Il testo delle nuove linee guida della legge 40 va all’esame del Consiglio
superiore di sanità per il parere finale. Il ministro Turco vuole davvero
concludere il suo incarico con un colpo di coda, emanando il discusso decreto?
Ci pensi bene. Sono numerose infatti le obiezioni tecnico-giuridiche di un atto
di questo. La pensano così molti giuristi.
1 - Aristide Police, ordinario di
Diritto amministrativo all’Università di Tor Vergata.
«La recente
sentenza del Tar del Lazio ha accolto solo l’istanza relativa alla diagnosi
preimpianto. Ma è una sentenza non definitiva, perché su parte della domanda il
Tar ha sospeso il giudizio, sollevando la questione davanti alla Corte
Costituzionale. Alcune delle questioni, quindi, sono ancora pendenti. Inoltre la
pronuncia non è passata in giudicato: può ancora essere impugnata davanti al
Consiglio di Stato, che potrebbe riformarla. L’emanazione di nuove linee guida
contrasterebbe con la consolidata prassi della Pubblica amministrazione:
verrebbero redatte in base a una sentenza suscettibile di riforma in appello,
nonché in pendenza di un giudizio della Consulta».
2 - Lorenza Violini, ordinario di Diritto
costituzionale all’Università degli Studi di Milano.
«Il diritto
all’informazione (sulle condizioni dell’embrione realizzato in vitro) è tutelato
solo se e nella misura in cui non entri in collisione con altri e più alti
valori. Se ci chiediamo in che rapporto stiano i valori tutelati dal divieto di
diagnosi preimpianto (dignità umana, eguaglianza di chances per sani e malati,
divieto di gerarchizzazione degli esseri umani su caratteristiche specifiche)
con un ipotetico diritto dei genitori a essere informati sullo stato di salute
del proprio figlio si può ritenere che il legislatore abbia preferito che talune
informazioni restino non conosciute».
3 - Aldo Loiodice, ordinario di Diritto
costituzionale all’Università di Bari.
«In qualità di legale del
Comitato per la tutela della salute della donna, costituitosi in giudizio
davanti al Tar del Lazio a difesa della linee guida vigenti, posso affermare che
il Comitato ha intenzione di impugnare la sentenza davanti al Consiglio di
Stato. La rapidità con cui le nuove linee guida sembra stiano per essere emanate
non risponde ad alcuna necessità imperiosa né immediata. Se ciò dovesse
accadere, il Comitato è intenzionato a impugnare il nuovo testo, che potrebbe
presentare profili di illegittimità sotto diversi aspetti, formali e
sostanziali».
4 - Annamaria Poggi, ordinario di Diritto
costituzionale all’Università di Torino.
«L’emanazione di linee
guida non pienamente rispettose dei principi contenuti nella legge 40, oltre a
essere un’operazione giuridicamente scorretta, rischia di vanificare l’esito del
referendum del 2005. Non è possibile, infatti, introdurre attraverso linee guida
valutazioni rigettate come quesiti referendari. Nel nostro ordinamento è
previsto che per 5 anni dall’esito negativo di un referendum una legge non si
possa modificare in senso contrario. Questa norma riguarda il caso in cui vi sia
una bocciatura esplicita dei quesiti, ma è analogicamente applicabile anche al
caso di bocciatura attraverso il fallimento del referendum».
5 - Andrea Simonicini, ordinario di
Diritto costituzionale all’Università di Firenze.
«Brandire la
sentenza del Tar del Lazio per affermare che la diagnosi preimpianto è legittima
è un’operazione, sul piano giuridico, di dubbia correttezza. Questa pronuncia ha
annullato un punto delle linee guida perché prescrivevano un’indagine
esclusivamente osservazionale sull’embrione. Ma lo stesso Tar sottolinea che,
invece, la diagnosi è legittima solo laddove consente di tutelare la salute e lo
sviluppo dell’embrione stesso. Una diagnosi preimpianto volta a selezionare gli
embrioni, quindi, è contraria alla lettera della legge e non trova alcuna
legittimazione neppure nella pronuncia del Tar».
6 - Francesco Saverio Marini, ordinario di
Diritto pubblico all’Università di Tor Vergata.
«La sentenza emessa
dal Tar ha annullato la prescrizione delle linee-guida che limitava l’indagine
sull’embrione ad attività osservazionali. Il resto dell’atto non è stato,
invece, ritenuto illegittimo ed è tuttora in vigore. La sentenza dunque non
impone affatto un immediato intervento correttivo del ministero, che sarebbe
illegittimo visto che il termine per l’aggiornamento delle linee-guida non ha
carattere perentorio e che, successivamente alla sfiducia parlamentare, il
ministro dovrebbe limitarsi ai soli atti urgenti e indifferibili. Inoltre,
avendo il Tar sollevato una questione di legittimità costituzionale,
implicitamente ha valutato che sotto questo profilo le linee guida sono conformi
alla legge 40, imponendo sostanzialmente al ministero di attendere la decisione
della Corte».
7 - Filippo Vari, associato di Diritto
costituzionale all’Università Europea di Roma.
«La diagnosi
preimpianto non è uno strumento per curare gli embrioni malati ma una tecnica
per eliminarli. Il che contrasta tanto con le norme della legge 40 che tutelano
il concepito e vietano la selezione eugenetica quanto con gli altri principi
ispiratori della stessa legge, che ha il solo "fine di favorire la soluzione dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana". Gli
scienziati peraltro hanno dimostrato come in molti casi la diagnosi preimpianto
finisca per distruggere anche gli embrioni sani. Infine, i sostenitori della
diagnosi preimpianto finiscono, sia pure implicitamente, per teorizzare che la
dignità delle persone malate è inferiore rispetto a quella delle persone
sane».
8 - Vincenzo Tondi Della Mura, ordinario
di Diritto costituzionale all’Università del Salento.
«Non è
consentito al ministro della Salute di intervenire con nuove linee guida al fine
di colmare la lacuna regolamentare provocata dalla sentenza del Tar per
motivazioni riguardanti il sistema delle fonti del diritto, il principio della
separazione dei poteri e la forma di governo parlamentare. Come afferma la
stessa sentenza, la legge 40 riconosce al ministro il solo "potere di adottare
regole di alto contenuto tecnico e di natura eminentemente procedurale"; le è
dunque inibito di "intervenire, positivamente, sull’oggetto della procreazione
medica assistita", essendo tale potere riservato al Parlamento. L’eventuale
definizione ministeriale di nuovi limiti all’indagine sullo stato di salute
dell’embrione, pertanto, sarebbe illegittima oltreché istituzionalmente
inopportuna, visto l’avvenuto scioglimento delle Camere e il mantenimento in
carica del governo sfiduciato per la sola ordinaria
amministrazione».