Prima il diritto di famiglia più innovativo del mondo islamico, che concede
il divorzio alle donne e rende quasi impossibile la poligamia, poi la nomina
delle prime 50 predicatrici donne, e adesso scuole e università, uffici
pubblici, polizia e linee aeree che hanno iniziato a impedire l’uso dell’hijab.
Via anche le raffigurazioni dai libri di scuola.
Il problema è che anche l’hijab, infatti, il tipico velo islamico che copre i
capelli, sarebbe diventato simbolo di quell’islam politico ed estremista che
Mohammad VI tenta di sostituire con una lettura moderna e moderata del Corano.
«La faccenda — ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, Aboulkacem Samir — non
è religiosa, ma politica. L’hijab per le donne è diventato quello che è la barba
per gli uomini, un simbolo politico. E noi dobbiamo stare attenti, tra l’altro,
che i libri scolastici rispettino l’intera società, non una fazione politica».
Souad Sbai, presidente dell’Associazione Donne Marocchine in Italia,
si dichiara «entusiasta». Sappiamo - ha spiegato ai microfoni di Radio
Radicale - che quel velo è portato con violenza, lo hijab è un
velo politico, simbolo di sottomissione, che portato in questo modo non fa parte
della tradizione marocchina». Non è più un foulard, come una volta, ma un velo
più avvolgente, più pesante e invasivo, fa notare.
Il velo non è una «faccenda «privata», come si sente spesso dire. In Europa,
e in Italia, sostiene Souad Sbai, occorre cominciare a «educare alla libertà le
donne musulmane, che non conoscono i loro diritti, aiutarle ad uscire
dall’imposizione». Occorre «isolare senza ambiguità gli estremismi, far
rispettare la legge», ricorda sul caso della scuola islamica di Milano e le
intemperanze dell’Ucoii.
La rappresentante delle donne marocchine ha inoltre osservato che sono i
media italiani per primi a non isolare gli estremisti. Racconta, per esempio,
che lei stessa e altri esponenti dell’islam moderato hanno chiamato i
giornalisti per esprimere la loro opinione sul discorso del Papa e Ratisbona, ma
sono stati ignorati dai giornali, tranne Avvenire, che hanno preferito
dare spazio alle minacce e alle reazioni violente degli estremisti.
E su un altro tipo di velo femminile, il niqab, che copre interamente il viso
ed è da poco vietato nelle scuole britanniche, si è scatenata nei giorni scorsi
una nuova battaglia. Giovedì scorso Jack Straw, in un editoriale pubblicato dal
Lancashire Telegraph - il quotidiano locale della sua circoscrizione
elettorale, a Blackburn - lo aveva criticato come «un segno visibile di
separazione e differenza», esprimendo il desiderio di poter guardare in faccia
le elettrici - «vorrei vedere l’espressione dei loro visi» - in un collegio dove
il 20% dei votanti è di fede musulmana.
L’ex ministro è stato difeso da Tony Blair, e Salman Rushdie ha definito il
niqab «disgustoso». Sono invece i conservatori, con il loro giovane leader David
Cameron, a ricordare l’insopprimibile diritto delle donne musulmane di portare
il velo e a richiamare l’attenzione sulla necessità di evitare la ghettizzazione
dei musulmani. E’ la sinistra blairiana, in Gran Bretagna, a rischiare di essere
accusata di islamofobia.
Il prezzo di un
errore, Magdi Allam (Corriere della Sera, 11 ottobre)
La
Francia e il velo della discordia