A una coppia gay non servono i pacs, basta il diritto privato
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- Date: Thu, 25 May 2006 16:51:47 +0200
A una coppia gay non servono i pacs,
basta il diritto privato
Testimonianza pratica: il codice civile già tutela (e con
piccole modifiche può tutelare meglio) i diritti delle coppie di
fatto
Da Il foglio Rosy Bindi, ministro della Famiglia, ha sostenuto che i
diritti delle coppie di fatto non possono essere tutelati soltanto con modifiche
del codice civile. Tutto dipende da quali siano i diritti che si intende
riconoscere. Se fra questi c'è il riconoscimento sociale e la sanzione
pubblica dell'unione, ha ragione, ma in questo caso hanno ragione anche coloro
che ritengono un'unione civile di questo tipo un surrogato del matrimonio.
Se invece si punta a riconoscere ai componenti delle
coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali, che nei loro confronti non vengano
esercitate discriminazioni, cioè limitazioni dei loro diritti dovute alla loro
condizione, l'affermazione di Rosy Bindi appare assai discutibile.
Quali sono queste discriminazioni? Si tratta di
limitazioni che riguardano l'assistenza, la fruizione di servizi e di benefici
che provengono dalla vita in comune. Molte di queste situazioni si risolvono già
oggi quando l'interlocutore della coppia è un'istituzione privata. Per assistere
un partner malato in ospedale, per esempio, nelle cliniche private basta una
dichiarazione dell'interessato. Si tratta, se si vuole evitare una
discriminazione che in certi casi assume caratteri disumani, aggiungere alla
tessera sanitaria un allegato nel quale, oltre alla disponibilità alla donazione
di organi, si possano indicare le persone alle quali si gradisce sia garantito
il diritto di yisita. Per questo è sufficiente un'indicazione amministrativa.
Più complesso è il caso del diritto al subentro
nell'affitto della casa comune. Esistono modalità di cointestazione dei
contratti di locazione, oppure formule un po' spurie di subaffitto.
Anche qui basterebbe una modifica del diritto privato,
che renda più solida la base giuridica di questi contratti. D'altra parte tutti
i contratti di locazione privata sono a termine. Resta il problema delle case popolari, che si potrebbe
risolvere in base al principio di continuità della residenza. Naturalmente
perché si possa provvedere in questo senso è necessario che le coppie di fatto
abbiano requisiti di stabilità, per esempio un congruo periodo di coabitazione,
senza i quali, peraltro, non si potrebbe definire la titolarità dei diritti.
Ci sono poi le differenze di trattamento nel godimento
del reddito e del patrimonio comune. Qui non è giusto parlare di
discriminazione, per esempio nel diritto ereditario, perché questo è per sua
natura connesso al concetto di continuità della famiglia. Ferma restando la
"legittima" per i familiari, per il partner non coniugato c'è, in caso di
testamento, un differente trattamento fiscale, che potrebbe essere attenuato,
anche qui intervenendo solo sul diritto civile. Resta la questione più complessa, quella previdenziale
pubblica. La previdenza privata consente forme di cointestazione dei fondi
accumulati che ne consentono il godimento al partner sopravvissuto. Le pensioni
pubbliche, invece, negano la reversibilità al partner non coniugato. Qui si
potrebbe agire con gradualità, tenendo conto del passaggio dal sistema a
ripartizione a quello a capitalizzazione. Se la pensione diventa una normale
rendita di un capitale accumulato, non c'è ragione perché questa non possa
essere cointestata, naturalmente con tassi di fruizione diversi. Si potrebbe
cominciare con la previdenza volontaria, che è completamente a capitalizzazione,
e, per quelle pubbliche, per la quota già a capitalizzazione, che tende a
diventare, col tempo, prevalente e infine totale. Sono modifiche che non incidono sul diritto di famiglia e non sollevano questioni di principio. Se si cominciasse da queste, si abolirebbero discriminazioni senza intaccare il valore sociale della famiglia o creare mezzi matrimoni. |
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