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Da LaStampa
La guerra delle moschee




MASSIMO NUMA e MARIA TERESA MARTINENGO
TORINO
I fedeli sono spiazzati. Le ultime rivelazioni in Tv parlano di Al Qaeda, guerra santa, jihad. Ma per le strade, l'analisi di quel che è successo, è una sola: è stata una guerra privata tra moschee e piccoli feudi a far esplodere il «caso Torino». D'altra parte per le organizzazioni islamiche nazionali come l'Ucoii la città sotto la Mole è sempre stata un problema. La guerra è cominciata a metà degli anni '90 con gli esordi dell'imam Bouriqi Bouchta, fondatore della moschea di via Cottolengo ed espulso nel settembre 2005 come indesiderato per le sue idee radicali. Bouchta ha cercato per anni di accreditarsi come portavoce unico, anche per le istituzioni, della comunità islamica. Suo amico prima e poi acerrimo «nemico» è Abdelaziz Khounati, fondatore della moschea della pace di corso Giulio Cesare 6.

Con l'espulsione di Bouchta voluta dal ministro Pisanu, l'Islam torinese per un po' ha tirato un sospiro di sollievo. Poi, le rivalità (talvolta personali, talvolta di gruppo) sono rinate. In questi anni Khounati è diventato più forte. L'Istituto Islamico-Moschea della Pace, di cui è presidente, è diventato anche il centro torinese del forte partito islamico marocchino «Giustizia e Sviluppo».

Nel luglio scorso Khounati è stato invitato dal re del Marocco alla Festa del Trono ed è così «salito di livello» diventando di fatto uno dei candidati a rappresentare la comunità marocchina in Italia. La sua popolarità, tuttavia, gli ha attirato anche parecchie invidie. Soprattutto da chi, come la marocchina Souad Sbai, rappresentante delle donne sfruttate dall'Islam e protagonista del servizio tv Annozero dell'altra sera, aspira alla stessa visibilità.

A Torino c'è poi il moderato Abdellah Abouanas, senza moschea (alla fine degli Anni '80 era assistente nella prima moschea torinese, in corso San Martino), insignito del titolo di «ambasciatore di pace», studioso e conferenziere, che ambirebbe a diventare l'imam torinese più «accreditato». Da spendere ha, oltre a una cultura più profonda di altri, la carta della «moderazione». Negli ultimi tempi emerge poi anche Mohamed Bahareddine, predicatore del venerdì al Centro Mecca di via Botticelli e (dietro compenso, s'intende) in altri centri. In via Cottolengo viene indicato come il «mandante» della trasmissione che ha messo nei guai la moschea di via Cottolengo gestita ora dall'erede di Bouchta, Mohammed Khoaila, oggi molto vicino a Khounati. La moschea di via Saluzzo (Fratelli Musulmani, imam Mahmoud Sinousy) è invece nota per la rigidità delle sue posizioni, così come quella di via Piossasco, «degli afghani»). Defilati rispetto agli altri sono i musulmani che si ritrovano al Centro Islamico «Delle Alpi» di via Chivasso 10, la più bella e grande sala di preghiera del Piemonte. Superorganizzati - oggi alle 15 invitano al Teatro di via Chiesa della Salute 77/b per festeggiare la nascita del Profeta con musiche e la predica di uno dei loro leader spirituale - aderiscono al Movimento islamico «Giustizia e spiritualità», fuorilegge in Marocco.

Le gelosie si sprecano. E il sistema per abbattere i nemici è sempre e uno solo: additare l'altra come fondamentalista. Una pratica, d'altra parte, facile da utilizzare visti i collegamenti di molte moschee con l'estremismo. Già dalla seconda metà degli anni '90, alcune moschee torinesi erano finite nel mirino dell'Antiterrorismo per il Gia algerino. Ma il vero punto di crisi, il filo rosso - quello del terrorismo - che attraversa le moschee di Porta Palazzo spunta nella primavera del 2003. Era il 25 aprile, un venerdì, quando la cellula islamica guidata dal marocchino Noureddine Lamor - espulso nel novembre 2005 - iniziò la raccolta di soldi a favore delle «vedove dei kamikaze marocchini» che si fecero - poi - saltare a Casablanca.

Analisi della Digos «...Il noto Bouriqi Bouchta, in data 16 gennaio 2000, si è reso promotore di una riunione presso la moschea di Torino, in via Cottolengo 2, a cui hanno partecipato alcuni esponenti del mondo islamico milanese, per la raccolta di fondi, nonché per il reclutamento di volontari da inviare in Cecenia». Poi: «...Già in data 16 novembre 1992, presso la sua abitazione di via Orvieto 28 (di Bouchta, ndr), veniva segnalata la presenza di Abou Khalid, addetto all'addestramento dei guerriglieri musulmani della Bosnia-Erzegovina». Poi c'è Faycal, tunisino, indagato a Milano, il tesoriere della Rete che si occupa «del finanziamento e alla raccolta di fondi per la Cecenia, la Bosnia e la Palestina». E c'è ancora molto da scoprire, anche oggi, tra i radicali della moschea, tuttora, anno 2007, in contatto con i terroristi palestinesi di Hamas. Intanto è Bouchta, primo Imam in Italia, a proporre «il boicottaggio dei prodotti di Israele». Nella moschea i microfoni della Digos registrano conversazioni di questo genere. Candidato mujaheddin: «Io volevo andare direttamente (in Cecenia, ndr), io volevo uccidere, la morte o il suicidio. Io muoio e muoiono con me i non credenti, questo è ciò che volevo».

È forse per questo che oggi, quando per le strade si parla del caso di via Cottolengo, i fedeli vedono soprattutto una manovra di un'altra moschea. Già ieri l'imam di Porta Palazzo ha indicato i possibili mandanti che lo avrebbero incastrato. Naturalmente sono legati ad altri imam.

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