L'aborto chimico ha seri problemi con la 194
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- Date: Sat, 23 Feb 2008 18:03:05 +0100
L’aborto chimico
ha seri problemi con la 194
di Assuntina Morresi L’aborto farmacologico ha problemi di compatibilità con la 194, la legge che
regola l’aborto in Italia: lo abbiamo sempre sostenuto. Adesso che le indagini a
Torino si sono chiuse e si avvicina il processo per quattro medici coinvolti
nella sperimentazione della Ru 486 all’ospedale Sant’Anna, i fatti emergono in
tutta la loro chiarezza. Con il metodo farmacologico il rispetto della 194 è possibile solamente se le donne si ricoverano per almeno tre giorni, a causa delle modalità stesse dell’aborto con la Ru 486. Il protocollo prevede infatti che il primo giorno le donne assumano la prima pillola, la Ru 486 vera e propria, che uccide l’embrione nel ventre della madre. Dopo 48 ore c’è un secondo farmaco, il misoprostol, che induce le contrazioni e provoca l’espulsione dell’embrione. Dopo due settimane c’è la visita di controllo per verificare che l’aborto sia avvenuto completamente e l’utero si sia svuotato. Ma dal momento in cui assume la Ru 486, la donna non sa quando, dove, come e se abortirà: il 5% circa espelle l’embrione fra il primo e il secondo farmaco. L’80% lo espellerà entro 24 ore dal secondo farmaco, cioè entro i primi tre giorni dall’inizio della procedura, e un 12-15% nei quindici giorni successivi. Le altre avranno bisogno di un intervento chirurgico per aborto incompleto o perché la gravidanza è continuata. Dunque per essere certi che si abortisca in ospedale, come richiesto dalla legge, è necessario predisporre un ricovero di almeno tre giorni. Gran parte delle donne sottoposte alla sperimentazione invece sono tornate a casa dopo l’assunzione della prima pillola, contrariamente a quanto previsto anche dal protocollo di sperimentazione. E per ben 38 di loro l’aborto è avvenuto al di fuori della struttura ospedaliera. «Avevo uno spettacolo – ha spiegato una di loro, ballerina di tango – e mi sono sentita dire che non ci sarebbero stati problemi. Però, qualche ora dopo l’esibizione, ho abortito a casa». «Ero sola in casa quando, all’improvviso, ho cominciato ad avere un’emorragia. Non sapevo come comportarmi e ho dovuto chiamare un’amica prima di precipitarmi in ospedale». Sono due delle testimonianze raccolte dagli inquirenti torinesi, e danno la misura di cosa avviene quando si sceglie la procedura abortiva farmacologica, se non si è in ospedale. Oltre a essere più pericolosa (una mortalità dieci volte maggiore di quella per aborto chirurgico) e avere una maggiore quantità di effetti collaterali, oltre che più duraturi, la Ru 486 rende l’intera procedura abortiva più lunga rispetto a quella chirurgica attualmente usata, ed estremamente incerta nei tempi. Il Consiglio Superiore di Sanità si è già pronunciato a riguardo: perchè
l’aborto farmacologico si possa effettuare con le stesse garanzie del normale
metodo chirurgico per la salute della donna, è necessario il ricovero
ospedaliero fino ad aborto concluso, cioè fino a espulsione dell’embrione.
Eppure Massobrio, uno degli indagati, ha dichiarato: «Quando l’aborto
farmacologico entrerà nell’uso comune, se mai succederà, non si potrà certo
prevedere di farlo in ricovero ordinario di tre giorni. Sarebbe assurdo».
Assurdo rispettare la legge? Che i problemi della Ru 486 non fossero dettati dalla politica ma dal metodo stesso è anche evidente dal fatto che la sperimentazione è iniziata con il ministro Sirchia, del centro-destra, sospesa e poi ripresa con il nuovo ministro Francesco Storace, ed è stata definitivamente sospesa con un governo di centrosinistra (ministro Livia Turco) dall’assessore alla Sanità piemontese Mario Valpreda, di Rifondazione Comunista. |
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