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Re: Che rischio la Ru 486 nei Paesi poveri
- Subject: Re: Che rischio la Ru 486 nei Paesi poveri
- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Fri, 30 Dec 2005 12:37:46 +0100
- Priority: normal
Non vedo il problema. Oltre a portare la pillola nel terzo mondo perchè non portare gli altri prodotti necessari per questo? E' meglio veder morire di fame dei bambini? E' meglio vedere dei bimbi abbandonati dalla madre? Vi prego, cerchiamo di essere più obiettivi e lasciare alla madre di decidere cosa fare, piuttosto che far di tutto per portare acqua al proprio mulino. Auguri di buon anno piuttosto, Davide On 30 Dec 2005 at 11:08, associazione Amici di Lazzaro wrote: > > Che rischio la Ru 486 nei Paesi poveri www.impegnoreferendum.it > di Assuntina Morresi > Uno dei miti della pillola abortiva è quello secondo il quale > sostituendo la procedura chirurgica con quella medica si abbattono le > complicanze e la mortalità dovute ad aborti mal eseguiti, o effettuati > in condizioni di non sicurezza (aborto unsafe): una situazione > ricorrente nei Paesi in via di sviluppo, anche dove l’aborto è legale. > Ma si tratta, appunto, di un mito, considerati i requisiti richiesti > nei Paesi occidentali per le donne che si sottopongono all’aborto > chimico e i dati disponibili sulle sperimentazioni. L’aborto non > chirurgico più diffuso prevede una prima dose di mifepristone, che > blocca la produzione di progesterone e causa la morte dell’embrione in > utero, seguita dopo due giorni dall’assunzione per via orale o > vaginale di misoprostol, che provoca le contrazioni e permette > l’espulsione del "prodotto del concepimento". Dopo 14 giorni è > prevista una visita per controllare che l’aborto sia avvenuto > completamente. Vediamo alcune delle condizioni essenziali richieste > per accedere a questo tipo di procedura abortiva. Innanzitutto è di > fondamentale importanza l’accesso a un servizio sanitario fornito di > ecografo e relativo personale dedicato: l’età gestazionale va > stabilita con precisione – dopo i 49 giorni di gravidanza l’efficacia > della pillola abortiva diminuisce sensibilmente – e soprattutto è > necessario escludere la possibilità di una gravidanza extrauterina, > caso in cui la pillola abortiva non ha alcun effetto se non quello di > mascherarne i sintomi e causare anche la morte, come già avvenuto > negli Usa. È sempre con un’ecografia che si verifica il completo > svuotamento dell’utero, nella visita prevista dopo due settimane dalla > prima pillola. Si richiede inoltre di abitare a non più di un’ora di > macchina da un ospedale in grado di effettuare interventi d’urgenza, e > di potervi essere accompagnate: fra gli effetti collaterali più > pesanti vi sono infatti emorragie – a cui possono seguire interventi > medici o chirurgici, quando non trasfusioni –, forti dolori addominali > – per cui sono spesso necessari analgesici – e infezioni, che > richiedono trattamenti antibiotici sotto stretto controllo medico. > Sono proprio i processi infettivi a essere oggi sotto accusa: quattro > donne in meno di due anni in California e una quinta in Canada – come > già denunciato su queste pagine, nel silenzio pressoché assoluto della > "grande stampa" – sono morte per una rara infezione (dovuta al > batterio Clostridium Sordellii) dopo essersi sottoposte ad aborto > chimico (o medico). Facile accesso a strutture ospedaliere debitamente > equipaggiate di attrezzature e personale: quante donne ne possono > disporre nelle regioni svantaggiate africane o asiatiche? D’altra > parte i dati disponibili riguardanti le sperimentazioni in questi > Paesi non sono incoraggianti: Winikoff e collaboratori, ad esempio, > nel 1997 hanno condotto uno dei primi studi sperimentali (molto citato > nella letteratura scientifica) sull’accettabilità del metodo abortivo > medico in Cina, Cuba e India, paragonando i risultati con quelli > ottenuti chirurgicamente. Le cifre mostrano che in questa > sperimentazione in India l’aborto medico è fallito nel 5.2% dei casi, > mentre per quello chirurgico il successo è del 100%; in Cina la > pillola abortiva è fallita nell’8.6% dei casi, mentre il metodo > chirurgico nello 0.4%. A Cuba addirittura viene riportato un > fallimento del metodo medico del 16%, contro un 4% di quello > chirurgico. Ricordiamo che quando la pillola abortiva fallisce è > necessario procedere per via chirurgica, talvolta in condizioni di > urgenza. Tutte le donne coinvolte nella sperimentazione abitavano a > non più di un’ora di macchina dalla clinica. Ma questa non è la > condizione della maggior parte delle donne di questi Paesi, molte > delle quali vivono in aree rurali del tutto sprovviste di servizi > sanitari attrezzati. Incoraggiare un aborto medico che si potrebbe > verificare anche a casa significherebbe esporle a numerose, evidenti e > gravissime complicanze. Proprio ai pericoli per le donne lontane da > strutture sanitarie si è appellato il ministro della Sanità > australiano, quando ha confermato il bando alla pillola abortiva > esistente nel suo Paese fin dal 1996. Fra le controindicazioni > elencate per chi vorrebbe abortire con la pillola figurano anche > malnutrizione e anemia, il che non depone precisamente a favore di > questa procedura nei Paesi in via di sviluppo. In un altro studio del > maggio 2001, pubblicato nella rivista scientifica Lancet, si presenta > una sperimentazione effettuata in Tunisia e Vietnam con un successo, > rispettivamente, nel 91 e 93% dei casi, ancora una volta al di sotto > della media occidentale (95%). Interessante il motivo addotto dalle > donne che hanno scelto di abortire a casa: evitare il ricovero in > clinica è compatibile con le attività familiari, di lavoro, di studio. > Evidentemente le informazioni ricevute le avevano indotte a pensare > che l’aborto chimico non avrebbe influito nel corso normale della loro > vita. E invece il 13% delle donne tunisine ha dichiarato che gli > analgesici ricevuti erano inadeguati per l’entità del dolore, e il 31% > delle donne vietnamite che hanno scelto l’uso domestico del > misoprostol si sono sottoposte a visite ospedaliere non programmate. > Per non parlare dei noti effetti collaterali: crampi (più di due > giorni in media), vomito (da mezza giornata a più di un giorno), > diarrea, perdite di sangue anche pesanti, e via dicendo. Nel testo > dell’articolo viene sottolineato che «la somministrazione a casa del > misoprostol offre alle donne più scelta, controllo e privacy nella > gestione del proprio aborto», e quindi l’uso domestico viene > consigliato per tutti i Paesi del mondo, sviluppati e non. Eppure le > deludenti percentuali di efficacia indicherebbero il contrario. Come > mai? A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca: quattro > entusiasti autori – su sette – dell’articolo appartengono al > «Population Council», l’ente no profit che detiene il brevetto del > mifepristone nel mercato americano. Due di loro sono anche autori > dell’articolo precedente, che infatti si concludeva con un giudizio > positivo sulla sperimentazione presentata, contro ogni evidenza > numerica. > > In Cina dal 2001 è stata vietata la vendita della pillola abortiva in > farmacia, ed è stato consentito l’aborto chimico solamente in cliniche > specializzate. Motivo addotto: la sicurezza per la salute delle donne, > senza ulteriori spiegazioni. Considerando che nel 2000 gli aborti con > la pillola sono stati sette milioni, si può ragionevolmente supporre > che complicanze e gravi effetti collaterali siano stati intollerabili > anche per un regime come quello cinese, non particolarmente attento ai > diritti umani, specie delle donne. Qualche notizia però trapela. Nel > 2000 è stato dedicato all’aborto medico un numero speciale del Journal > of American Medical Women’s Association, nel quale il dottor Wu > Schangchun, del «National Research Institute for Family Planning» di > Pechino ha dedicato un articolo alla situazione in Cina. Se da un lato > le sperimentazioni cinesi descritte nella letteratura medica danno > un’efficacia che va dal 91 al 97%, con una percentuale di interventi > chirurgici del 3-9%, viene specificato che in molte cliniche l’aborto > per aspirazione è comunque eseguito al termine del terzo giorno della > procedura medica se l’espulsione non è ancora avvenuta, per evitare > interventi di emergenza per i quali non si è attrezzati. In questo > modo il tasso di interventi chirurgici effettuati è maggiore del 20%. > Il 35% delle donne denuncia perdite di sangue pesanti e prolungate, a > causa delle quali il 10-20% deve tornare in ospedale, specie fra chi > vive fuori dalle città. Il 40% non sceglierebbe nuovamente l’aborto > medico. La «State Family Planning Commission» ha sottolineato che > l’aborto medico deve avvenire in cliniche pubbliche specializzate e > pronte a interventi di emergenza, ma nonostante ciò il numero di > aborti medici sta diminuendo nei grandi ospedali, perché «lo staff > medico è troppo impegnato in questa procedura (più consulti, più > visite, più osservazione) e inoltre deve gestire casi con seri effetti > collaterali e complicazioni».
- References:
- Che rischio la Ru 486 nei Paesi poveri
- From: "associazione Amici di Lazzaro" <associazioneamicidilazzaro at yahoo.it>
- Che rischio la Ru 486 nei Paesi poveri
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