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Pratiche di partenariato: donne e uomini per il cambiamento

Elettra Deiana

Ci sono i grandi processi umani: i cambiamenti molecolari, spesso lenti e
sedimentati nel tempo, talora apparentemente improvvisi, come condensati
intorno a una vicenda particolare - nei lontani anni Sessanta del secolo
scorso, il coraggio di Franca Viola, che ruppe il codice d'onore della
Sicilia patriarcale, agì da detonatore e acceleratore di dinamiche
sicuramente già in atto, che di là a poco sarebbero esplose -  e c'è
l'emergere di nuovi soggetti, lo spiazzamento che essi producono
nell'ordine delle cose esistente, le richieste, fino ad allora impensate e
impensabili, che i soggetti avanzano, le brecce che aprono, gli orizzonti
di senso che ridefiniscono.
E c'è l'azione politica, consapevole e orientata, che sta nei processi che
avvengono, è un tutt'uno con essi oppure a essi si riferisce, da essi trae
alimento forza legittimità. Se è azione per il cambiamento.
Le donne sono state e continuano a essere protagoniste del più poderoso
processo di cambiamento dell'umanità, quello che mette in discussione i
rapporti di dominio tra la parte maschile e la parte femminile, quello che
ha rotto sul piano storico-antropologico, oltre che su quello sociale,
giuridico, politico, l'ancestrale dispositivo, insieme pratico e mentale,
che colloca(va) le donne in posizione seconda, a latere, subordinata.
Questo processo di rottura è in atto in ogni parte del mondo globalizzato,
nonostante immani difficoltà e contraddizioni senza fine, anche tra le
donne, e ha messo, mette in crisi la catafratta volontà di potenza e la
strenua resistenza del patriarcato, operando un benefico disordine nei
rapporti tra i sessi, che è foriero di civiltà e libertà per tutte e tutti
ma è anche suscitatore di inedita e inaudita violenza contro le donne, di
nuove forme di misoginia, di inquietanti processi maschili di rimozione e/o
cannibalizzazione di ciò che le donne hanno mosso e cambiato nel mondo. E'
il modo questo più subdolo e pericoloso che gli uomini sanno mettere in
atto oggi per non soccombere e mantenere il potere, per depistare e
svuotare le istanze di liberazione umana che le donne attivano. 
Siamo a questo punto, di questo parlano fenomeni apparentemente diversi tra
loro e tuttavia collegati dall'esistenza di un mondo maschile in crisi - di
identità, legittimità, capacità di fare ordine - che tuttavia non vuole
mollare l'osso e si ricostruisce come può, un po' orrido, un po' grottesco
e patetico, spesso violento e di nuovo escludente, a dispetto del
politically correct che i maschi, quelli occidentali ovviamente, quelli
italiani in particolare, inalberano a ogni piè sospinto.
Fenomeni apparentemente diversi: come la quotidiana violenza che si consuma
sul corpo e sulla mente delle donne, molestate stuprate, seviziate e
ammazzate, in famiglia e nella cerchia amicale soprattutto, per strada,
dove capita; come l'uso strumentale che di questa violenza viene fatto, per
parlare d'altro, per non misurarsi con la radice sessuale e perturbante di
questa violenza, che riguarda il sesso maschile come tale, nel suo rapporto
con l'altro sesso, non solo il singolo violentatore e assassino. Per
parlare d'altro, per dire che  occorrono pacchetti sicurezza, crociate
contro gli stranieri che insidiano i "nostri territori" (donne e suolo,
sangue e territorio, filiera primaria dell'appartenenza comunitaria che va
tenuta sotto controllo anche nella "civilissima" Europa), nuovi poteri di
polizia a sindaci, prefetti e via discorrendo.
Fenomeni apparentemente diversi: come  le nuove esclusioni femminili dal
mercato del lavoro e l'occhiuta tenace opposizione dei poteri maschili a
che le donne abbiano carriere professionali che non siano più complicate e
difficili di quelle maschili, e ruolo pubblico e accesso ai luoghi della
decisione e ai media. Vediamo invece in azione la complicità maschile,
bipartisan, trasversale, compiacente, che rimuove il problema o lo riduce a
semplice fatto di cronaca, voltando pagina. Il rapporto del World Economic
Forum sulla partecipazione femminile alla vita economica politica e sociale
boccia l'Italia, piazzata solo all'ottantaquattresimo posto della
graduatoria mondiale, ultimo fanalino di coda in Europa. A fronte di una
passione femminile per lo studio, che si evidenzia anche nel nostro Paese
ma si perde poi nei meandri della solitudine femminile, tra l'indifferenza
sociale al destino delle donne e gli obblighi familiari ancora di nuovo
"questione femminile".
Fenomeni apparentemente diversi: come l'assalto alle nuove rappresentanze,
alle nuove forme della politica, alle nuove aree di riferimento, tutte
rigorosamente di maschi e al maschile. Maschile è anche quel costruire ad
arte parterre di contorno politico al femminile, quel servirsi del
femminile, per contrabbandare in veste di innovazione antiche e oscene
formule di potere che, nei fatti e nella rappresentazione simbolica, non
potrebbero essere più maschili.
A sinistra la desolazione dei rapporti tra uomini e donne è identica a
quanto accade nel contesto generale e non ne è immune il percorso che si
sta facendo per ricostruire un'area, un soggetto, una federazione - si
vedrà - di sinistra. Uomini affannosamente all'opera in un mondo
autoreferenziale occhiutamente di uomini, intenti intanto ad occupare le
prime file e a prendere accordi fra loro in cabine di regia separate,
mentre rischiano di rimanere indietro o al lato o a tornare a casa  ancora
una volta molte donne.
Riattivare forme di conflitto e di contrattazione anche aspra tra uomini e
donne, se veramente si ha a cuore l'idea di salvare uno spazio e un
orizzonte per la sinistra, che sarebbe veramente oscena se fosse di soli
uomini con qualche donna al seguito, come rischia di essere.
Pretendere regole vincolanti di democrazia di genere a tutti i livelli,
negli istituti della rappresentanza, nei luoghi delle decisioni pubbliche,
nei gruppi politici. Nell'accesso ai media.
Fare della violenza sulle donne, della loro emarginazione e solitudine
sociale, del genocidio simbolico del genere femminile, che deriva dalla
pretesa maschile di occupare ogni spazio e ogni anfratto, un grande tema
della politica, una chiave di lettura dirimente dei processi della
globalizzazione.
Costruire su tutto questo una consapevole e mirata politica di partenariato
tra donne e uomini. Si può e si deve partire da questa assunzione di
responsabilità pubblica condivisa, che non annulla problemi,
contraddizioni, difficoltà ma colloca tutto in un quadro di progettualità
politica per il più urgente dei cambiamenti della politica. Perché ci sono
i grandi processi umani e c'è la politica che li deve incontrare e farci i
conti. Oggi quello delle donne è un grande processo umano con cui la
politica deve fare i conti.
Per questo vale la pena di lavorare  progettualmente sull'idea di un
partenariato politico tra uomini e donne, un partenariato democratico,
equo, solidale, senza cabine di regia separate, che si dichiari tale, che
attiri l'attenzione e coinvolga forze femminile e maschili a partire dal
suo voler essere un vero e proprio programma di lavoro da verificare
insieme e puntualmente nel percorso che intraprendiamo. Un'idea da mettere
in atto subito con pratiche e modalità che rompano con la preminenza e
supponenza maschile nella parola, nella rappresentazione del mondo, nella
decisionalità.  Ovviamente non si tratta del toccasana dei mali della
politica. Sicuramente di tratta di un passaggio di cui non è più possibile
fare a meno.

22 novembre 2007