Torino: Afganistan senza pace ven. 10 nov.



Venerdì 10 novembre ore 21,15

Presentazione del libro
"Afganistan senza pace - Cronache di guerra 2001-2006" di Marco Rossi
Sarà presente l'autore

In corso Palermo 46 - cortile a dx

Questo libro getta luce su una guerra feroce, dove le truppe italiane agiscono in prima linea su mandato di un governo guerrafondaio, nel silenzio "sinistro" e assordante dei pacifisti di ieri

Per cercare di capire la guerra in Afganistan è necessario intraprendere un lungo e scomodo viaggio attraverso secoli, montagne, frontiere e campi di papaveri.
Di solito tutto viene fatto risalire all'11 settembre 2001. Accettare tale punto di partenza significa già aver scelto una ricostruzione senza memoria.
D'altra parte, nessun governo vuole ammettere che, dopo cinque anni dall'inizio della missione "Enduring Freedom", questa terra non ha ancora conosciuto pace e chi aveva cinicamente puntato sulla roulette della guerra per poter realizzare i propri affari ha visto naufragare i suoi calcoli.
L'ambiguità democratica si rivela persino nel linguaggio: nessuno si riferisce alla guerriglia o alle rivolte popolari in quanto tali, preferendo usare espressioni quali terroristi e criminali, identiche a quelle usate dalla propaganda sovietica durante l'occupazione dell'Afganistan degli anni Ottanta. 
Da qui la necessità di opporsi alla disinformazione, quale primo passo per opporsi a questa guerra in cui l'Italia resta coinvolta e arruolata.
Il libro, articolato in vari capitoli (Antefatti; La guerra dopo la guerra; Una guerra stupefacente; Crimini di guerra; Italiani a Kabul) offre strumenti di informazione indispensabili ad un'opposizione rigorosa e cosciente.

Federazione Anarchica Torinese - FAI
Corso Palermo 46
Info:
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Di seguito la recensione uscita sul n. 29 settimanale Umanità Nova del settembre di quest'anno
Afganistan senza pace - Cronache di guerra 2001/2006 di Marco Rossi, 150 pagg., 8 euro, edizioni Zero in Condotta, Milano.

È appena uscito per le edizioni Zero in Condotta "Afganistan senza pace - Cronache di guerra 2001/2006 " la nuova fatica di Marco Rossi . E posso proprio dirlo: un libro come questo non poteva uscire nel momento più opportuno.
Di questi tempi, davvero cupi, diventa uno strumento importante per diradare una cortina di fumo che sta rendendo invivibile un clima politico e culturale già misero di suo. È innegabile che l'onda corta dell'opposizione all'invasione e occupazione dell'Iraq, dopo la flebile parentesi oceanica di Roma, si fosse arenata in un attendismo elettorale tanto febbrile quanto paradossale dove il pacifismo nella sua gran parte si faceva comodamente abbindolare dalla maglie larghe del partitismo centrosinistro. 
Sarebbe facile scodellare le tante previsioni che come anarchici abbiamo ripetuto (a cominciare da Umanità Nova ma ovviamente ovunque nelle piazze, negli scioperi o davanti alle strutture del militarismo) dimostrando l'ovvietà di un'analisi spietata e veritiera che solo un approccio antimilitarista e antiautoritario consente di operare. Non farlo sarebbe comunque peggiore, perché la consapevolezza d'essere troppo minoritari e scarsamente ascoltati nel marasma pacifista ci conferma ogni giorno che tacere è un lusso che non possiamo correre. 
E che l'Afganistan non fosse un problema ma "il problema" l'avevamo dichiarato in più frangenti a partire dall'ultima performance di quello che è rimasto del movimento nowar in Italia del 18 marzo scorso, quando l'appuntamento socialforumense europeo aveva chiesto un'adesione ad un manifesto risoluto ma chiaramente monco: dalla scaletta dei no, dei pro dei contro era sparito proprio l'Afganistan.
Una dimenticanza possibile? O come alcuni hanno tentato di spiegare dovuta al fatto che "era già inclusa nella richiesta generica di abbandonare tutti i teatri di guerra" qualche riga sotto? Via dall'Iraq a lettere cubitali (disimpegno ribadito persino dal centrodestra) mentre dall'Afganistan neppure dopo, solo neppure? Va bene passare per malelingue ma per cretini proprio no. Mesi dopo, infatti, ed arriviamo a poche settimane fa, un centrosinistra compatto (con la sola eccezione di 4 voti alla camera e di una dimissione, peraltro rientrata) ha posto la fiducia alla proroga della partecipazione italiana alla guerra in Afganistan. Davvero troppo?
Ora l'Italia non solo insiste ma rilancia e qualche migliaio di soldati stanno sbarcando in Libano sotto l'egida del "se" e del "ma" (l'ONU) dopo l'attacco terroristico di Israele contro la popolazione di quei territori. Basterebbe questo per comprendere quanto utile sia diffondere questo lavoro di Marco. Un lavoro che parte da lontano così come si dovrebbe fare quando si parla di un popolo e un paese devastato da anni di guerra, di dittatura, tribalismo, sfruttamento ma allo stesso tempo di un luogo foriero di culture e storia. 
Sappiamo bene come la memoria per l'occidente sia sempre più "memoria dell'oggi" dove già quella di ieri o dell'altro ieri è troppo lontana, poco utile o peggio scomoda. 
Un modo di dire della guerriglia afgana (citato proprio nel libro come incipit all'articolo "l'ignoto, l'incerto e l'inatteso") chiosa: "Gli americani hanno gli orologi, noi dalla nostra parte abbiamo il tempo". Ed è così che i media gestiscono le notizie nella caoticità dell'informazione di guerra, usando le 24 ore, dove la verità è sempre l'ultima e l'ultima parola spetta sempre a chi stabilisce orari, scalette e palinsesti a partire dal più imponente: quello del potere.
In tal senso l'impostazione del libro, suddiviso in cinque capitoli (Antefatti, La guerra dopo la guerra, Una guerra stupefacente, Crimini di guerra e Italiani a Kabul) va inteso: l'intenzione di ristabilire una verità prima di tutto "cronologica" partendo da lontano per arrivare a oggi, come si dovrebbe in fondo attenersi nello studio della storia, di qualsiasi storia prima di varcare lassi di tempo, ipotesi di collegamenti temporali o qualsivoglia approfondimento. Così l'autore non fa che assemblare in modo coerente, dopo aver ristabilito la memoria, tutti gli articoli apparsi su Uenne dall'esplodere di Enduring freedom del 2001, settimana dopo settimana, fino alla recente riconferma della guerra, pardon della "pace", anche da parte del militarismo italico.
La cosa più importante di questa mole cronologica, ora finalmente composta e accessibile immediatamente, consiste proprio nella freddezza dei fatti riportati, nelle notizie costantemente occultate dai telegiornali o alla meglio riposte in corsivi minori nei quotidiani, piuttosto che reperibili nelle pubblicazioni e dispacci di organizzazioni indipendenti. Oppure sovrapposte nel paradosso della modernità mediatica che fa del surplus, della stratificazione la sua maggiore arma per mistificare il senso, l'essenza di un fatto nell'intesa di comunicare il necessario ai dominati, ovvero le bugie.
L'autore ci informa di tutto quello che è possibile sapere su quanto accade in quei luoghi cercando allo stesso tempo di ricordarci il passato (tutto il passato conoscibile) per farci comprendere meglio il presente. Ma il libro non ci fornisce solo questo aiuto, consente anche l'adozione di strumenti utili per affrontare con onestà il da farsi; in uno scenario di occidentalizzazione ad ogni costo, nel ladrocinio delle risorse energetiche e nelle mire espansionistiche, non può bastare la vaghezza di un'istanza etica, una sfrontatezza nonviolenta di un pacifismo che divide in buoni e cattivi appena qualcuno alza la voce per poi scoprire che le deleghe arcobaleno hanno trasformato in un mese provetti Ghandi in scafati strateghi delle armi in pugno.
In ultima istanza non posso che augurarmi la massima diffusione e pubblicizzazione di questo libro, approfittando il più possibile di questi mesi ancora caldi di scelte governative guerrafondaie, di tradimenti sinistri (in realtà annunciati) e di "silenzi assordanti".
Stefano Raspa