Donne cattoliche e madri selvagge, la strana coppia pro choice-pro life



a sinistra molte donne si stanno svegliando:

Donne cattoliche e madri selvagge, la strana coppia pro choice-pro life

Imuri più difficili da abbattere sono quelli invisibili. E quello che separa i pro-choice dai pro-life - cioè chi è a favore da chi è contro le leggi che legalizzano l'aborto - sembra insormontabile. Da noi, in Italia, quel muro fu eretto venticinque anni fa con il referendum sulla legge 194, di cui ancora si fa fatica a parlare con serenità. Eppure qualche varco si sta aprendo, soprattutto per via dei pericoli che tante donne vedono nelle nuove
tecnologie che utilizzano il loro corpo.
Esemplare a riguardo la campagna lanciata
lo scorso 8 marzo, "Hands off our Ovaries!"
(Giù le mani dalle nostre ovaie), promossa
da una coalizione internazionale di
donne pro-choice e pro-life, rappresentate
da Diane Beeson e Josephine Quintavalle,
contro i pericolosi trattamenti di iperstimolazione
ovarica a cui si sottopongono le donne,
sia per la fecondazione artificiale sia per
"donazioni" alla ricerca scientifica. Diane
Beeson, sociologa della medicina e professore
alla California State University, è da sempre
una convinta pro-choice, ma nel 2004 ha
deciso di fondare un'associazione, la Prochoice
alliance against Proposition 71, per
denunciare l'inevitabile sfruttamento del
corpo femminile legato alle pratiche di ricerca
sulla clonazione terapeutica, bisognose
di quantità industriali di ovociti. Gli ovociti,
com'è noto, non si fabbricano a una catena
di montaggio: vengono "forniti" da giovani
donne, sottoposte a trattamenti dei quali
si sa solo che possono provocare gravi e
gravissimi problemi a breve e a lungo termi-
ne. Un conto è, dice allora la pro-choice Beeson
e con lei la pro-life Josephine Quintavalle,
se una donna si sottopone a stimolazioni
perché sta provando a fare un bambino con
la fecondazione artificiale, e ha quindi un
interesse personale in nome del quale correre
dei rischi. A quel punto può, se vuole,
donare davvero gli ovociti "in più". Ma si sa
che per quella via la ricerca non riuscirà
mai a ottenere la grande quantità di "materia
prima" necessaria. Chi lo farà? In nome
di che cosa? Con quali rischi per la propria
salute?
I riferimenti italiani per la campagna
"Hands off our Ovaries!" sono Alessandra Di
Pietro e Paola Tavella, che con il loro "Madri
selvagge" (Einaudi) speigano la loro avversione
alla "tecnorapina del corpo femminile",
e dicono che si sono astenute dal referendum
sulla legge 40 proprio perché radicalmente
femministe. "Madri selvagge" è il
segno che anche in Italia quel varco nel muro
che separa pro-choice e pro-life si è aperto:
Alessandra e Paola, partendo da sé, mettono
in relazione le vicende del pianeta, la
tecnoscienza, le biotecnologie, la personale
esperienza di maternità e di amicizia. Il loro
libro non è mai ideologico, così come non
lo sono l'appello e le motivazioni della campagna
prima richiamata (rintracciabili sul
sito www.handsoffourovaries.com), ma butta
per aria gli schieramenti pro-choice e pro-life.
Li fa diventare vecchi, mentre ne scova le
esperienze comuni, innanzitutto quella del
mistero che c'è in ogni nascita. Alessandra e
Paola difendono con le unghie e con i denti
la 194, ma pensano pure che "un dibattito su
come risparmiare un aborto a più donne
possibile si deve fare", mostrando che anche
sul tema più lacerante è possibile addirittura
lavorare assieme a chi si è sempre visto
come nemico. Impensabile, fino a qualche
tempo fa. Di donne cattoliche nel libro però
non se ne incontrano (Lucetta Scaraffia ne
ha scritto, apprezzando il libro ma commentando
questa assenza).
Eppure, accanto a esperienze lontanissime
da quelle delle donne cattoliche, le madri
selvagge confessano alcune sensibilità
molto prossime. Penso alla loro ostinazione
nel vivere la maternità il più naturalmente
possibile, non come malattia. Nel vissuto di
molte donne cattoliche, questa è una prassi
naturale, forse poco elaborata e quasi assente
nel dibattito pubblico, ma sicuramente
presente nel quotidiano di ognuna: l'abbiamo
imparata dalle nostre amiche in comunità
e nelle nostre famiglie, in una catena di
saperi femminili che non si è mai interrotta.
I metodi naturali ne sono forse l'esempio
più efficace: non una contraccezione per derelitte,
come spesso si vuole far credere, ma
uno stile di vita liberamente scelto, rispettoso
della persona e dei suoi ritmi. Avevo più
o meno quindici anni quando Suor Domitilla,
da poco arrivata al mio paese, organizzò
una serata al teatro dell'oratorio per spiegare
alla cittadinanza cosa fosse il metodo Billings.
Per molti fu una specie di scandalo -
certe cose spiegate in pubblico da una suora,
e al teatro dei preti! - ma noi capimmo innanzitutto
che potevamo imparare come
funzionava il nostro corpo senza bisogno di
medici, semplicemente con un'osservazione
attenta. Qualche anno dopo, matricola all'università,
abitavo con altre dieci studentesse,
quasi tutte cattoliche. Una si sarebbe
sposata l'anno successivo, stava imparando
il Billings e ce lo insegnò. Per un certo periodo
abbiamo tenuto addirittura una specie di
tabellone riassuntivo dei nostri cicli, con
tanto di descrizioni fantasiose e irripetibili
del muco cervicale, che poi dovemmo togliere
dalla circolazione per evitare troppe spiegazioni
a chi ci veniva a trovare. Penso sempre
con gratitudine a quegli insegnamenti:
rimpinzarmi di ormoni come alternativa mi
fa veramente orrore.
Non è un caso, infine, se la Leche League,
il movimento per l'allattamento al seno che
anche Di Pietro e Tavella citano, si è formata
durante un "picnic organizzato dalla parrocchia",
e che il nome sia ispirato ad un
santuario dedicato alla Madonna "Nostra Signora
del Latte e del Buon Parto". Anche
adesso, nelle nostre comunità i figli unici sono
pochi, ai nostri raduni o alle vacanze che
facciamo insieme ci sono sempre piccoli da
allattare, ed è normale farlo attaccandoli al
seno, finché si può. Sull'amore per la vita (ci
hanno quasi rubato lo slogan, a noi cattolici),
ci si può incontrare, scoprendo finalmente
tutto quello che c'è in comune, e costruendo
qualcosa di nuovo. Ne vedremo delle belle.
Assuntina Morresi

	

	
		
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