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Sulla nota della CEI Solo una nota a piè di pagina
- Subject: Sulla nota della CEI Solo una nota a piè di pagina
- From: "Davide Bertok" <davide.bertok at tiscali.it>
- Date: Fri, 30 Mar 2007 20:33:41 +0200
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Sulla nota della CEI
SOLO UNA NOTA A PIè DI PAGINA
Alla fine, puntuale, la nota della Conferenza Episcopale Italiana sulle
unioni di fatto è arrivata. Una nota che non desta alcuna meraviglia,
né nella forma, né nel contenuto.
Ancora una volta si conferma ciò che il filosofo empirista
John Locke
aveva così ben espresso nella “Lettera sulla tolleranza” del 1689:
“Si
comprende allora di che cosa sia capace il fanatismo religioso unito
alla volontà di dominio e quanto facilmente il pretesto della religione
e della salvezza delle anime possa mascherare cupidigia ed
ambizione”
.
A fondamento del discorso di Locke nella “Lettera” vi era la netta
separazione tra lo Stato e la Chiesa, cioè la distinzione tra le
competenze dell’autorità civile e di quella religiosa, distinzione che
fu di enorme portata storica. Pertanto lo Stato può intervenire per
imporre leggi e sanzioni, ma non per imporre articoli di fede o dogmi
o forme di culto. Anche il rapporto tra le varie Chiese deve ispirarsi al
dovere della tolleranza. Nessuna di esse può infatti vantare alcun
diritto sulle altre, giacché “ogni chiesa è ortodossa per se stessa, ed
erronea o eretica per le altre”. Un conflitto potrebbe sorgere solo se
non si rispettano i limiti delle proprie competenze da una parte o
dall’altra. Questo è purtroppo quanto accade, secondo Locke, nel caso
dei cattolici, i quali, proprio per questo, vanno esclusi dal campo di
chi può beneficiare della tolleranza del sovrano. Infatti la
sottomissione dei cattolici al Papa è un vero e proprio passaggio ad un
sovrano straniero e questo non può essere tollerato, nella misura in
cui, del resto, sono essi – i cattolici – che si rifiutano, dice Locke, di
rispettare gli altri.
Questo era il ragionamento di Locke più di trecento anni fa. A parte
qualche dettaglio ovviamente legato al contesto storico-sociale in cui
viveva il filosofo, dobbiamo constatare che nella sostanza la
situazione non è molto cambiata nell’Italia del 21° secolo.
Pur non escludendo, in quanto umanisti, alcun essere umano - e
quindi neanche i cattolici - dal campo di chi può beneficiare della
tolleranza, come invece proponeva Locke, vediamo confermare, dopo
l’ultima nota della CEI, un atteggiamento alquanto arrogante e poco
rispettoso da parte della Chiesa cattolica.
All’inizio della nota si legge: “
L’ampio dibattito che si è aperto
intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in
causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la
loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi
di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni
giorno tante famiglie”.
Leggendo il Vangelo non appare così evidente che la Chiesa, nella
sua storia millenaria, si sia ben distinta in questo compito di custode
di quella verità e di quella sapienza che deriverebbero dal testo
evangelico, in cui si parla di pace, di fratellanza, di tolleranza, di
comprensione e di perdono. Quante guerre ha benedetto la Chiesa
nella sua storia? Quante vite sono bruciate sul rogo dell’intolleranza
inquisitoria?
E ancora: Dove sono questi frutti preziosi di amore testimoniati dalle
famiglie, se proprio all’interno delle mura domestiche si consumano
la maggior parte degli omicidi e delle violenze?
Successivamente si legge: “Non abbiamo interessi politici da
affermare”. Ma nella nota della CEI viene riportata la frase del Papa
tratta dalla sua recente Esortazione apostolica post-sinodale
Sacramentum Caritatis, e che dice: “i politici e i legislatori cattolici,
consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi
particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata,
a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura
umana”, tra i quali rientra "la famiglia fondata sul matrimonio tra
uomo e donna”
.
Si legge più avanti: “nel caso di un progetto di legge favorevole al
riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare
cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e
pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di
legge”.
Non vorremmo sbagliarci, ma la dichiarazione del Papa e quella
successiva, nella loro esortazione verso i parlamentari cattolici, hanno
tutti i connotati di perentorie affermazioni di ben precisi interessi
politici, almeno per quel che noi intendiamo per “interessi politici”.
Se così fosse, abbiamo la netta sensazione di aver individuato una
contraddizione molto evidente e poco giustificabile.
Ma questa non è l’unica contraddizione presente nel documento dei
vescovi italiani. È vero che all’inizio della nota si precisa che la
Chiesa è custode dei valori che traggono origine dal Vangelo e
quindi, in quanto tali, valori che si rifanno ad un ben precisa dottrina
religiosa, ma successivamente i vescovi sembrano dimenticare tale
precisazione e si ergono a custodi delle “esigenze etiche fondamentali
per il bene comune della società”, in virtù della quali il fedele
cristiano non "può appellarsi al principio del pluralismo e
dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che
compromettano o che attenuino la salvaguardia” di dette esigenze.
Se le esigenze etiche a cui si rifanno i vescovi sono solo le basi di una
determinata dottrina religiosa e a cui crede solo una parte della
popolazione italiana, come fanno a diventare le esigenze etiche
fondamentali per il bene comune della società? Sospettiamo che tale
dimenticanza non sia il frutto di un caso, ma di una precisa
intenzionalità manipolativa.
Ma la contraddizione peggiore, a nostro avviso, è quella finale, in cui
si afferma che questa nota “nasce dall’amore di Cristo per tutti i
nostri fratelli in umanità”.
Ogni persona che ha chiaro il concetto di coerenza, dedurrebbe che
questa esortazione, rivolta ai politici cattolici, ad essere coerenti con i
valori fondanti di pace e di fratellanza del cristianesimo, sia
concomitante ad altre esortazioni, altrettanto forti e perentorie, rivolte
ai medesimi politici quando essi, per esempio, sono chiamati a
legiferare in temi di politica estera o di politica sull’immigrazione.
Non ci sembra di ricordare una tale veemenza nei confronti di tutti
politici di ispirazione cristiana quando hanno votato a favore
dell’invio delle truppe italiane in campi di guerra come l’ex-
Jugoslavia, l’Afghanistan o l’Iraq.
E neanche ci sembra di rammentare una uguale perentorietà nei
confronti degli stessi politici, che si sarebbero dovuti ispirare all’
amore “di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità”, quando hanno
votato le leggi razziste – “Turco-Napolitano” o “Bossi-Fini” - contro
gli immigrati.
Come mai? Perché un’unione tra due persone dello stesso sesso
diventa più pericolosa di 1.938 soldati italiani mandati, armati di tutto
punto, sul suolo afgano?
Queste sono alcune delle domande che quegli “infedeli” di umanisti
continuano a porre a chi, come la CEI, si erge a custode dell’etica
fondamentale per il bene di tutti gli esseri umani. Le nostre orecchie
sono sempre pronte ad ascoltare, ma non siamo ancora riusciti a
sentire una sola risposta.
Peccato. Fin quando non arriveranno queste risposte, ci dispiace, ma
anche questa nota della CEI non può essere niente di più che una nota
a piè di pagina nel grande libro della storia dell’Uomo.
Roma, 30 marzo 2007
Carlo Olivieri
Segreteria Programma e Documentazione del Partito Umanista
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