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Donne cattoliche e madri selvagge, la strana coppia pro choice-pro life
- Subject: Donne cattoliche e madri selvagge, la strana coppia pro choice-pro life
- From: "associazione Amici di Lazzaro" <associazioneamicidilazzaro at yahoo.it>
- Date: Sat, 25 Mar 2006 12:58:44 +0100
a sinistra molte donne si stanno svegliando: Donne cattoliche e madri selvagge, la strana coppia pro choice-pro lifeImuri più difficili da abbattere sono quelli invisibili. E quello che separa i pro-choice dai pro-life - cioè chi è a favore da chi è contro le leggi che legalizzano l'aborto - sembra insormontabile. Da noi, in Italia, quel muro fu eretto venticinque anni fa con il referendum sulla legge 194, di cui ancora si fa fatica a parlare con serenità. Eppure qualche varco si sta aprendo, soprattutto per via dei pericoli che tante donne vedono nelle nuove
tecnologie che utilizzano il loro corpo. Esemplare a riguardo la campagna lanciata lo scorso 8 marzo, "Hands off our Ovaries!" (Giù le mani dalle nostre ovaie), promossa da una coalizione internazionale di donne pro-choice e pro-life, rappresentate da Diane Beeson e Josephine Quintavalle, contro i pericolosi trattamenti di iperstimolazione ovarica a cui si sottopongono le donne, sia per la fecondazione artificiale sia per "donazioni" alla ricerca scientifica. Diane Beeson, sociologa della medicina e professore alla California State University, è da sempre una convinta pro-choice, ma nel 2004 ha deciso di fondare un'associazione, la Prochoice alliance against Proposition 71, per denunciare l'inevitabile sfruttamento del corpo femminile legato alle pratiche di ricerca sulla clonazione terapeutica, bisognose di quantità industriali di ovociti. Gli ovociti, com'è noto, non si fabbricano a una catena di montaggio: vengono "forniti" da giovani donne, sottoposte a trattamenti dei quali si sa solo che possono provocare gravi e gravissimi problemi a breve e a lungo termi- ne. Un conto è, dice allora la pro-choice Beeson e con lei la pro-life Josephine Quintavalle, se una donna si sottopone a stimolazioni perché sta provando a fare un bambino con la fecondazione artificiale, e ha quindi un interesse personale in nome del quale correre dei rischi. A quel punto può, se vuole, donare davvero gli ovociti "in più". Ma si sa che per quella via la ricerca non riuscirà mai a ottenere la grande quantità di "materia prima" necessaria. Chi lo farà? In nome di che cosa? Con quali rischi per la propria salute? I riferimenti italiani per la campagna "Hands off our Ovaries!" sono Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, che con il loro "Madri selvagge" (Einaudi) speigano la loro avversione alla "tecnorapina del corpo femminile", e dicono che si sono astenute dal referendum sulla legge 40 proprio perché radicalmente femministe. "Madri selvagge" è il segno che anche in Italia quel varco nel muro che separa pro-choice e pro-life si è aperto: Alessandra e Paola, partendo da sé, mettono in relazione le vicende del pianeta, la tecnoscienza, le biotecnologie, la personale esperienza di maternità e di amicizia. Il loro libro non è mai ideologico, così come non lo sono l'appello e le motivazioni della campagna prima richiamata (rintracciabili sul sito www.handsoffourovaries.com), ma butta per aria gli schieramenti pro-choice e pro-life. Li fa diventare vecchi, mentre ne scova le esperienze comuni, innanzitutto quella del mistero che c'è in ogni nascita. Alessandra e Paola difendono con le unghie e con i denti la 194, ma pensano pure che "un dibattito su come risparmiare un aborto a più donne possibile si deve fare", mostrando che anche sul tema più lacerante è possibile addirittura lavorare assieme a chi si è sempre visto come nemico. Impensabile, fino a qualche tempo fa. Di donne cattoliche nel libro però non se ne incontrano (Lucetta Scaraffia ne ha scritto, apprezzando il libro ma commentando questa assenza). Eppure, accanto a esperienze lontanissime da quelle delle donne cattoliche, le madri selvagge confessano alcune sensibilità molto prossime. Penso alla loro ostinazione nel vivere la maternità il più naturalmente possibile, non come malattia. Nel vissuto di molte donne cattoliche, questa è una prassi naturale, forse poco elaborata e quasi assente nel dibattito pubblico, ma sicuramente presente nel quotidiano di ognuna: l'abbiamo imparata dalle nostre amiche in comunità e nelle nostre famiglie, in una catena di saperi femminili che non si è mai interrotta. I metodi naturali ne sono forse l'esempio più efficace: non una contraccezione per derelitte, come spesso si vuole far credere, ma uno stile di vita liberamente scelto, rispettoso della persona e dei suoi ritmi. Avevo più o meno quindici anni quando Suor Domitilla, da poco arrivata al mio paese, organizzò una serata al teatro dell'oratorio per spiegare alla cittadinanza cosa fosse il metodo Billings. Per molti fu una specie di scandalo - certe cose spiegate in pubblico da una suora, e al teatro dei preti! - ma noi capimmo innanzitutto che potevamo imparare come funzionava il nostro corpo senza bisogno di medici, semplicemente con un'osservazione attenta. Qualche anno dopo, matricola all'università, abitavo con altre dieci studentesse, quasi tutte cattoliche. Una si sarebbe sposata l'anno successivo, stava imparando il Billings e ce lo insegnò. Per un certo periodo abbiamo tenuto addirittura una specie di tabellone riassuntivo dei nostri cicli, con tanto di descrizioni fantasiose e irripetibili del muco cervicale, che poi dovemmo togliere dalla circolazione per evitare troppe spiegazioni a chi ci veniva a trovare. Penso sempre con gratitudine a quegli insegnamenti: rimpinzarmi di ormoni come alternativa mi fa veramente orrore. Non è un caso, infine, se la Leche League, il movimento per l'allattamento al seno che anche Di Pietro e Tavella citano, si è formata durante un "picnic organizzato dalla parrocchia", e che il nome sia ispirato ad un santuario dedicato alla Madonna "Nostra Signora del Latte e del Buon Parto". Anche adesso, nelle nostre comunità i figli unici sono pochi, ai nostri raduni o alle vacanze che facciamo insieme ci sono sempre piccoli da allattare, ed è normale farlo attaccandoli al seno, finché si può. Sull'amore per la vita (ci hanno quasi rubato lo slogan, a noi cattolici), ci si può incontrare, scoprendo finalmente tutto quello che c'è in comune, e costruendo qualcosa di nuovo. Ne vedremo delle belle.Assuntina Morresi
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