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senza parole: Diritti umani: Russia, Arabia Saudita, Pakistan Cina e Cuba nel Consiglio Onu
- Subject: senza parole: Diritti umani: Russia, Arabia Saudita, Pakistan Cina e Cuba nel Consiglio Onu
- From: "associazione Amici di Lazzaro" <associazioneamicidilazzaro at yahoo.it>
- Date: Wed, 10 May 2006 17:16:28 +0200
Diritti umani: Cina e Cuba nel Consiglio
Onu
Eletti i membri del nuovo
organismo che rimpiazza la vecchia Commissione. Critici gli Stati Uniti, riserve
anche dall'Italia
La notizia cattiva è che a difendere i diritti umani nel
mondo da ieri ci sono (tra gli altri) la Russia di Vladimir Putin, la Cuba
di Fidel Castro, la Cina di Hu Jintao, l'Arabia Saudita dei principi del
petrolio, il Pakistan di Pervez Musharraf. Regimi che in fatto di libertà e
diritti hanno poco da raccontare ma che sono stati scelti dall'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite per far parte dei 47 Paesi che formeranno il nuovo
Consiglio dei Diritti Umani.
La notizia buona è che non sono riusciti a essere
eletti l'Azerbaijan di Ilham Aliyev e soprattutto l'Iran di Mahmoud
Ahmadinejad (ma nemmeno l'Iraq che si era candidato) e che altri violatori
seriali della libertà — come Zimbabwe, Libia, Sudan, Siria — non hanno avuto la
faccia di candidarsi, a differenza di quanto avevano fatto in passato con la
screditatissima Commissione, della quale il Consiglio ha preso il posto dopo che
è stata abolita nel corso del processo di riforma del Palazzo di Vetro.
A questo punto, il vero test sarà la prova del
budino: vedere quanto è buono, come funziona il Consiglio una volta che sarà
messo in tavola. Di sicuro, la partenza non è stata fulminante: è già
appesantito sia nella reputazione sia nell'operatività dalla presenza di regimi
totalitari che lo potrebbero usare più per difendersi dalle accuse di violazione
che per proteggere i diritti umani. In più, gli Stati Uniti si erano opposti
alla creazione del nuovo Consiglio, considerato ancora troppo numeroso,
burocratico e non selettivo proprio in tema di diritti umani, quindi non hanno
presentato la loro candidatura e guardano iper-critici. «Vogliamo una farfalla —
aveva detto l'ambasciatore americano all'Onu John Bolton —. Non intendiamo
mettere un rossetto a un bruco e chiamarlo un successo».
La stessa Italia, che pure in marzo ha accettato la
riforma come tutta la Ue, ha riserve e non si è proposta per essere eletta.
Numerosi gruppi della società civile impegnati sulla questione hanno invece
salutato positivamente il nuovo Consiglio, soprattutto perché ha rotto il
meccanismo della Commissione precedente, non solo popolata di dittature ma anche
totalmente inefficiente, sostanzialmente inutile. Kenneth Roth, direttore di
Human Rights Watch, ha ammesso che nel Consiglio «ci sono governi che non
dovrebbero essere lì» ma ha apprezzato il fatto che molti dei Paesi che violano
sistematicamente i diritti umani non si siano candidati. In più, si aspetta un
Consiglio più efficace e più duro nella difesa dei diritti.
L'organizzazione
Reporter Senza Frontiere è invece estremamente critica. Gli Stati Uniti
avrebbero voluto un Consiglio molto più piccolo e meno burocratico di quello
adottato, che ha ridotto solo a 47 i 53 membri che facevano parte della
Commissione precedente. In più, avrebbero voluto che i membri fossero eletti da
due terzi dell'Assemblea sulla base delle loro credenziali in fatto di diritti
umani. Invece, il sistema è aperto a tutti i 191 Paesi dell'Onu e non ha alcuna
restrizione se non quella delle quote regionali di appartenenza.
E anche sulle quote Washington è stata critica:
l'area con i migliori diritti umani — l'Occidente — ha per esempio solo sette
seggi contro i 13 ciascuno di Africa e Asia, gli otto dell'America Latina e i
sei dell'Europa dell'Est (che ieri è riuscita a eleggerne solo tre). Alcuni
miglioramenti, rispetto al passato, sono stati in realtà introdotti, come la
possibilità di espellere a maggioranza di due terzi dell'Assemblea Generale un
membro del Consiglio sorpreso a violare i diritti umani. Ma l'Amministrazione
Bush li ha ritenuti del tutto insufficienti e ha scelto di stare a guardare.
Il risultato della votazione di ieri non migliora le
cose, per Washington. In particolare, l'elezione della Cina innervosisce il
Congresso, dove la cosiddetta Un-land — cioè il Palazzo di Vetro — è sempre meno
amata. Nel programma presentato a sostegno della sua candidatura, Pechino ha
promesso che si impegnerà per evitare l'«errore» di permettere che il Consiglio
emetta «risoluzioni specifiche per Paese»: vuole cioè che di diritti umani si
parli solo come fatto generale e accademico. Un'impostazione che, se passasse,
zittirebbe di fatto il Consiglio e provocherebbe onde alte a Washington. Il
problema per il presidente Bush e per il suo ambasciatore Bolton è che la famosa
riforma complessiva dell'Onu sta producendo poco. Sull'ampliamento del Consiglio
di Sicurezza non si è fatto nulla. Sui diritti umani si è visto. La riforma del
sistema manageriale dell'Organizzazione è stata fatta deragliare la settimana
scorsa dal G77, cioè i Paesi in via di sviluppo sostenuti dalla Cina. Chi, nella
capitale americana, pensa che le Nazioni Unite siano irriformabili ha nuovi
argomenti.
Danilo Taino
10
maggio 2006 |
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