Smirne (AsiaNews) - Per la giornata mondiale delle donne, la
Federazione delle donne turche (TKCF), appoggiata da alcune università e
organizzazioni non governative ha indetto una grande manifestazione a
Smirne, città sulla costa Egea, candidata ad Expo 2015, e patria del
“kemalismo”, per chiedere uno Stato realmente laico - in contrapposizione alla
legge che liberalizza l’uso del velo nelle università, ma che poi non tutela
concretamente i diritti delle donne. Tema portante dell’evento sarà la
commemorazione dell'opera di Mustafa Kemal Ataturk che fondò il moderno Stato
turco e si fece promotore di numerose riforme per fare acquisire alle donne una
maggiore parità.
Malgrado gli sforzi delle autorità, infatti, è da riconoscere
che la condizione femminile in Turchia è ancora lontana dagli standard
occidentali. Mentre il quadro giuridico in materia di diritti delle donne è in
generale soddisfacente, è l’attuazione concreta nel quotidiano che è imperfetta,
ambigua e ancora piena di contraddizioni.
Le donne in Turchia rappresentano circa il 50% della popolazione
attiva ed occupano posti importanti nella società (come in borsa o a servizio
delle nuove tecnologie), ma complessivamente il loro tasso di analfabetismo è
tre volte maggiore di quello degli uomini e i loro diritti vengono continuamente
messi in discussione. Hanno ottenuto il diritto di voto nel 1934, undici anni
prima delle donne italiane, eppure i delitti sessuali non sono ancora
considerati come attacchi alla persona umana ma piuttosto contro "la decenza
pubblica e l'ordine familiare".
Secondo recenti statistiche indette dalla suddetta Federazione
l’87% delle donne subisce violenza all’interno della propria famiglia: nel 34%
dei casi si tratta di violenza fisica e di queste per il 16.3% si tratta di
violenza sessuale abituale, mentre per il 53% è verbale. Il 40% delle donne
turche subiscono matrimoni combinati, mentre il 20% sono sposate irregolarmente
e quindi senza alcun riconoscimento da parte dello Stato.Il 64% delle donne
incinta non ha mai fatto un controllo prenatale.
Il 20% delle donne non sa scrivere né leggere, su cento donne che
hanno studiato, solo due hanno il diploma superiore e tra coloro che hanno
frequentato il liceo, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, il 39.6% sono
disoccupate. Solo il 25% delle donne lavora (contro una media UE del
55%).
Su 850 prefetture solo 17 sono occupate da donne, il 18% degli
avvocati sono donne e su 550 parlamentari 24. E ogni mille sindaci, solo 5 sono
donne.
Sulla base di questi dati, le donne della Federazione chiedono
punizioni severe contro i delitti d'onore, i matrimoni forzati e la poligamia
nascosta e sollecitano misure volte a sanare i problemi delle donne legati
all'analfabetismo, alla scarsa presenza in politica e alla discriminazione sul
mercato del lavoro, denunciano il fatto che in alcune zone sud-orientali della
Turchia le bambine non vengono registrate alla nascita, il che impedisce di
contrastare i matrimoni coatti e i delitti d'onore.
Sottolineano inoltre con preoccupazione che la legge sulla protezione
della famiglia viene applicata solo parzialmente dalle autorità civili. Come al
solito, dunque, ancora prima delle promesse dei politici è la solidarietà tra
donne a tener desta l’opinione pubblica e a cercare soluzioni concrete. E’ la
quarantenne Arzuhan Yalçındağ, presidente della Condinfustria turca (TUSIAD), ad
esempio, approfittando della sua posizione sociale, a farsi promotrice delle
donne. Visitando varie città della Turchia, dal nord al sud, dall’est all’ovest,
trova la forza di denunciare le discriminazioni, sostenendo che “il modo
migliore per ovviare alla discriminazione nei confronti delle donne consiste
nell'introdurre misure temporanee di discriminazione positiva, come per esempio
favorire la partecipazione politica femminile in Turchia e sul mercato del
lavoro, creando una nuova immagine della donna nella società”. Sostiene inoltre
che uno dei problemi connessi alla partecipazione delle stesse alla forza
lavoro, è la “mancanza di un sistema istituzionalizzato, generalizzato,
accessibile e abbordabile di infrastrutture per la cura dell'infanzia, dei
familiari anziani e disabili che obbliga le donne a sobbarcarsi questi bisogni
nel privato della loro casa”.
Non a caso Cemile Bitargil, donna energica, cristiana convinta,
casalinga e madre di tre figli, è stata la prima a fondare nell’Hatay, regione
nel sud della Turchia a confine con la Siria, la prima casa per disabili
mentali, atta ad un loro inserimento nella società, quando ancora negli anni
ottanta essi venivano considerati “maledizione di Dio” e quindi tenuti segregati
e nascosti, ed a dare un appoggio umano e morale alle loro famiglie mediante
traning appositamente studiati. E Nazire Kil, anch’essa greco ortodossa, dopo
tanti anni vissuti in Germania come sarta, è rientrata in patria e ora da
pensionata dà un grande sostegno economico e umano a diverse case di riposo per
anziani che cominciano a prendere piede nel Paese. “Tutto ciò dimostra - dice
con convinzione Nazire – che il problema non è questione di velo, usato,
purtroppo, non solo per coprire il capo femminile, bensì tante ben più profonde
discriminazioni sui diritti delle donne”.