La pace è guerra



Un estate di guerra. Niente di nuovo sotto il sole. Nel quinto anniversario dell'11 settembre il feroce conflitto che ha messo in ginocchio il Libano non è che uno dei tanti capitoli della guerra permanente contro il terrorismo scatenata da Bush & soci dopo la distruzione del Word Trade Center. Il numero dei soldati statunitensi morti nei vari teatri bellici ha superato di qualche unità il numero delle vittime delle Torri gemelle. Persino questa contabilità dell'orrore dimostra che la posta in gioco per le élite occidentali non è la sicurezza, ma un progetto di dominio che passa per l'uso delle armi. In Afganistan, Iraq, Libano e, forse, domani in Iran. La "sicurezza" invocata a copertura di massacri, torture, esecuzioni extragiudiziali, galere segrete, leggi speciali non è che il vecchio alibi della paura, una paura che non può che crescere, perché dopo New York ci sono state Madrid e Londra, ed i mille allarmi veri o presunti che hanno aumentato sbirri e controlli, trasfor!
 mando 
chiunque si opponesse in un possibile complice dell'Internazionale del Terrore. 
O con me o contro di me. 
Con questa logica il susseguirsi dei massacri nel martoriatissimo Iraq è divenuta notizia da trafiletto, mentre l'Afganistan, dove si sta combattendo una guerra senza esclusione di colpi, è entrato sotto i riflettori per i giochini penosi della sinistra di governo che a colpi di fiducia ha rinnovato, aumentandolo, il finanziamento alla missione di pace (con tanto di truppe speciali) in Afganistan. 
O con me o contro di me. 
Con questa logica le centinaia di migliaia di vittime della guerra permanente divengono invisibili, inessenziali, tra chi, in Occidente, si trova arruolato a forza in una battaglia che un pacifismo asfittico e, oggi anche complice, non ha saputo neppure rallentare.
Nel risiko di potenza cui stiamo assistendo, il Medio Oriente ha un ruolo nevralgico. 
La guerra scatenata da Israele contro il Libano, con il sostegno dell'alleato statunitense, ha distrutto un paese che a fatica si stava riprendendo da una lunga guerra civile.
L'imprevista resistenza di Hizbullah ha convinto, ben più delle pressioni internazionali, Israele a ritirarsi, consentendo il dispiegarsi di una rafforzata missione ONU a guida prima francese e poi italiana.

Il pareggio con cui si è conclusa la partita ha consentito all'Europa - alleato competitore degli USA - di proporsi come forza di mediazione e, soprattutto, di piazzare i propri uomini (cui faranno seguito le imprese che aiuteranno nella ricostruzione in cambio di lauti guadagni) di tentare, almeno in parte, di giocare in proprio, di avere un ruolo nel Grande Gioco.
In questo Gioco, dove a troppi piace recitare la tragedia dello scontro di civiltà, della battaglia di religione, della lotta tra popoli, c'è chi ama schierarsi. 
Certa sinistra dimentica dell'internazionalismo delle proprie origini, ormai priva di spinta ideale, trova in chiunque si opponga agli Stati Uniti ed ai loro alleati israeliani, un possibile compagno di strada. Poco importa se tra costoro stanno i peggiori integralisti, i più vergognosi razzisti, i più indecenti nazionalisti.
Certa altra sinistra, quella arcobaleno, quella delle famigliole new global, quella governativa e di buon senso si è affrettata a benedire marò e lagunari in partenza per il Libano. La pace sulla punta delle baionette, un ossimoro un tempo aborrito diviene la bandiera di un pacifismo guerrafondaio.
La guerra scatenata dal governo "amico" diventa missione di pace, scatenando gli sfottò di una destra che la guerra la chiamava guerra. Senza tanti complimenti.
Mentre gli amici degli amici si affrettano a raccogliere i frutti del rinnovato imperialismo italico in terra libanese il governo Prodi si accinge a varare una finanziaria di lacrime e sangue per tutti noi.
Pensioni, sanità, stipendi sono nel mirino…
Mentre sempre noi pagheremo per le guerre (pardon, missioni di pace).
Solo in Afganistan la cifra per i prossimi sei mesi è di 136.631.975 euro. Non è anche questa spesa pubblica? Ma qui di tagli non si parla mai. E ancora non sappiamo quanto costerà la "missione" in Libano del pacifista al ministero degli esteri, lo stesso che da capo del governo regalò tonnellate di bombe umanitarie alle popolazioni del Kosovo e della Serbia.

Di fronte alla follia della politica di potenza, di fronte all'orrore del razzismo, di fronte all'urlo sanguinario delle religioni - tutte le religioni - assetate di sacrifici umani per i loro dei ed i loro preti, pur schierarsi è necessario.
Occorre senza tentennare, senza scrupoli dettati dalla logica di un improbabile "meno peggio", stare dalla parte giusta. 
Che è quella delle vittime. Sempre, ovunque. A Gaza come a Beirut, come ad Haifa. 
Che è quella di chi si oppone alla politica di potenza e, quindi agli Stati e agli eserciti. 
A tutti gli Stati e a tutti gli eserciti. Con o senza divisa. Con o senza berretto blu dell'ONU.
Occorre stare dalla parte giusta.
Che è quella di chi pensa che senza stati, né frontiere, né padroni, né preti l'umanità potrà trovare la strada di una convivenza nella libertà e nell'uguaglianza che oggi non è che pallido orizzonte nascosto dal fumo delle bombe, dalla ferocia degli stati e dei preti.

Lungo il Muro della vergogna che lo stato di Israele sta costruendo in Cisgiordania ci sono uomini e donne, palestinesi, israeliani e di altre nazioni che conducono una lotta non violenta ma radicalissima contro una barriera che distrugge gli oliveti e fa crescere, sempre più, l'odio. Tra loro anche gli anarchici israeliani.
Molti sono stati feriti. Molti altri denunciati e processati.
La loro lotta è la nostra lotta!

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