Torino: cronaca del corteo del 19 gennaio
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- Date: Tue, 22 Jan 2008 02:04:43 +0100
Torino: cronaca del corteo
del 19 gennaio
Rompere il
silenzio! Sabato pomeriggio, una
bella giornata di metà inverno, di quelle che le montagne le tocchi con lo
sguardo ovunque ti giri. Piazza Castello, davanti al
teatro Regio piano piano si riempie. All’appello “Rompere il silenzio!” hanno
risposto in tanti: torinesi e anche un buon numero di compagni venuti da ogni
dove. Un corteo che è cresciuto lungo la strada, ingrossandosi gradualmente
prima di arrivare nel cuore di Barriera di Milano. Ma facciamo un passo
indietro. Una difficile scommessa
Una scommessa nata poco a
poco quella del corteo di Torino del 19 gennaio. Una scommessa scaturita da un
lungo confronto su quanto stava avvenendo in città: dal processo e condanna
degli antifascisti del 18 giugno 2005 all’incendio doloso del campo rom di via
Vistrorio, dall’opposizione alle mille nocività che ci affliggono alla questione
del lavoro che uccide. Un corteo per raccontare le tante storie di chi non ha
voce, le tante storie dimenticate o distorte da un’informazione che non è che
rauco raglio di consenso per i potenti della città. Non era facile costruire un
percorso politico sull’aria che tira, un’aria di merda, un’aria che sa di
chiusure identitarie, di voglia di forca sempre più forte nelle periferie
strangolate dall’indifferenza e dalla paura. Sul ciglio della strada maestra
della politica, quella che gioca l’eterno gioco del potere, delle alleanze che
variano e mutano, delle leggi elettorali fatte per questo e non per quello,
nelle brevi note a margine della cronaca, emerge una spaventosa quotidianità,
fatta di attacchi e aggressioni fasciste, di ordinanze e leggi contro gli
immigrati, di ronde padane, di cortei per la “sicurezza”, di sudiciume culturale
elevato al rango di opinione. Chi ci governa, chiunque
sia, alimenta la guerra tra poveri, facendo del razzismo una dottrina di
Stato. È capitato che in una sola
notte, nella nuova Torino tutta luci d’artista e grandi opere, sette operai
siano morti tutti insieme, in un’unica fiammata dentro una fabbrica dove si
lavora e si crepa come nell’800. Dolore, rabbia, le lacrime calde di chi vede la
propria vita specchiata in quella dei sette operai caduti nella guerra del
lavoro, una guerra che miete più vittime di quelle guerreggiate, ma resta
nascosta tra i non detti del nostro vivere sociale. Se si desse il suo nome a
questa guerra, nessuno potrebbe continuare a chiamare “incidenti” gli omicidi
dei lavoratori, se si desse il suo nome a questa guerra si saprebbe che non ci
sono norme o tutele che tengano di fronte alla frenesia di chi vuol produrre e
guadagnare, di chi considera l’operaio una macchina facilmente sostituibile, di
ben poco valore. E poi ci sono le lacrime
ipocrite di chi, dai banchi del parlamento, dalle poltrone del governo, dalle
stanze delle burocrazie sindacali per anni ha lavorato perché i padroni
potessero riprendere il controllo dei posti lavoro, quei posti dove, per una
breve stagione, le cose erano andate un po’ meglio per chi per vivere è
costretto a vendere la vita. A volte anche a
perderla. Non era facile raccontare
le tante vicende sommerse di questa città e, insieme, trovare il filo conduttore
di una storia che non si può spezzare senza rompere l’ordine sociale e politico
che la rende possibile, senza riprendere ad intrecciare i rapporti solidali tra
chi ha poco e chi ancor meno. Non era facile perché si
trattava di attraversare uno spazio simbolico e reale devastato dal successo
dalla città-luna park voluta dalla giunta Chiamparino, di investire sulla
possibilità che vi fosse una città capace di rispondere ad un appello che
escludeva una sinistra di governo, quella che si fregia dell’altisonante
appellativo di “sinistra radicale”, ma ogni giorno avvalla a naso turato le
peggiori porcherie: dalla guerra ai cpt, dal pacchetto sicurezza alle grandi
opere, per arrivare sino all’invio dell’esercito per fronteggiare la rivolta dei
cittadini napoletani. Il corteo di sabato
La guerra dei
media L’ennesimo episodio di
prevaricazione poliziesca è stato utilizzato da Nel giro di un paio d’ore
un gruppo di persone si riversa in strada, bloccando corso Regina e chiedendo a
gran voce il rilascio dei compagni fermati. Un tentativo di partire in
corteo viene impedito dalla polizia che carica, disperdendo i manifestanti, due
dei quali verranno fermati e successivamente arrestati con l’accusa di
resistenza aggravata. La sera si conclude con un presidio davanti alla questura,
in una nottata bagnata e silente. I compagni usciranno nei
due giorni successivi: le udienze di fronte al gip non confermano gli
arresti. Subito parte la campagna di
criminalizzazione. I media si scatenano: vecchie foto di scontri vengono
piazzate a centro pagina, si parla di guerriglia urbana, violenze, addirittura
di “assedio alla questura”. Un orgia di balle ben calibrate che si concludono
puntualmente con l’allarme per il corteo del 19. L’apoteosi si raggiunge il
giorno precedente, quando i tre quotidiani torinesi annunciano scontri e
distruzioni, mentre leghisti e fascisti si buttano sull’osso, fanno
interrogazioni parlamentari, scrivono ad Amato per chiedere che vieti la
manifestazione, organizzano un presidio in centro, cui risponde puntuale un
contropresidio dei compagni. Il giorno dopo il corteo i
media concludono il loro sporco lavoro: fanno folclore, si soffermano su abiti e
acconciature, sostengono che il corteo è stato disertato, che la città non ha
risposto, che gli anarchici sono isolati: un mare di menzogne. Niente o quasi
sui contenuti, niente o quasi sulle ragioni della manifestazione, che non ci
sono o sono solo pretesti per scatenare violenze. La solita paccottiglia sulle
scritte sui muri, sugli squatter eternamente giovani, sui faisti sempre vecchi,
sugli insurrezionalisti venuti da lontano coronano gli articoli dei maggiori
quotidiani. Cronaca – dall’interno – di
una bella giornata Quella di sabato 19 è stata
una giornata importante, un corteo con tante anime che ha saputo creare
comunicazione, rompendo il silenzio e spezzando l’accerchiamento dei
media. Ci si raduna di fronte al
Teatro Regio sin dall’una, dopo aver partecipato al presidio di fronte alla RAI
in solidarietà alla popolazioni campane in lotta contro discariche ed
inceneritori. La piazza si riempie: arrivano i compagni da fuori e soprattutto
tanti torinesi. Subito partono gli interventi, che segneranno tutto il corteo,
con soste continue. Alessio Lega e il suo compare Rocco abbracciano chitarra e
basso e cantano le loro canzoni di rivolta e lotta. Intorno alle tre e mezza il
corteo parte. In mezzo alla piazza brucia una tavola di legno con il simbolo di
Confindustria. Lo schieramento di polizia è imponente e tende a dilagare intorno
al corteo che sosta lungamente finché gli uomini in divisa non si allontanano.
Il corteo si muove lentamente: in apertura lo striscione “rompere il silenzio!”
poi i vari spezzoni, quello della Federazione Anarchica, poi quelli di Torino
Squatter, poi i compagni che si raccolgono intorno allo slogan “senza tregua per
il conflitto sociale”. Tra i partecipanti ricordiamo l’Assemblea antifascista
permanente di Bologna, Durante il corteo si fanno
numerose soste; in via Po per ricordare le cariche del 18 giugno 2005 e le
condanne degli antifascisti, e poi davanti al Fenix sgomberato che viene
bersagliato con la vernice, poi ancora in corso Giulio Cesare dove i tanti
immigrati presenti sono invitati a unirsi al corteo, che si ingrossa sempre più
grazie alla loro partecipazione. Le numerose telecamere lungo il percorso
vengono oscurate. All’angolo con corso Novara, di fronte alla lapide che ricorda
il partigiano anarchico Ilio Baroni, un compagno riannoda i fili della lunga
resistenza torinese, una resistenza che continua. In piazza Crispi – per un
giorno diventata piazza Francisco Ferrer – si susseguono gli interventi a
microfono aperto. Ricordiamo, tra i tanti, quello di un giovane marocchino che
parla della vita degli immigrati, con un intervento preciso e
determinato. La folta partecipazione,
oltre le duemila persone, la capacità comunicativa sono stati i segni distintivi
di una giornata che ha portato in piazza Fermarli è dannatamente
urgente. Federazione Anarchica
Torinese – FAI Corso Palermo 46 –
Torino La sede è aperta ogni
giovedì dopo le 21. Per info e
contatti: 338
6594361 |
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