Molto rumore per nulla: il Papa, la pedofilia e il documentario "Sex crimes and the Vatican"



Molto rumore per nulla: il Papa, la pedofilia e il documentario "Sex crimes and the Vatican"

Solo la rabbia laicista dopo il Family Day spiega perché, subito dopo la grande manifestazione romana, all’improvviso il documentario dell’ottobre 2006 della BBC “Sex Crimes and the Vatican” abbia cominciato a circolare su Internet con sottotitoli italiani, e i vari Santoro abbiano cominciato ad agitarsi. Il documentario, infatti, è merce avariata: quando uscì fu subito fatto a pezzi dagli specialisti di diritto canonico, in quanto confonde diritto della Chiesa e diritto dello Stato. La Chiesa ha anche un suo diritto penale, che si occupa tra l’altro delle infrazioni commesse da sacerdoti e delle relative sanzioni, dalla sospensione a divinis alla scomunica. Queste pene non c’entrano con lo Stato, anche se potrà capitare che un sacerdote colpevole di un delitto che cade anche sotto le leggi civili sia giudicato due volte: dalla Chiesa, che lo ridurrà allo stato laicale, e dallo Stato, che lo metterà in prigione.
Il 30 aprile 2001 Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) pubblica la
lettera apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, con una serie di norme su quali processi penali canonici siano riservati alla giurisdizione della Congregazione per la dottrina della fede e quali ad altri tribunali vaticani o diocesani. La lettera De delictis gravioribus, firmata dal cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il 18 maggio 2001 – quella presentata dalla BBC come un documento segreto, mentre fu subito pubblicata sul bollettino ufficiale della Santa Sede e figura sul sito Internet del Vaticano – costituisce il regolamento di esecuzione delle norme fissate da Giovanni Paolo II. Il documentario al riguardo afferma tre volte il falso:
(a) presenta come segreto un documento del tutto pubblico e palese:
(b) dal momento che il “cattivo” del documentario dev’essere l’attuale Pontefice, Benedetto XVI (per i laicisti il Papa “buono” è sempre quello morto), non spiega che la De delictis gravioribus firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il 18 maggio 2001 ha l’unico scopo di dare esecuzione pratica alle norme promulgate con la lettera apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, del precedente 30 aprile, che è di Giovanni Paolo II;
(c) lascia intendere al telespettatore sprovveduto che quando la Chiesa afferma che i processi relativi a certi delicta graviora (“crimini più gravi”), tra cui alcuni di natura sessuale, sono riservati alla giurisdizione della Congregazione per la Dottrina della Fede, intende con questo dare istruzione ai vescovi di sottrarli alla giurisdizione dello Stato e tenerli nascosti. Al contrario, è del tutto evidente che questi documenti si occupano del problema, una volta instaurato un giudizio ecclesiastico, a norma del diritto canonico, a chi spetti la competenza fra Congregazione per la Dottrina della Fede, che in questi casi agisce “in qualità di tribunale apostolico” (così la Sacramentorum sanctitatis tutela), e altri tribunali ecclesiastici. Questi documenti, invece, non si occupano affatto – né potrebbero, vista la loro natura, farlo – delle denunzie e dei provvedimenti dei tribunali civili degli Stati. A chiunque conosca, anche minimamente, il funzionamento della Chiesa cattolica è evidente che quando i due documenti scrivono che “questi delitti sono riservati alla competenza esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede” la parola “esclusiva” significa “che esclude la competenza di altri tribunali ecclesiastici” e non – come vuole far credere il documentario – “che esclude la competenza dei tribunali degli Stati, a cui terremo nascoste queste vicende anche qualora si tratti di delitti previsti e puniti delle leggi dello Stato”. Non è in questione questo o quell’episodio concreto di conflitti fra Chiesa e Stati. Le due lettere dichiarano fin dall’inizio la loro portata e il loro ambito, che è quello di regolare questioni di competenza all’interno dell’ordinamento giuridico canonico. L’ordinamento giuridico degli Stati, semplicemente, non c’entra.
Nella nota 3 della lettera della Congregazione per la dottrina della fede – ma per la verità anche nel testo della precedente lettera di Giovanni Paolo II – si cita l’istruzione
Crimen sollicitationis emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede, che allora si chiamava Sant’Uffizio, il 16 marzo 1962, durante il pontificato del Beato Giovanni XXIII (1881-1963) ben prima che alla Congregazione arrivasse lo stesso Ratzinger (che quindi, com’è ovvio, con l’istruzione non c’entra nulla: all’epoca faceva il professore di teologia in Germania). Questa istruzione dimenticata, “scoperta” nel 2001 solo in grazia dei nuovi documenti, non si occupa affatto di pedofilia ma del vecchio problema dei sacerdoti che abusano del sacramento della confessione per intessere relazioni sessuali con le loro penitenti. L’istruzione del 1962 non nasconde questi abusi, anzi al contrario impone a chiunque ne venga a conoscenza di denunciarli sotto pena di scomunica. Dispone che i relativi processi si svolgano a porte chiuse, a tutela della riservatezza delle vittime, dei testimoni e anche degli imputati, tanto più se eventualmente innocenti. Non si tratta evidentemente dell’unico caso di processi a porte chiuse, né nell’ordinamento ecclesiastico né in quelli statuali. Quanto al carattere “segreto” del documento, menzionato nel testo, si tratta di un “segreto” giustificato dalla delicatezza della materia ma molto relativo, dal momento che fu trasmesso ai vescovi di tutto il mondo. Comunque sia, anche l’istruzione Crimen sollicitationis non riguarda in alcun modo la questione se eventuali attività illecite messe in atto da sacerdoti tramite l’abuso del sacramento della confessione debbano essere segnalate da chi ne venga a conoscenza alle autorità civili. Riguarda solo le questioni di procedura per il perseguimento di questi delitti all’interno dell’ordinamento canonico, e al fine di irrogare sanzioni canoniche ai sacerdoti colpevoli.
La lettera del 2001, al contrario di quanto fa credere il documentario, crea semmai una disciplina più severa per il caso di abuso di minori, rendendolo perseguibile oltre i normali termini di prescrizione, fino a quando chi dichiara di avere subito abusi quando era minorenne abbia compiuto i ventotto anni. Questo significa – per fare un esempio molto concreto – che se un bambino di quattro anni è vittima di abusi nel 2007, la prescrizione non scatterà fino al 2031, il che mostra bene la volontà della Chiesa di perseguire questi delitti anche molti anni dopo che si sono verificati e ben al di là dei termini di prescrizione consueti. Con questa nuova disciplina la durezza della Chiesa verso i sacerdoti accusati di pedofilia è molto cresciuta con Benedetto XVI, come dimostrano casi dove, nel dubbio, Roma ha preferito prendere provvedimenti cautelativi anche dove non c’erano prove di presunti abusi che si asserivano avvenuti molti anni fa, e la stessa nomina del cardinale americano William Joseph Levada, noto per la sua severità nei confronti dei preti pedofili, a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
Tutte queste norme riguardano, ancora una volta, il diritto canonico, cioè le sospensioni e le scomuniche per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali. Non c’entrano nulla con il diritto civile, o con il principio generale secondo cui – fatto salvo il solo segreto della confessione – chi nella Chiesa venga a conoscenza di un reato giustamente punito dalle leggi dello Stato ha il dovere di denunciarlo alle autorità competenti. Certo, in passato questo non è sempre avvenuto. Il legittimo desiderio di proteggere sacerdoti innocenti ingiustamente calunniati (ce ne sono stati, e ce ne sono, molti) qualche volta è stato confuso con un “buonismo” che ha ostacolato indagini legittime degli Stati. Benedetto XVI ha più volte stigmatizzato ogni forma di buonismo sul tema (si veda per esempio il
discorso ai vescovi dell’Irlanda in visita ad Limina Apostolorum, del 28 ottobre 2006): e in realtà il trasferimento della competenza dalle diocesi, dove i giudici spesso possono avere rapporti di amicizia con gli accusati, a Roma mirava fin dall’inizio a garantire maggiore rigore e severità. In ogni caso, le misure prese nell’ambito del diritto canonico per perseguire i crimini di natura sessuale commessi dal clero, e la denuncia dei responsabili alle autorità dello Stato, costituiscono due vicende del tutto diverse. La confusione, intrattenuta ad arte per gettare fango sul Papa, è solo frutto del pregiudizio e dell’ignoranza.