta di bioetica del professor
Maurizio Mori) il cui scopo dichiarato è promuovere gli “stili di vita
secolari”, cioè un modo di nascere, vivere e morire nel secolo fuori di ogni
ipoteca trascendente o cristiana, laica o secolare, dentro una filosofia
dell’esistenza che non prevede l’essere e il suo ordine al di là della materia
e del suo funzionamento chimico (non prevede la metafisica), non prevede
sostanza e speranza e fede e coltiva invece quel tipo di gioia di vivere
naturalistico e nichilistico che sta nel disporre di sé con la massima libertà
e padronanza possibile, concludendo per il nulla quando lo si ritenga giusto.
(Aborto, maltrattamento degli embrioni nella fecondazione artificiale ed
eutanasia sono tre segni distintivi, ma non gli unici, di questi stili di vita
sicuri di sé, vincenti, dominatori, self-righteous, che sarebbero modi di vita
stoici se non fondessero in uno l’indifferenza per sé e quella per gli
altri.)
Insisto, tuttavia. Beppino Englaro toglierebbe la nutrizione a sua
figlia con emozione, con una remora di dolore ma anche con una spinta felice,
e realizzando nel proprio cuore un superiore atto di giustizia, un dare a
ciascuno il suo, e a sua figlia Eluana la libertà, a lei cara, di non vivere
nella costrizione della cura e nell’indisponibilità della propria vita. Ciò
che una parte dell’opinione giudica omicidio è missione la più alta di
rispetto umano per il padre di Eluana Englaro.
Bisogna dunque dirsi la
verità sullo stato d’animo e di cultura delle società occidentali. Una
minoranza pensa che Eluana Englaro, da sedici anni priva di coscienza vigile e
nutrita e idratata attraverso un sondino nel naso, abbia diritto alla carità,
cioè all’amore, e dunque alla vita nella speranza. La maggioranza, e tra
questi il padre della ragazza sofferente, giudica questa carità, questa cura
non direttamente terapeutica, come un accanimento, una arbitraria prigionia,
la arrogante negazione di un diritto a essere se stessi, il prolungamento di
un tormento quando non una tortura. Il conflitto tra la società della speranza
e quella della disperazione, tra la cultura della carità per il tutto e quella
della libertà per il niente, è costernante ma ineludibile.
Questa settimana sarà connotata da diversi voti parlamentari su
conflitti di attribuzione tra poteri dello stato (il Senato contro la
magistratura) e su mozioni di orientamento legislativo alla Camera. Ho paura
che ne risulterà un pasticcio. Difficile legiferare su un elemento così
filosoficamente inafferrabile come il confine tra la vita e la morte o come il
titolo di proprietà dell’esistenza umana. L’unica legge sensata sarebbe quella
che in un solo articolo dicesse, risolvendo il conflitto tra carità e legge in
modo chiaro, e a favore della carità: nessun malato o portatore di handicap
può essere soppresso finché qualcuno nel mondo sia pronto a darsi per la sua
amorevole
cura.