Prigioniera tra due
continenti |
|
|
La protezione della
dissidente islamica Ayaan Hirsi Ali non è
negoziabile
| |
La dissidente somala
Ayaan Hirsi Ali ha rifatto le valigie. Per tornare in Olanda, la patria di
adozione che aveva lasciato un anno fa, dopo essere finita in cima alla
lista della furia fondamentalista. Minacciata di morte con tanto di
lettera appuntata sul corpo di Theo van Gogh, Hirsi Ali è oggi sotto
contratto da parte dell’American Enterprise Institute di Washington. Il
ministro della Giustizia olandese, Ernst Hirsch Ballin, dice che non può
continuare a proteggerla all’estero. E Washington non concede scorta ai
privati cittadini. Torna in Olanda, in una di quelle case “sicure”,
caserme militari e bunker, che le hanno messo a disposizione dal 2004,
quando è iniziata l’odissea. Dall’Aia si delinea un teatro dell’assurdo.
Molti commentatori olandesi hanno scritto che la protezione ha un costo
pressoché identico all’estero e in patria. E che non è “negoziabile”:
proteggendo lei l’Olanda difende la democrazia dall’intimidazione
terroristica. A pensarla così è Rita Verdonk, l’ex ministro dell’Interno
che aveva accusato Ayaan di aver detto il falso per ottenere la
naturalizzazione. C’è un altro aspetto inquietante della vicenda. Se
dissidenti sovietici come Aleksander Solzhenitsyn poterono trascorrere
anni felici nel Vermont, quelli islamici come Hirsi Ali sono prigionieri
di un’odiosa fatwa che si rigenera da sé. Quando il dipartimento di stato
le concesse il visto, scrivemmo che l’Europa aveva perso la sua guerra più
importante, quella sul diritto a esistere, in seno all’Eurabia, di chi ha
fatto apostasia e combatte, anche per noi, la battaglia contro l’islamismo
che semina morte e dolore. Ayaan non è al sicuro neanche negli Stati
Uniti, porto felice per dissidenti e profughi e seconda casa per sessanta
milioni di immigrati. Contro un intervento di Hirsi Ali all’Università di
Pittsburgh, l’imam Fouad ElBayly, presidente del Johnstown Islamic Center,
disse che “ha diffamato la fede e la sentenza è la morte”. Non sono
minacce virtuali. Questa perenne diaspora inquieta due continenti, ma
testimonia il grande contributo di questa donna ferita e prigioniera alla
causa della libertà.
(03/10/2007) |
|