L'aborto chimico ha seri problemi con la 194



L’aborto chimico ha seri problemi con la 194

di Assuntina Morresi

L’aborto farmacologico ha problemi di compatibilità con la 194, la legge che regola l’aborto in Italia: lo abbiamo sempre sostenuto. Adesso che le indagini a Torino si sono chiuse e si avvicina il processo per quattro medici coinvolti nella sperimentazione della Ru 486 all’ospedale Sant’Anna, i fatti emergono in tutta la loro chiarezza.

Silvio Viale, il ginecologo radicale che ha guidato quella sperimentazione, potrebbe essere processato per violazione della legge 194, perché ben 38 donne – su 332 che hanno usato la Ru 486 fra agosto 2005 e luglio 2006 – hanno abortito al di fuori dell’ospedale, contrariamente a quanto stabilisce la norma italiana, secondo la quale gli aborti debbono avvenire all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Mario Campogrande, primario, Marco Massobrio, docente universitario, e Gianluigi Boveri, direttore generale all’epoca, potrebbero rispondere davanti ai giudici di eventuali violazioni della legge solo per il primo periodo della sperimentazione.

Con il metodo farmacologico il rispetto della 194 è possibile solamente se le donne si ricoverano per almeno tre giorni, a causa delle modalità stesse dell’aborto con la Ru 486. Il protocollo prevede infatti che il primo giorno le donne assumano la prima pillola, la Ru 486 vera e propria, che uccide l’embrione nel ventre della madre. Dopo 48 ore c’è un secondo farmaco, il misoprostol, che induce le contrazioni e provoca l’espulsione dell’embrione. Dopo due settimane c’è la visita di controllo per verificare che l’aborto sia avvenuto completamente e l’utero si sia svuotato.

Ma dal momento in cui assume la Ru 486, la donna non sa quando, dove, come e se abortirà: il 5% circa espelle l’embrione fra il primo e il secondo farmaco. L’80% lo espellerà entro 24 ore dal secondo farmaco, cioè entro i primi tre giorni dall’inizio della procedura, e un 12-15% nei quindici giorni successivi. Le altre avranno bisogno di un intervento chirurgico per aborto incompleto o perché la gravidanza è continuata. Dunque per essere certi che si abortisca in ospedale, come richiesto dalla legge, è necessario predisporre un ricovero di almeno tre giorni. Gran parte delle donne sottoposte alla sperimentazione invece sono tornate a casa dopo l’assunzione della prima pillola, contrariamente a quanto previsto anche dal protocollo di sperimentazione. E per ben 38 di loro l’aborto è avvenuto al di fuori della struttura ospedaliera. «Avevo uno spettacolo – ha spiegato una di loro, ballerina di tango – e mi sono sentita dire che non ci sarebbero stati problemi. Però, qualche ora dopo l’esibizione, ho abortito a casa». «Ero sola in casa quando, all’improvviso, ho cominciato ad avere un’emorragia. Non sapevo come comportarmi e ho dovuto chiamare un’amica prima di precipitarmi in ospedale». Sono due delle testimonianze raccolte dagli inquirenti torinesi, e danno la misura di cosa avviene quando si sceglie la procedura abortiva farmacologica, se non si è in ospedale. Oltre a essere più pericolosa (una mortalità dieci volte maggiore di quella per aborto chirurgico) e avere una maggiore quantità di effetti collaterali, oltre che più duraturi, la Ru 486 rende l’intera procedura abortiva più lunga rispetto a quella chirurgica attualmente usata, ed estremamente incerta nei tempi.

Il Consiglio Superiore di Sanità si è già pronunciato a riguardo: perchè l’aborto farmacologico si possa effettuare con le stesse garanzie del normale metodo chirurgico per la salute della donna, è necessario il ricovero ospedaliero fino ad aborto concluso, cioè fino a espulsione dell’embrione. Eppure Massobrio, uno degli indagati, ha dichiarato: «Quando l’aborto farmacologico entrerà nell’uso comune, se mai succederà, non si potrà certo prevedere di farlo in ricovero ordinario di tre giorni. Sarebbe assurdo». Assurdo rispettare la legge?

L’alternativa è modificare la 194, come è accaduto in Francia, dove si è prima variata la definizione di aborto, facendolo coincidere con l’assunzione della pillola e non con l’espulsione dell’embrione. Questo non è bastato. Dopo qualche anno è stato introdotto l’aborto a domicilio: le francesi possono scegliere di abortire a casa, dopo aver assunto la prima pillola davanti al medico. Da sole, dopo 48 ore, assumeranno la seconda, con in tasca gli antidolorifici e il foglietto delle istruzioni, insieme al numero di telefono dell’ospedale più vicino nel caso in cui le perdite di sangue – solitamente molto abbondanti – diventino una vera e propria emorragia, eventualità che a volte rende necessaria anche una trasfusione.

Che i problemi della Ru 486 non fossero dettati dalla politica ma dal metodo stesso è anche evidente dal fatto che la sperimentazione è iniziata con il ministro Sirchia, del centro-destra, sospesa e poi ripresa con il nuovo ministro Francesco Storace, ed è stata definitivamente sospesa con un governo di centrosinistra (ministro Livia Turco) dall’assessore alla Sanità piemontese Mario Valpreda, di Rifondazione Comunista.