L'elenco dei musulmani condannati a morte per apostasia si 
      allunga sempre più. Tra i nomi nuovi spiccano quello di Hassan Al Turabi, 
      il più influente e controverso leader islamico sudanese, e Gamal Al Banna, 
      fratello del fondatore dei Fratelli Musulmani.
      A testimonianza della gravità della minaccia, Gamal Al Banna 
      presiede un «Comitato di difesa delle vittime delle fatwe del terrore». 
      Perfino Osama Bin Laden ha deciso di aderire a questa sorta di tribunale 
      dell'inquisizione islamico che taglierebbe la testa alla gran parte dei 
      musulmani. Compreso un misterioso Khaled Hilal, egiziano, residente in 
      Italia, definita «territorio della miscredenza, degli adoratori della 
      croce, dell'oppressore e del politeismo». Stiamo probabilmente assistendo 
      al preludio di uno spietato regolamento di conti in seno a un mondo 
      islamico saturo dell' ideologia dell'intolleranza, dell'odio, della 
      violenza e della morte. Al Turabi, doppio dottorato in legge a Oxford e 
      alla Sorbona, dopo essere stato il leader dei Fratelli Musulmani sudanesi, 
      dopo aver indossato i panni del carnefice nel patrocinare la condanna per 
      apostasia del teologo riformatore Mahmoud Mohammad Taha, ucciso il 18 
      gennaio 1985, si ritrova a rivivere un'esperienza terrificante nel ruolo 
      della vittima.
      Sul suo capo pendono ben due fatwe di condanna a morte per 
      apostasia, emesse dalla «Lega giuridica islamica dei teologi e dei 
      predicatori nel Sudan» e dal «Consiglio giuridico islamico sudanese». Per 
      aver sostenuto che la donna musulmana è libera di sposare un cristiano o 
      un ebreo senza che questi debbano convertirsi all'islam; libera di 
      svolgere la funzione di imam anche nella preghiera collettiva mista in 
      moschea; libera di non coprirsi i capelli con il velo perché il Corano non 
      lo prescrive; libera di accedere a tutte le cariche dello Stato compresa 
      la presidenza; libera di testimoniare in tribunale con uno status del 
      tutto paritario a quello dell'uomo. Ebbene questa è la sentenza 
      inflittagli: «Turabi è un miscredente, un apostata, deve pentirsi di tutto 
      ciò che ha detto, deve rendere pubblico il suo pentimento. In caso 
      contrario deve essere applicata la pena corporale prevista dalla sharia, 
      la condanna a morte tramite lapidazione sua e dei suoi libri». 
      E per aver lanciato l'appello «Toglietevi il velo!» alle 
      donne musulmane, la ricercatrice svizzero- yemenita Elham Manea è finita 
      anch'essa sotto le grinfie dei predicatori d'odio che l'hanno tempestata 
      di minacce di morte. Ma lei ha replicato a testa alta sul sito 
www.metransparent.com, rifiutando le intimidazioni. Così 
      come ha fatto Shaker Nabulsi, intellettuale giordano residente negli Stati 
      Uniti, incluso in un elenco di 33 personalità riformatrici e liberali, 
      condannate a morte dal sedicente gruppo dei «Partigiani vittoriosi del 
      Profeta di Allah»: «Ringrazio Dio che i liberali sono diventati Wanted, 
      nemici di tutti i demoni della terra nel mondo arabo, perché questo è 
      l'inizio di una vera battaglia di pensiero tra il liberalismo e 
      l'oscurantismo arabo». 
Nella sentenza di condanna a morte collettiva, si precisa che 
      gli apostati «non fanno più parte dell'islam, si sono accodati ai 
      predicatori della miscredenza, gli adoratori cristiani della croce e degli 
      idoli, hanno avuto rapporti con i figli delle scimmie e dei maiali tra la 
      gente di Israele ». Ai 33 «apostati» era stato concesso un ultimatum di 
      tre giorni, scaduto il 13 aprile scorso, per pentirsi. Tra i nomi spicca 
      quello dei teologi riformatori egiziani Gamal Al Banna e Mohammad Said Al 
      Eshmawi, l'intellettuale liberale egiziano Saad Eddine Ibrahim, la 
      psicologa siriana residente negli Stati Uniti Wafa Sultan, l'intellettuale 
      tunisino Lafif Al Akhdar, residente in Francia. Il fatto che la schiera 
      degli «apostati » cresca sempre più potrebbe essere un segno di debolezza 
      dei terroristi. Un tentativo di arginare una corrente di pensiero che ha 
      il coraggio di denunciare apertamente i loro crimini. Certamente questo è 
      soltanto l'inizio della resa dei conti.