Anche in Marocco battaglia sul velo



Anche in Marocco battaglia sul velo
da Radio Radicale

Svolta "kemalista" in Marocco. Dopo l'introduzione di un nuovo codice di famiglia che riforma la condizione delle donne, il Re del Marocco Mohamed VI si sta muovendo per scoraggiare e limitare l'uso del velo.

Prima il diritto di famiglia più innovativo del mondo islamico, che concede il divorzio alle donne e rende quasi impossibile la poligamia, poi la nomina delle prime 50 predicatrici donne, e adesso scuole e università, uffici pubblici, polizia e linee aeree che hanno iniziato a impedire l’uso dell’hijab. Via anche le raffigurazioni dai libri di scuola.

Il problema è che anche l’hijab, infatti, il tipico velo islamico che copre i capelli, sarebbe diventato simbolo di quell’islam politico ed estremista che Mohammad VI tenta di sostituire con una lettura moderna e moderata del Corano. «La faccenda — ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, Aboulkacem Samir — non è religiosa, ma politica. L’hijab per le donne è diventato quello che è la barba per gli uomini, un simbolo politico. E noi dobbiamo stare attenti, tra l’altro, che i libri scolastici rispettino l’intera società, non una fazione politica».

Souad Sbai, presidente dell’Associazione Donne Marocchine in Italia, si dichiara «entusiasta». Sappiamo - ha spiegato ai microfoni di Radio Radicale - che quel velo è portato con violenza, lo hijab è un velo politico, simbolo di sottomissione, che portato in questo modo non fa parte della tradizione marocchina». Non è più un foulard, come una volta, ma un velo più avvolgente, più pesante e invasivo, fa notare.

Il velo non è una «faccenda «privata», come si sente spesso dire. In Europa, e in Italia, sostiene Souad Sbai, occorre cominciare a «educare alla libertà le donne musulmane, che non conoscono i loro diritti, aiutarle ad uscire dall’imposizione». Occorre «isolare senza ambiguità gli estremismi, far rispettare la legge», ricorda sul caso della scuola islamica di Milano e le intemperanze dell’Ucoii.

La rappresentante delle donne marocchine ha inoltre osservato che sono i media italiani per primi a non isolare gli estremisti. Racconta, per esempio, che lei stessa e altri esponenti dell’islam moderato hanno chiamato i giornalisti per esprimere la loro opinione sul discorso del Papa e Ratisbona, ma sono stati ignorati dai giornali, tranne Avvenire, che hanno preferito dare spazio alle minacce e alle reazioni violente degli estremisti.

E su un altro tipo di velo femminile, il niqab, che copre interamente il viso ed è da poco vietato nelle scuole britanniche, si è scatenata nei giorni scorsi una nuova battaglia. Giovedì scorso Jack Straw, in un editoriale pubblicato dal Lancashire Telegraph - il quotidiano locale della sua circoscrizione elettorale, a Blackburn - lo aveva criticato come «un segno visibile di separazione e differenza», esprimendo il desiderio di poter guardare in faccia le elettrici - «vorrei vedere l’espressione dei loro visi» - in un collegio dove il 20% dei votanti è di fede musulmana.

L’ex ministro è stato difeso da Tony Blair, e Salman Rushdie ha definito il niqab «disgustoso». Sono invece i conservatori, con il loro giovane leader David Cameron, a ricordare l’insopprimibile diritto delle donne musulmane di portare il velo e a richiamare l’attenzione sulla necessità di evitare la ghettizzazione dei musulmani. E’ la sinistra blairiana, in Gran Bretagna, a rischiare di essere accusata di islamofobia.

Il prezzo di un errore, Magdi Allam (Corriere della Sera, 11 ottobre)

La Francia e il velo della discordia

Argomenti:
islam, marocco, velo islamico