LETTERA DI UNA NAPOLETANA



----Messaggio originale----
Da: delforno at hotmail.it
Data: 14-gen-2008 
11.11
A: "Franca Buonfino"<franci1000 at hotmail.it>, "Loredana"<l.
buggiani at alice.it>, "Carmine Egizio"<c.egizio at libero.it>, "Camillo 
Coppola"<camillo.coppola at tin.it>, "Flavia Coppola"
<flaviacoppola at hotmail.com>
Ogg: FW: lettera di una Napoletana


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aldocarriola at fastwebnet.it; miccolialberto@virgilio.itSubject: lettera 
di una NapoletanaDate: Fri, 11 Jan 2008 20:03:31 +0100

LEGGETE QUESTA 
LETTERA DI UNA CITTADINA NAPOLETANA

Sono le viscere a farsi sentire in 
questi giorni. Nel profondo della carne, in quella oscura zona al 
confine tra cuore, corpo e anima, c’è un dolore acuto, una sofferenza 
ancestrale, il malinconico ritorno di una primitiva sensazione di 
lacerazione. È come se un coltello dalla punta affilata ti tranciasse 
lo stomaco, come se dovessi pagare tutti i debiti dell’umanità, come se 
ti avessero ferito, violentato e denudato la madre. Ed il dolore più 
intenso, il malessere più sfacciato si fa sentire quando ti interroghi 
sulla solitudine o meno del tuo sentire.
Napoli in questi giorni sta 
mostrando al mondo le sue ferite, scavate con profonda incisione nella 
sua pelle. La rabbia e la tristezza ti assalgono, lo schifo s’
impossessa di te. Perché quelle ferite un tempo erano graffi che con l’
evolvere delle stagioni si sono aggravati, sempre più, sempre più, 
sempre più. Ma erano lì, nettamente visibili, anche anni fa.. Ma in 
questa terra mitica e bella, perché baciata dagli dei, da Dio e forse 
da Allah, gli occhi non vedono, non possono per ignoranza o non 
vogliono per tracotanza e superficialità. È così vale per tutti i 
sensi. Compreso l’olfatto, messo a dura prova in questi giorni. Ora gli 
occhi devono per forza vedere, la mente deve per forza informarsi e 
concentrarsi, l’anima deve per forza interrogarsi, spinti come sono da 
quella puzza, insopportabile, indegna, incivile della munnezza. Ma è 
tardi per iniziare a vedere. Perché chi fino ad ora avrebbe dovuto 
amministrare e se ne è fregato, prende la sue decisioni per “tamponare” 
un’emergenza di 15 anni. L’urgenza è qui la normalità. L’ordinario si 
nasconde dietro lo straordinario. È tardi perché i ragazzi si prendono 
a sassate come sulla striscia di Gaza. È tardi perché queste terre sono 
una volta di più maledette per una mattanza di vite che ha nei tumori 
il suo strumentale grilletto. È tardi perché la dignità non ci ha 
salvati né mai ispirati. Perché non sappiamo cosa sia la dignità di un 
popolo, la sua ferrea e feroce voglia di riscattarsi, il suo pretendere 
la normalità, il suo meritarsi rispetto e non più derisione.
Siamo un 
popolo di monnezza. L’abbiamo sempre avuta sotto gli occhi, nelle sue 
molteplici forme materiali ed umane. Ma l’abbiamo accettata, l’abbiamo 
tollerata, ad essa non ci siamo ribellati. Era sempre qualcun altro, un 
commissario, un governatore, un sindaco a dovercela levare. Di certo 
queste persone hanno le loro sacrosante responsabilità. Non sono degni 
di rappresentare lo Stato né tanto meno i Cittadini. In troppi modi ed 
occasioni si sono macchiati di incapacità, arroganza, inefficienza e 
chissà forse anche di illegalità. Anche in queste ore l’insopportabile 
teatrino politico mostra i suoi lati vergognosi che tanto l’allontanano 
da quella nobile arte che è appunto la politica, che come primo 
obiettivo dovrebbe avere l’interesse generale. Ed invece la giostra è 
sempre la stessa: scaricabarili, sconcertante ignoranza e assurda 
mancanza di preparazione,speculazioni partitiche, sfruttamento della 
disperazione di gente e situazioni per far passare, senza accurate 
analisi, decisioni imbarazzanti.Ma dove erano i napoletani intanto? 
Dove erano i miei concittadini? Dove erano gli avvocati, gli 
imprenditori, i professori, i medici, gli studenti, i commercianti, i 
preti, i benpensanti e gli onesti? Dove? Dove erano i borghesi perbene, 
i ragazzi che affollano le aule delle università? Anzi dove siete? Come 
è possibile che accettiate questa situazione? Come si può abbassare lo 
sguardo su una città che vive una guerriglia al suo interno, una 
discarica tossica riaperta, un incremento dei tumori, la contaminazione 
delle acque e delle verdure che voi tutti mangiate? Come accettate di 
essere la discarica abusiva dell’Italia intera e forse oltre?
Mentre la 
città muore soffocata dai suoi stessi escrementi, ho visto eleganti 
uomini di stato intrattenersi in ristoranti esotici. Mentre si scatena 
la guerra civile a Pianura, ho sentito tutto il menefreghismo del resto 
della popolazione. Mentre alcuni sensibili giovani cercano di 
acquistare compostiere da giardino, ho visto i posillipini perbene 
gettare per strada alberi di Natale, divani, materassi e vecchi 
scaldabagni sui cumuli dei loro stessi rifiuti. Mentre Quarto è 
assediata e sprovvista dell’ausilio di forze dell’ordine, ho visto una 
volante della polizia presidiare la casa del mio presidente Bassolino.
Allora si, nessuno si salva in questa situazione. C’è tanto orrore, 
tanta disperazione tra la gente, in un territorio violentato e 
abbrutito, in una società non più umana. Vicino a tanta rabbia, la 
speranza si affievolisce sempre di più. Ti dici che non bisogna gettare 
la spugna, né la “presa”. Ti domandi se le persone possono cambiare, ti 
auguri che ognuno cominci finalmente a fare il proprio lavoro, con 
serietà, rigore, intelligenza. E questo politica e cittadini, avvocati 
e magistrati, professori e medici…Soprattutto qui, soprattutto in 
questa città e in questa regione, dove i confini tra lecito ed 
illecito, buoni e cattivi, civiltà e inciviltà sono così labili, 
fragili come il più pregiato dei vasi di ceramica. Anche i cittadini 
devono fare il proprio dovere. Devono informarsi, vigilare, attivarsi 
se necessario. Qui più che altrove. Qui non ci sono strutture virtuose, 
non c’è chi organizza la vita pubblica, per questo i cittadini devono 
fare un lavoro in più, devono assumere un impegno e responsabilità non 
necessari in altri luoghi. Solo se la cittadinanza diventa essa l’
eroina di se stessa (ricordate Brecht?) forse qualche barlume di 
speranza per una vita facile, normale, giusta si potrà accendere.
Altrimenti la sola via di fuga è… la fuga. È l’abbandono delle proprie 
radici e della propria terra. È la ricerca della normalità in città e 
paesi dove essa è offerta e raggiungibile nell’ordinario. Mi ritrovo 
così a ripetere a me e ai miei coetanei quello che Eduardo, che pur 
rimase qui, declamò anni fa. La storia si ripete, speriamo sia l’ultima 
volta.