L'India ha due piaghe: le "donne sparite" e le violenze contro i cristiani



L'India ha due piaghe: le "donne sparite" e le violenze contro i cristiani

Le prime si contano a decine di milioni, uccise nel grembo materno o da bambine. Quanto all'intolleranza anticristiana, l'ultima esplosione si è avuta nell'Orissa. Ad opera di fanatici dell'induismo e delle caste alte

di Sandro Magister



ROMA, 20 febbraio 2008 – Oltre che in Cina, la Chiesa cattolica è a dura prova anche nell'altro gigante asiatico, l'India.

Sono soprattutto due le questioni che la Chiesa cattolica dell'India deve affrontare.

La prima riguarda "la promozione della donna nella Chiesa e nella società", titolo dell'assemblea plenaria dei vescovi indiani, riunita dal 13 al 20 febbraio a Jamshedpur, 1.300 chilometri a sudest della capitale Delhi.

A inaugurare l'importante assemblea – che si tiene ogni due anni – è giunto da Roma il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del pontificio consiglio per i laici.

Nella sua prolusione, egli ha messo l'accento sulla piaga del feticidio e dell'infanticidio femminili.

L'uccisione delle bambine sia nel grembo materno sia dopo la nascita – spesso con erbe velenose o annegandole, simulando un incidente – è una pratica che in India è fortemente diffusa. In molte famiglie la nascita di una bambina è considerata un peso insopportabile, anche per la costosissima dote che dovrà accompagnare il suo futuro matrimonio. La possibilità di conoscere in anticipo il sesso del nascituro ha moltiplicato a dismisura l'aborto selettivo delle bambine.

Per arginare la strage il governo indiano ha proibito l'individuazione prenatale del sesso, ma questo divieto è largamente aggirato. L'effetto è un impressionante squilibrio demografico tra i maschi e le femmine, che in alcuni luoghi raggiunte punte vertiginose. Nello stato del Madhya Pradesh, nei distretti di Bhind e Morena, vi sono oggi solo 400 donne ogni 1000 uomini.

La Chiesa cattolica si batte per contrastare il fenomeno e risvegliare le coscienze, con l'accordo di altre confessioni religiose. L'ultima iniziativa in questo senso è un appello lanciato a fine gennaio da duecento leader religiosi indiani, di fede cristiana, induista, islamica e sikh, contro questo "crimine contro Dio e contro l'umanità".

Una campagna internazionale non meno vigorosa contro la piaga delle "donne sparite" dell'India e di altri paesi è quella avviata in Italia lo scorso dicembre dall'intellettuale laico Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano d'opinione "il Foglio".

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La seconda realtà che mette a dura prova la Chiesa in India è la violenza anticristiana di settori fanatici dell'induismo.

È una violenza che ha avuto un crescendo negli ultimi anni, soprattutto in alcuni stati. Il Gujarat e l'Orissa sono tra questi. Nell'Orissa, che si affaccia sul Golfo del Bengala, a sud di Calcutta, nel 1999 furono uccisi, nella loro auto data alle fiamme, il missionario protestante australiano Graham Staines e i suoi due figli.

Coloro che sono ostili ai cristiani li accusano di far proselitismo e con ciò di violare la Hindutwa, l'identificazione tra l'India e l'induismo propugnata dalle correnti intolleranti del nazionalismo indù. In realtà, su 1 miliardo e 200 milioni di indiani, i cristiani di tutte le confessioni sono poco più del 2 per cento. E non sono in espansione ma in lieve diminuzione: dal 2,6 per cento del 1971 al 2,3 per cento del 2001.

Nello stesso tempo, però, i cristiani gestiscono in India una scuola elementare ogni cinque, una casa per vedove e orfani ogni quattro, un ricovero per lebbrosi e malati di AIDS ogni tre. Madre Teresa di Calcutta è una gloria nazionale. Tranne che per gli induisti fanatici.

Infatti, l'ultima esplosione di violenza anticristiana che si è avuta nell'Orissa non ha risparmiato nemmeno le suore e i fratelli di Madre Teresa. Lo scorso Natale tre loro case, nel distretto di Khandhamai, sono state assaltate da una turba inferocita armata di spade, asce, spranghe di ferro e bastoni. Le suore e i fratelli hanno dovuto fuggire nei boschi. Gli aggressori si sono sfogati devastando le case e le cappelle.

Questa ondata di aggressioni contro i cristiani è cominciata la vigilia di Natale ed è proseguita nei giorni successivi in varie località, assaltando chiese, bruciando case, devastando negozi.

Il cardinale Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi, dopo una visita alle zone colpite ha così descritto cosa ha visto all'agenzia "Asia News":

"Una distesa di cenere, questo è ciò che rimane nelle zone colpite dalle violenze anticristiane di Natale in Orissa. È qualcosa di diabolico: chiese dissacrate, case bruciate. I villaggi su cui si è abbattuta la violenza degli estremisti indù sono ora un grande forno crematorio a celo aperto".

Raphael Cheenath, l'arcivescovo di Cuttack e Bhubaneswar, la diocesi più colpita, in un consuntivo degli assalti diffuso a fine gennaio ha quantificato le vittime e le distruzioni in 6 morti, 5 mila senza tetto, 70 chiese, 600 case, 6 conventi, 3 seminari. Altrettanto ha riferito la conferenza episcopale indiana in un memorandum consegnato alla commissione nazionale per i diritti umani.

Nel suo rapporto, l'arcivescovo Cheenath punta il dito contro coloro che ritiene i promotori delle aggressioni contro i cristiani: gli ideologi dell'induismo intollerante, annidati nella Vishva Hindu Parishad. e i membri delle caste altolocate, che vedono male l'ascesa sociale dei Dalit, i più poveri, fuori casta ed "impuri", molti dei quali convertiti al cristianesimo.

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Il testo integrale, in inglese, del rapporto dell'arcivescovo di Cuttack e Bhubaneswar, Raphael Cheenath:

> Christian Minorities in Orissa under Attack

Una sintesi del medesimo rapporto pubblicata da "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio 2008:

> Il dialogo è necessità vitale nello stato indiano dell'Orissa

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Le due agenzie cattoliche più informate sulle violenze anticristiane in india:

> Asia News

> UCA News

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