Re: Eluana



Cari amici, v'invio in allegato un articolo che ho scritto per Eluana.
Un saluto fraterno da Arrigo Colombo
 
 
----- Original Message -----
Sent: Tuesday, July 29, 2008 6:50 PM
Subject: Eluana

Questa frase (al fondo dell'articolo) andrebbe diffusa ovunque...
"L’unica legge sensata sarebbe quella che in un solo articolo dicesse, risolvendo il conflitto tra carità e legge in modo chiaro, e a favore della carità: nessun malato o portatore di handicap può essere soppresso finché qualcuno nel mondo sia pronto a darsi per la sua amorevole cura." (Giuliano Ferrara)

 
 

Una legge impossibile per Eluana Englaro

Da un momento all’altro Beppino Englaro, con il conforto dei suoi stimabili amici della consulta bioetica, fior di medici biologi e professori che la pensano diversamente da me o dalle suore o dai vescovi sul ciclo finale della vita di persone prive di coscienza, potrebbe interrompere la nutrizione di sua figlia Eluana e, con questo, mettere in moto il deperimento e la fine della vita di quella giovane donna nel giro di dieci-dodici giorni. E’ un suo diritto di tutore, certificato da una doppia sentenza, della Cassazione e della Corte civile d’Appello di Milano. Sebbene il mio istinto sia di battermi contro quella decisione, per il suo significato e il suo risvolto pubblico, non gliene vorrei personalmente. (D’altra parte odio l’aborto ma ho amore e compassione per ogni donna costretta dalla cultura contemporanea ad abortire la sua creatura, vorrei che la mentalità prevalente del mio tempo elevasse quella strage e quella “violenza indicibile” nel grembo delle donne a tabù, la qualificasse per quello che è, una risposta barbarica, facile, moralmente indifferente al problema del rifiuto di maternità, ma non penso che l’aborto sia una colpa delle donne.)

Ho letto un testo del signor Englaro, sull’Unità di sabato, l’ho trovato intenso e forte, e penso di poter dire conclusivamente che questo padre eseguirebbe come una gioiosa istanza di liberazione quella che a molti di noi sembra una crudele condanna a morte. Lo farebbe con piena convinzione, come persona e come familiare di Eluana, come chi la conosce meglio al mondo, e anche come membro di una società (la consulta di bioetica del professor Maurizio Mori) il cui scopo dichiarato è promuovere gli “stili di vita secolari”, cioè un modo di nascere, vivere e morire nel secolo fuori di ogni ipoteca trascendente o cristiana, laica o secolare, dentro una filosofia dell’esistenza che non prevede l’essere e il suo ordine al di là della materia e del suo funzionamento chimico (non prevede la metafisica), non prevede sostanza e speranza e fede e coltiva invece quel tipo di gioia di vivere naturalistico e nichilistico che sta nel disporre di sé con la massima libertà e padronanza possibile, concludendo per il nulla quando lo si ritenga giusto. (Aborto, maltrattamento degli embrioni nella fecondazione artificiale ed eutanasia sono tre segni distintivi, ma non gli unici, di questi stili di vita sicuri di sé, vincenti, dominatori, self-righteous, che sarebbero modi di vita stoici se non fondessero in uno l’indifferenza per sé e quella per gli altri.)

Insisto, tuttavia. Beppino Englaro toglierebbe la nutrizione a sua figlia con emozione, con una remora di dolore ma anche con una spinta felice, e realizzando nel proprio cuore un superiore atto di giustizia, un dare a ciascuno il suo, e a sua figlia Eluana la libertà, a lei cara, di non vivere nella costrizione della cura e nell’indisponibilità della propria vita. Ciò che una parte dell’opinione giudica omicidio è missione la più alta di rispetto umano per il padre di Eluana Englaro.
Bisogna dunque dirsi la verità sullo stato d’animo e di cultura delle società occidentali. Una minoranza pensa che Eluana Englaro, da sedici anni priva di coscienza vigile e nutrita e idratata attraverso un sondino nel naso, abbia diritto alla carità, cioè all’amore, e dunque alla vita nella speranza. La maggioranza, e tra questi il padre della ragazza sofferente, giudica questa carità, questa cura non direttamente terapeutica, come un accanimento, una arbitraria prigionia, la arrogante negazione di un diritto a essere se stessi, il prolungamento di un tormento quando non una tortura. Il conflitto tra la società della speranza e quella della disperazione, tra la cultura della carità per il tutto e quella della libertà per il niente, è costernante ma ineludibile.

Questa settimana sarà connotata da diversi voti parlamentari su conflitti di attribuzione tra poteri dello stato (il Senato contro la magistratura) e su mozioni di orientamento legislativo alla Camera. Ho paura che ne risulterà un pasticcio. Difficile legiferare su un elemento così filosoficamente inafferrabile come il confine tra la vita e la morte o come il titolo di proprietà dell’esistenza umana. L’unica legge sensata sarebbe quella che in un solo articolo dicesse, risolvendo il conflitto tra carità e legge in modo chiaro, e a favore della carità: nessun malato o portatore di handicap può essere soppresso finché qualcuno nel mondo sia pronto a darsi per la sua amorevole cura.


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