Torino 16 maggio: Resistenza Rom
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- Date: Fri, 9 May 2008 11:59:57 +0200
| Resistenza 
Rom 10 anni di lotte, 
occupazioni, sgomberi a Milano. Venerdì 16 maggio ore 
 assemblea 
 contro le politiche 
razziste, le ronde fasciste e leghiste, la violenza securitaria e la 
repressione... percorsi di autogestione, solidarietà, lotta. 
 Interverranno esponenti di 
“Via Adda non si cancella” Proiezione del video “Via 
Adda 14. Tutti sotto un tetto” Un’occasione per fare il 
punto sulle politiche di esclusione sociale e repressione della giunta 
Chiamparino, che in questi giorni ha “chiuso” il campo “emergenza freddo” di 
Basse di Stura e annuncia nuovi sgomberi e 
deportazioni. Un’occasione per ricordare 
che il 14 ottobre del 2007 i fascisti hanno bruciato il campo rom di via 
Vistrorio e 62 uomini, donne e bambini hanno rischiato di morire bruciati. Solo 
oggi i media, che hanno minimizzato l’episodio, insinuando persino il dubbio che 
i rom si fossero bruciati le roulotte e le baracche da soli, si sono accorti che 
in Barriera di Milano ci sono i fascisti. Gli stessi delle ronde sanguinose al 
Parco Stura, gli stessi sui cui cellulari sono state trovate le immagini del 
rogo di via Vistrorio. Un’occasione per tutti gli 
antirazzisti interessati di promuovere iniziative di informazione e di sostegno 
alla resistenza dei rom anche nella nostra città.  Per info e 
contatti: 338 
6594361 Per un approfondimento 
sulle lotte dei rom rumeni di Milano vi proponiamo un articolo uscito su Umanità 
Nova n. 16 del 4 maggio 2008. L’autore, Fabio Zerbini, 
di“Via Adda non si cancella”, parteciperà all’assemblea del 16 
maggio. Milano: 10 anni di lotte 
tra sgomberi e occupazioni Resistenza 
Rom Lo sgombero della 
baraccopoli di Bovisa all’inizio di aprile è stata l’ultima delle 
macro-operazioni contro i rom condotta dall’amministrazione 
milanese. Era il 1998 quando il primo 
gruppo di rom-rumeni (circa una trentina di famiglie), in seguito all’incendio 
della loro baraccopoli, diedero vita all’occupazione delle case di via de 
Castillia nel quartiere Isola.  Da allora in poi, un popolo 
intero che il regime di Ceausescu aveva reso stanziale, ha conosciuto un vero e 
proprio nomadismo metropolitano, tentando si resistere agli incessanti assalti 
xenofobi che istituzioni e mass-media hanno portato con scientificità e 
accanimento tali da non aver nulla da invidiare al ventennio nazi-fascista, con 
un susseguirsi incessante di sgomberi, occupazioni, barricate e arresti, lotte 
di piazza e deportazioni.  Sconfitte e vittorie si 
sono intrecciate indissolubilmente, contribuendo a scrivere una pagina di storia 
lungi dall’essere terminata e in cui, non ci stancheremo mai di ripeterlo, 
l’occupazione e l’autodifesa di via Adda hanno senz’altro rappresentato il punto 
più alto di resistenza nella storia italiana di questo popolo 
martoriato. Un intero stabile venne 
occupato nel giugno del 2002 e in poco tempo arrivò a ospitare 300 persone. Di 
per sé era una delle tante esperienze che i rom hanno dovuto inventarsi per 
sopravvivere. Ma via Adda ha lasciato il segno per la sua capacità di 
autorganizzazione, per la costruzione di un consiglio di autogestione che, con 
tutti i suoi limiti, ha rappresentato un vero e proprio contropotere dal basso, 
capace di respingere gli assalti armati del potere grazie all’autodifesa 
permanente; capace allo stesso tempo di diventare soggetto politico agente in 
città, spingendo la comunità rom ad un protagonismo di piazza mai registrato 
prima (in particolare nelle manifestazioni contro la guerra e in occasione degli 
scioperi generali), cancellando nei fatti la linea politica di questura comune e 
prefettura che cercava, con tutti i mezzi necessari di spingere i rom fuori 
dalla città. Via Adda invece era situata 
proprio sotto il pirellone, nel cuore finanziario della metropoli, simbolo 
concreto del fatto che, se si lotta e ci si autorganizza… anche l’impensabile 
può succedere. Dopo lo sgombero di via 
Adda, compiuto con un’operazione militare senza precedenti (circa 1500 uomini 
impegnati) si è aperta una stagione di continui sgomberi e deportazioni di 
massa, interrotte nei fatti solo dall’ingresso della Romania in Europa. Solo i 
reduci di quell’esperienza, organizzati intorno alla campagna “via Adda non si 
cancella” sono in qualche modo riusciti a resistere senza piegarsi ai tentativi 
di pulizia etnica da una parte e di internamento democratico nei campi lager 
comunali dall’altra. In ogni caso, anche se gli 
assalti del potere hanno certamente lasciato il segno nella struttura sociale (e 
forse nella psiche) dei rom, non hanno affatto raggiunto l’obiettivo di 
limitarne il numero, né di allontanarli dalla metropoli. 
Anzi. Spinti da un impoverimento 
crescente del loro paese d’origine, “aiutati” dall’apertura delle frontiere con 
 Il quadro 
attuale Dicevamo di Bovisa. Dopo lo 
sgombero, le 150 famiglie che vi abitavano hanno dato vita ad una vera e propria 
diaspora metropolitana. In parte si sono divise in alcune delle situazioni 
pre-esistenti; altre hanno dato vita a nuovi insediamenti, mentre solo una 
piccola minoranza ha lasciato l’Italia. Il mosaico della comunità 
quindi si arricchisce e si complica e possiamo ricondurlo a tre categorie 
distinte. 1) I campi comunali 
il cui simbolo è quello di via Barzaghi-Triboniano. Un campo che nella sua 
lunga storia ha vissuto tre sgomberi (l’ultimo diede vita alle barricate del 
giugno 2007) e che, a fronte di condizioni strutturali di vivibilità senz’altro 
migliori che in passato (per spazio abitabile, elettrificazione e servizi), è 
soggetto al regolamento semi-carcerario che va sotto il nome di “Patto per la 
legalità e la solidarietà”. Un’invenzione di Caritas e istituzioni locali che 
vieta la possibilità di ospitare parenti, di praticare la questua, di 
organizzare feste, di operare modifiche alla struttura del campo (per esempio 
costruire verande), di incorrere in guai di natura legale e, nei fatti, di 
organizzare attività politiche indipendenti.  Insomma un vero e proprio 
lager, modello di sperimentazione di controllo sociale e che non manca di far 
sentire i suoi effetti repressivi: in un anno 7 famiglie sono state espulse per 
averlo violato. Il ricatto è enorme, ma la 
protesta comincia a serpeggiare e a organizzarsi nonostante il clima poliziesco 
instaurato da Caritas e Comune; e siamo convinti che, presto o tardi, ne vedremo 
nuovamente delle belle. 2) Le baraccopoli 
abusive, che ormai contornano l’intera città e che vivono la costante 
minaccia di sgombero, esattamente come Bovisa. Insediamenti dove cresce la 
percentuale di operai, in nero e non solo, prefigurando una condizione che 
potrebbe presto riguardare una massa lavoratrice ben più ampia e variegata. Un 
monito per l’intera classe lavoratrice schiacciata dalla tenaglia dei salari da 
fame e dai prezzi esorbitanti delle case. Per loro le prospettive 
immediate oscillano tra sempre più improbabili ipotesi di creazione di nuove 
enclavi controllate (tipo Barzaghi per capirci) e l’applicazione di accordi 
riguardanti un loro trasferimento forzato in Romania, con campi allestiti grazie 
a fondi della comunità europea e gestiti, guarda caso, sempre dalla 
Caritas, In ogni caso si dovrà 
passare per sgomberi di massa, con possibilità crescenti che si scatenino nuove 
lotte autorganizzate. 3) Le occupazioni di 
case, che, dopo lo sgombero di via Adda, hanno il loro indiscusso punto di 
forza nella cascina Bareggiate, occupata dopo tre mesi dalla caduta del fortino 
di via Adda dai reduci di quell’esperienza. Nel corso di quattro anni ci sono 
stati ben tre tentativi di sgombero (tutti respinti) e molteplici campagne 
intimidatorie, politico-mediatiche e giudiziarie, spesso mettendo nel mirino i 
bambini. E anche in questo caso è solo grazie all’autorganizzazione che 
l’occupazione continua a resistere e che non c’è mai stato spazio né per gli 
aguzzini della Caritas, né per gli avvoltoi dell’associazionismo pacifista che 
cercano sistematicamente di ricondurre la lotta negli alvei istituzionali, 
condannando i rom alla subalternità e… alla morte lenta. 
 Più recentemente, 
all’esperienza di cascina Bareggiate si sono affiancate un altro paio di 
situazioni, che, anche se di consistenza numerica e politica minore, 
contribuiscono senza dubbio a indicare la strada, l’unica percorribile, 
all’intera comunità. Conclusioni Come in ogni guerra ancora 
in corso, nessuno può prevederne gli esiti finali. Dipenderà da molti fattori; e 
per le stesse ragioni che hanno spinto i rom di cascina Bareggiate a partecipare 
allo sciopero generale del 9 novembre, quello determinante sarà lo schieramento 
attivo della parte più combattiva del proletariato, capace finalmente di 
scrollarsi di dosso i veleni del razzismo e di fare leva sulle proprie capacità 
in quanto classe internazionale. Ma non si può guardare a questa prospettiva in 
termini astratti, attendisti o ideologici. E quindi, ancora una volta, spetterà 
ai rom farsi carico del proprio destino, proseguire nella battaglia per la casa, 
autodeterminarsi in quanto parte integrante della classe lavoratrice, avviare un 
serio percorso di unificazione, sapendo di non essere 
soli. La battaglia è aperta e la 
campagna “Via Adda non si cancella” ha sempre più motivi per proseguire il 
percorso iniziato ormai da anni e ha bisogno del sostegno politico di tutti i 
sinceri rivoluzionari. Fabio 
Zerbini Prossimi 
appuntamenti: Contro tutte le guerre, 
contro tutti gli eserciti Sabato 24 maggio giornata 
contro la guerra e il militarismo. Appuntamento alle ore 10 al 
Balon – piazza Borgo Dora angolo via Andreis – per info point antimilitarista 
con mostra sulle guerre dell’Italia: dal Kosovo 
all’Afganistan. Musica, interventi e 
ristoro. Nel pomeriggio info point 
itinerante sui luoghi del militarismo nostrano. Federazione Anarchica 
Torinese – FAI  Corso Palermo 46 – la sede 
è aperta ogni giovedì dalle  338 
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