Roma (AsiaNews) – “Voi occidentali commerciate con la Cina e non vi
preoccupate della schiavitù che vi è diffusa; dite che la Cina è cambiata e
tacete sulle violenze, i laogai e le mancanze di libertà. A causa di
questo nel Paese ci sono rivolte e tensioni, come e più che nel maggio-giugno
’89. Ma voi avete dimenticato anche Tiananmen”.
Parla così Lu Decheng, 44 anni, da oltre un anno rifugiato politico a Calgary
(Canada), dopo aver passato 9 anni in un lager cinese ed essere poi fuggito in
Thailandia.
Per Lu è impossibile dimenticare Tiananmen: i moti studenteschi e operai
dell’89 hanno segnato tutta la sua vita. La notte fra il 3 e il 4 giugno di 18
anni fa, l’esercito “per la liberazione del Popolo” è intervenuto coi carri
armati a “liberare” la piazza occupata dagli studenti e operai, che chiedevano
più democrazia e meno corruzione. Secondo organizzazioni internazionali (Croce
Rossa e Amnesty International) oltre 2600 persone sono state uccise quella notte
nella piazza e nelle vie adiacenti. Ma la notte del massacro Lu era già in
prigione: era stato arrestato qualche settimana prima, il 23 maggio, quando con
due suoi amici hanno lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di Mao
Zedong che sovrasta l’entrata del Palazzo imperiale.
Ora Lu è rifugiato in Canada, ma la moglie e suo figlio sono ostaggio del
governo di Pechino che non li lascia emigrare. Il secondo che ha macchiato il
ritratto di Mao, Yu Zhijian, 44 anni, rilasciato nel 2001, ha perso il suo
lavoro di insegnante e vive con lavori saltuari. Il terzo, Yu Dongyue, è
impazzito: durante la sua prigionia ha subito torture e pestaggi; una sbarra di
ferro gli ha rotto la scatola cranica e ora vive mentalmente disabile. I suoi
genitori, pur di averlo a casa vivo, hanno accettato di tacere sulle violenze
subite dal figlio in prigione.
Il gesto dei tre è stato la prima espressione pubblica di disprezzo verso Mao
Zedong. “Volevo mostrare – dice Lu ad AsiaNews -
tutto il mio rifiuto per l’opera di Mao, che ha fatto morire decine di
milioni di miei connazionali e volevo fare un gesto per criticare il Partito
comunista, che continuava lo stesso dispotismo di Mao”.
Per Lu Decheng anche le riforme economiche venute con Deng Xiaoping sono solo
“un modo astuto per il Partito di conservare il suo potere”. Perfino le aperture
all’occidente e il coinvolgimento delle ditte straniere nel mercato cinese è
solo un modo per ricattare la comunità internazionale e farla tacere sui diritti
umani.
Non pochi governi dicono che la situazione per il rispetto dei diritti
dell’uomo è perfino migliorata. Lu non ci crede, anzi secondo lui vi è un
peggioramento. “Ho passato 9 anni in un laogai [campo di lavoro forzato, di
“riforma attraverso il lavoro”]. Era in realtà una fabbrica che produceva
autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al giorno.. Dopo
il lavoro dovevamo seguire le ‘sessioni di studio’, di indottrinamento forzato,
che dovevano trasformarci in persone fiduciose nel socialismo. La situazione
oggi in molte fabbriche della Cina è come ai lavori forzati.
"Alcuni anni fa ho lavorato in una fabbrica tessile di Wenzhou (Zhejiang).
Anche qui gli operai lavorano 12-14 ore a giornata e li pagano 15 yuan [15
centesimi di euro – ndr] al giorno. La notte gli operai vengono chiusi nei
dormitori per non farli fuggire e vi sono cani-lupo che fanno la guardia e
possono sbranarti”.
Lu elenca poi una lunga lista di arresti ad attivisti per i diritti umani
(come Chen Guangchen, condannato a 4 anni di prigione un mese fa); avvocati a
difesa di contadini e operai (come Gao Zhisheng, agli arresti domiciliari e
vigilato giorno e notte); personalità religiose cristiane, musulmane,
tibetane.
“La comunità internazionale dovrebbe denunciare queste violazioni. Quando
essa alza la voce, la Cina, per timore, allenta la morsa. Basta un esempio: il
giornalista di Hong Kong, Ching Cheong, accusato di aver diffuso segreti di
stato, ha ricevuto solo 5 anni di prigione perché il mondo intero si è mosso. Il
suo collaboratore, l’accademico cinese Lu Jianhua, per il quale nessuno ha fatto
pressione, è stato condannato a 20 anni”.
Lu Decheng afferma che soprattutto i sindacati dei paesi liberi dovrebbero
avere cura degli operai e dei contadini cinesi, sostenendo i loro diritti.
Ma anche i governi devono muoversi: “I dialoghi fra governi stranieri e la
Cina sui diritti umani avvengono solo al chiuso, in privato. Ma questi colloqui
segreti lasciano il tempo che trovano. Invece è tempo di coinvolgere anche le
organizzazioni non governative, le commissioni nazionali sui diritti umani per
verificare con viaggi e visite se vi sono davvero progressi”.
Alcuni sociologi cinesi affermano che la Cina si trova oggi in una situazione
di tensione sociale peggiore che ai tempi di Tiananmen. “Il Partito – spiega Lu
– con la corruzione e la protezione politica ha creato milioni di ricchi, ma
sfruttando la fatica e la schiavitù di centinaia di milioni di poveri. Ormai in
Cina vi sono centinaia di rivolte ogni giorno che chiedono – come nell’89 – più
democrazia e meno corruzione”.
Poche settimane fa un disoccupato ha lanciato inchiostro contro il ritratto
di Mao in piazza Tiananmen. Per Lu questo è il segno che la storia sta per
ripetersi.
- Domani 5 giugno, a Roma, presso l’università Lumsa (via Pompeo Magno 22) ,
Lu Decheng partecipa ad un seminario su “Il lavoro in Cina: i diritti della
persona e i diritti collettivi”. L’incontro, a cui partecipa anche p. Bernardo
Cervellera, direttore di AsiaNews, è organizzato dalla Laogai
Foundation e dalla Cisl di Torino.