La logica dell'eugenetica: ora anche i sordi vogliono bimbi sordi



La logica dell'eugenetica: ora anche i sordi vogliono bimbi sordi


L'eugenetica è comparsa nei paesi occidentali alla fine del
diciannovesimo secolo: si interveniva per modificare l'evoluzione
della specie umana. In questa prima fase si presentava soprattutto
come selezione imposta dallo stato, e così fu praticata in paesi come
la Svezia e gli Stati Uniti, fino alla clamorosa e aberrante
esperienza del Terzo Reich.

Per questo, oggi, la si associa ai capelli biondi e agli occhi
azzurri, simbolo della razza pura che si voleva creare nel cuore
d'Europa. Ma l'eugenetica non ha solo questa dimensione, delegittimata
dal nazismo: è bene chiarire che ogni tipo di selezione su base
genetica delle persone è eugenetica.

Se è un genitore a chiedere la selezione per non far nascere un figlio
malato, scegliendo l'embrione migliore e scartando quelli difettati,
fra i tanti prodotti con le tecniche di fecondazione in vitro, la sua
scelta individuale sembra non appartenere più all'eugenetica: diventa
una scelta saggia e "misericordiosa", per evitare future,
intollerabili sofferenze al nuovo essere, e per garantire la libertà
dei genitori di rifiutare il figlio imperfetto.

La stessa azione, quindi, è considerata eugenetica se stabilita da una
norma dello Stato; se la stessa pratica - impiantare gli embrioni sani
e scartare i difettati - viene fatta per volontà dei singoli
individui, allora la sua natura sembra diversa: scompare "eugenetica"
- parola maledetta - e viene sostituita con "libertà", termine carico
di connotazione positiva. Se veramente di "libertà" si tratta, allora
tutti devono potervi accedere: ecco quindi che scegliere il figlio
sano diventa un diritto.

Ma le parole pesano come pietre, e quando si vuole giocare con le
carte truccate, evitando di chiamare le cose con il loro nome, è
facile poi trovarsi in un vicolo cieco.

Ne sanno qualcosa in Gran Bretagna: sul "Sunday Times" del 23 dicembre
scorso campeggiava un titolo "I sordi chiedono il diritto di
progettare bambini sordi".

All'origine di tutto, la proposta di un articolo di legge per proibire
di impiantare un embrione malato o disabile, se contemporaneamente ne
esiste disponibile uno sano; contestualmente viene negata anche la
possibilità di far nascere una persona disabile rispetto a una sana.

Sono subito insorte le due principali associazioni di sordi inglesi,
il Royal National Institute for Deaf and Hard of Hearing People (Rnid)
e la British Deaf Association (Bda), che hanno ravvisato, nel suddetto
articolo, un limite alla libertà procreativa dei disabili che
rappresentano, e anche una potenziale discriminazione della comunità
dei sordi in quanto tale.

La Rnid dichiara di temere innanzitutto una forte pressione verso
l'aborto nei confronti della comunità dei non udenti. A favore della
diagnosi preimpianto, ma contraria all'obbligatorietà dei test
genetici, la Rnid in una nota ufficiale riconosce che la diagnosi
preimpianto può causare un conflitto fra i medici e la comunità dei
disabili.

Alcuni sordi potrebbero voler impiantare embrioni sordi preferendoli a
quelli udenti per avere figli simili a sé, che possano vivere nella
loro stessa comunità, e condividere la loro stessa vita, e le medesime
esperienze.

La Rnid non sostiene la scelta di figli sordi, ma neppure la vuole
vietare, se genitori e medici sono d'accordo; "quali embrioni debbano
essere scelti per l'impianto deve rimanere una decisione degli
individui e dei loro medici". E non accetta neppure nessun divieto ad
impiantare embrioni che possono sviluppare con certezza future
disabilità, nel caso fossero esclusivamente di questo tipo: "quando
sono disponibili solo embrioni sordi, noi sosteniamo il diritto degli
individui a scegliere l'impianto".

Jackie Ballard, parlamentare inglese, si è fatto portavoce di questa
istanza e sempre al "Sunday Times" ha dichiarato: "Molti genitori
sceglierebbero embrioni udenti, ma riguardo a quei pochi che non lo
farebbero, pensiamo che dovrebbe essere loro permesso di esercitare
quella scelta, e noi vogliamo sostenerli in questa decisione".

Ancora più netta la posizione di Francis Murphy, presidente della Bda:
"Se ai cittadini in generale deve essere data la possibilità di scelta
degli embrioni per l'impianto, e se agli udenti e ad altre persone è
permesso di scegliere embrioni "come loro", con le loro stesse
caratteristiche, lingua e cultura, allora crediamo che anche i sordi
debbano avere lo stesso diritto". Molto significativa e articolata la
lettera con cui lo stesso presidente ha argomentato la propria
posizione.

Innanzitutto, Murphy accusa la normativa proposta di limitare "la
libertà riproduttiva per i cittadini che possiedono caratteristiche
specifiche, inclusi i sordi" e di prevenire la nascita di alcuni tipi
di persone, non solo dei sordi.

Spiega che in questo modo ai sordi sarà negato l'accesso ad alcuni
servizi legati alle nuove tecniche di fecondazione in vitro, e delinea
alcuni scenari che si potrebbero verificare se la legge andasse in
porto così com'è scritta. Uno riguarda la donazione di gameti:
immaginiamo una coppia che non riesca ad avere bambini per infertilità
della donna. I due desiderano avere figli che siano in qualche modo
legati biologicamente ad entrambi, ma l'unica parente della donna che
potrebbe donarle gli ovociti è sorda, e la sua sordità è ereditaria.
Se fosse approvato il testo di legge come proposto adesso, la donna
sorda non potrebbe donare i propri ovociti, e quindi alla coppia
sarebbe negata la possibilità di avere un bambino legato
biologicamente in qualche modo a tutti e due.

La sordità è solo una delle milletrecento condizioni per le quali sono
clinicamente disponibili test genetici. Murphy sottolinea che in
questo modo a molte persone sarà impedito di donare i propri gameti.
Quindi l'opportunità negata è quella di avere "un figlio in famiglia",
qualunque sia il tipo di legame biologico: il problema è che per poter
dire "mio" ad un figlio, si cerca a tutti i costi qualche legame
biologico. Quello stesso legame di cui viene, allo stesso tempo,
negata l'importanza, quando si chiede l'accesso alla fecondazione
eterologa, cioè all'utilizzazione di gameti di una persona esterna
alla coppia.

Un altro problema riguarda invece i designer babies, i bambini su
misura: "una coppia di sordi ha un bambino sordo, concepito con
fecondazione in vitro diversi anni prima, che ha bisogno di un
trapianto di midollo per una malattia indipendente dalla sordità. Il
bimbo sta molto male, e la sua possibilità di sopravvivenza può venire
da un midollo di un donatore compatibile, come un consanguineo. I
genitori sperano di salvare la vita del proprio figlio concependo un
altro bimbo con la fecondazione in vitro, usando la diagnosi
preimpianto per selezionare l'embrione con la migliore compatibilità
di midollo per il loro bambino già nato. Poiché i genitori possono
avere solo figli sordi, e la legge proibisce l'accesso ai servizi di
fertilità sulla base della sordità genetica, alla coppia non solo sono
negati i servizi di fertilità, ma anche l'opportunità di offrire la
migliore chance di sopravvivenza al loro unico bambino".

Da selezione genetica in selezione genetica, insomma, verso il grande
mercato del figlio su misura, mascherato dalle migliori intenzioni. Un
figlio progettato già malato per il desiderio di avere un figlio, o di
guarirne un altro, in nome di una libertà di scelta che, rispetto a
chi deve ancora nascere, non è certo una scelta di libertà. Un figlio
che verrà al mondo con certi precisi requisiti: malato, e
immunocompatibile con il fratello. Un'eugenetica rovesciata: le
sterilizzazioni dei disabili delle politiche eugenetiche del primo
novecento servivano a impedirne la discendenza, a limitare le nascite
di portatori di handicap quando ancora non c'era l'aborto di stato.
Cento anni dopo, l'eugenetica si capovolge, e si parla di libertà
procreativa con le nuove tecniche di fecondazione per aiutare coppie
di disabili ad avere figli come loro, per i più diversi motivi. Si
aprono scenari difficili da immaginare persino nel "mondo nuovo" di
Aldous Huxley.

La lettera del presidente della Bda continua con una lunga disamina
del diritto delle persone sorde a esistere: scoraggiare la nascita di
queste persone porta la società ad avere atteggiamenti negativi nei
confronti della comunità dei non udenti. Argomentazioni pienamente
condivisibili, che potrebbero valere per molti tipi di disabilità.

È chiaro che i disabili, di fronte all'attacco eugenetico che si fa
sentire ogni giorno di più grazie alle nuove tecniche di diagnosi
genetica, cercano in qualche modo di difendersi, e la tentazione di
chiudersi nella propria comunità di appartenenza è forte, specie se
l'esperienza al suo interno è positiva. La ricerca del figlio disabile
è comprensibile quando la si legge proprio come difesa dalle
discriminazioni, come desiderio di non sentirsi estranei e diversi
innanzitutto dai propri figli.

E la questione non è certo limitata al caso inglese: il "New York
Times" nel dicembre 2006 rese nota un'indagine della Johns Hopkins
University: su un campione di centonovanta cliniche che effettuavano
la diagnosi preimpianto, il tre per cento l'ha utilizzata per
selezionare embrioni con disabilità, su richiesta dei genitori.

Non più casi isolati, quindi, come quello della coppia di lesbiche
sordomute che, nel 2002, chiese un donatore di sperma con lo stesso
difetto genetico per poter avere un figlio come loro: la storia venne
raccontata dal "Washington Post", e fece un grande scalpore. Man mano
che le diagnosi genetiche si diffondono, inevitabilmente casi come
questi si fanno sempre più frequenti, investendo non più singole
coppie, ma addirittura intere associazioni che difendono i diritti dei
disabili, come per i non udenti inglesi.

Quando la nascita di un figlio è subordinata ad una selezione
genetica, indipendentemente dalle intenzioni di chi la pratica, per
avere un figlio uguale o diverso da sé, è difficile poi, per non dire
impossibile, venire a capo delle mille contraddizioni che
inevitabilmente si presenteranno.
di Assuntina Morresi - da L'Osservatore Romano del 24 febbraio 2008