Donne immigrate che vivono tra noi
condannate a morte per aver voluto essere libere. Sentirsi italiane.
Sperare che i loro figli crescano come cittadini italiani. E se il boia
non è il padre, il marito o lo zio come nel caso di Hina, la disperazione
le porta a togliersi la vita da sole, come ha fatto Kaur.
Un terribile
gesto probabilmente per non subire, qui in Italia, l'onta della sua
riduzione a schiava di un anziano settantenne impostole come marito dai
suoi familiari. Forse per salvaguardare agli occhi dei figlioletti, per la
gran parte simili ai loro coetanei autoctoni, l'immagine di una madre
orgogliosa della propria autonomia. Certamente il suicidio di Kaur attesta
in modo inequivocabile che le tragedie femminili legate ai matrimoni
combinati, ai matrimoni poligamici, alle mutilazioni genitali femminili,
all'imposizione del velo e, più in generale, all'assoluto rifiuto della
loro integrazione in seno alla società italiana, riconducono a tradizioni
culturali arcaiche che, all'insegna del maschilismo e della misoginia,
discriminano, violentano e uccidono le donne in modo trasversale rispetto
alla loro appartenenza confessionale, etnica e nazionale. Dobbiamo quindi
liberarci del pregiudizio e dello stereotipo che individua nell'islam come
religione la causa di un insieme di comportamenti disumani ma che in
realtà sono preesistenti all'islam e sono diffusi tra popolazioni non
musulmane.
Comprese ormai anche quelle occidentali
al cui interno, come frutto della globalizzazione, convivono comunità
immigrate con seri problemi di rigetto dei valori fondamentali condivisi e
della comune identità collettiva.
Anche se è un dato
di fatto che taluni ambiti islamici, quali le società sottoposte a
regimi teocratici o le moschee monopolizzate dagli estremisti in
Occidente, si connotano per una più sistematica e codificata
discriminazione della donna. Non è un mistero che anche nelle moschee
d'Italia si arrangiano matrimoni combinati, con liste di aspiranti mariti
e mogli che l'imam gestisce e unisce a sua discrezione, così come si
celebrano matrimoni poligamici che, non avendo alcun valore per lo stato
civile, vengono sostanzialmente tollerati. Fregandosene del fatto che la
donna viene relegata a organo sessuale, oggetto per la riproduzione, merce
di scambio al servizio di interessi familiari e di clan. Le vittime
predilette sono ovviamente le più giovani. Secondo il Centro
internazionale di ricerca sulle donne (www.icrw.org) nel 2003 oltre 51
milioni di minorenni, al di sotto dei 18 anni, sono state costrette a
sposarsi e si prevede che la cifra salirà a 100 milioni entro dieci anni.
Citiamo alcuni dati: nello stato indiano del Rajastan, il 56% delle donne
è stata costretta a sposarsi quando non aveva ancora 15 anni; una
percentuale che è del 50% in Etiopia, Uganda e Mali, del 40% nel Nepal,
del 74% nella Repubblica democratica del Congo, del 70% nel Niger, del 28%
in Iraq, del 25% in Siria e del 24% nello Yemen.
Ma questa drammatica realtà
ormai ci appartiene. Secondo il Gruppo femminile per l'abolizione
delle mutilazioni genitali (Gams), nei 14 dipartimenti di Francia più
interessati a questa barbara violazione dell'integrità fisica della donna,
circa 70 mila minorenni sono state costrette al matrimonio combinato. Tra
loro spiccano ragazze originarie del Mali, Mauritania, Senegal, Marocco,
Tunisia, Algeria e Turchia. Da rilevare che la pratica dei matrimoni
combinati s'impone e opprime anche gli uomini. In Olanda il 70% dei
marocchini e dei turchi, al momento del matrimonio, tornano nel loro
villaggio d'origine e sposano un partner appartenente alla ristretta
cerchia familiare, tornando a vivere nei quartieri ghetto alle periferie
di Amsterdam e di Rotterdam, senza condividere i valori e aderire alla
comune identità collettiva olandese.
In Italia la tragiche fini
di Hina e di Kaur ci insegnano che la situazione delle donne
immigrate non è sostanzialmente dissimile. Forse cambieranno le
percentuali, ma la radice del male, la cultura maschilista e misogina che
si annida nei ghetti etnici-confessionali- identitari, è la stessa. Per
ora solo la Norvegia ha messo fuorilegge il matrimonio combinato. In
Belgio e in Gran Bretagna se ne discute in parlamento. In Italia vogliamo
almeno prendere atto di questa realtà?
Magdi Allam