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Sinistra europea
- Subject: Sinistra europea
- From: "Disobbedienti " <disobbedientimolise at libero.it>
- Date: Thu, 8 Dec 2005 15:16:28 +0100
Giriamo l'articolo pubblicato oggi su Liberazione a Firma di francesco Caruso su movimenti e sinistra europea. MOVIMENTI, DEMOCRAZIA E SINISTRA ALTERNATIVA Francesco Caruso L'Iraq, le banlieu parigine, la Val di Susa, ma anche Abu Graib, Guantanamo, i Cpt, Scampia, sono situazioni particolarmente distanti e differenti tra di loro, ma tutte mettono a nudo un dato incontrovertibile: la crisi della democrazia. Una crisi profonda che dimostra non solo la fragilità della visione liberista della democrazia come banale sommatoria di libere elezioni e libero mercato, ma soprattutto mostra l'urgenza di una sua profonda rivisitazione e radicalizzazione, in grado di produrre gli anticorpi necessari nella società per contrastare quella sorta di fuoriuscita "a destra" dalla crisi della democrazia - intrisa di autoritarismo e militarizzazione - che oggi sembra predominante : le leggi speciali in Francia, il decreto Pisanu, il pacchetto sicurezza a Napoli, 'occupazione militare di Baghdad, Scampia, Parigi, Venaus, sono tutti segnali non di uno "scontro di civilità" ma di una "crisi di civiltà" che le elitè imperiali cercano di occultare fomentando il terrore verso il nemico esterno, che sia Bin Laden, l'islam o il noglobal poco importa. La globalizzazione neoliberista e la sua figlia legittima, la guerra globale permanente, portano infatti con sè non solo la sistematica distruzione delle risorse, dell'ambiente, dell'umanità, ma anche una "democratizzazione passiva", un attacco diretto nei confronti delle pur esili pratiche di democrazia esistenti e ancor più ai movimenti che si pongono sul terreno dell'estensione delle stesse, cercando di zittirli e soffocarli sotto una montagna di arresti, denunce, inchieste e teoremi giudiziari. Dal canto suo, il mondo della politica "ufficiale" va avanti inesorabile con i suoi teatrini, le sue kermesse, le sue alchimie, conchiusa in una delirante "autonomia del politico" che l'allontana sempre più dalla realtà. Nel mondo reale, fortunatamente invece, l'irruzione dei movimenti è riuscita ad imporre con la sua dirompenza sociale non solo la critica al neoliberismo, ma anche alle forme e al concetto stesso della rappresentanza: i principi nefasti della delega e della verticalità decisionale che per anni hanno alimentato un processo di professionalizzazione da una (piccola) parte e di passivizzazione sociale dall'altra, sono state investite da un’ondata di protagonismo diffuso che ha scompaginato le dicotomie classiche della sinistra novecentesca (avanguardia/massa, politico/sociale, riformismo/rivoluzione) ma anche quelle più recenti (esodo/conflitto, vecchi/nuovi movimenti sociali) e ha rotto quelle compartimentazioni, figlie del riflesso condizionato dell'organizzazione sociale fordista che per oltre un secolo ha segmentato e frazionato l'impegno culturale dall'azione politica, l'attivismo sociale dalla vertenza sindacale. E' chiaro come questa dinamica di autopoiesi sociale dei movimenti, di riappropriazione e riconfigurazione dal basso dell'azione collettiva, così come la potenza innovatrice e costituente della generazione di Genova, non possa essere sussunta e mortificata dentro i meccanismi stantii della politica tradizionale; non può diventare la flebo per tentare di resuscitare una sinistra che non c’è più, morta soffocata dai miti dello sviluppo, della centralità dello stato-nazione, del riformismo progressista, ma piuttosto deve diventare la linfa per reinventare una sinistra radicale e alternativa che non c’è ancora. In questo senso le proposte di confederazioni, liste, listini e cartelli elettorali, non sono la cura ma la malattia perchè non si pongono il problema di sfidare la crisi della politica “ufficiale”, ma rimandano invece alla legittimazione delle forme esistenti della democrazia rappresentativa; la cecità politica che sottende queste proposte è il frutto della burocratizzazione di weberiana memoria, la tendenza cioè delle organizzazioni a preservare innanzitutto la proprio autoriproduzione: non è un caso infatti che la stragrande maggioranza delle grandi organizzazioni di massa, durante il g8 di Genova, abbia scelto di disertare e demonizzare quelle giornate, lasciando da sola a resistere contro i proiettili, i gas cancerogeni, i pestaggi di massa, le torture, una nuova generazione politica nata proprio sotto quel "battesimo di fuoco". Perchè quelle giornate, così come il movimento che da lì è sorto, metteva e mette in discussione non solo il g8 ma anche loro stessi, il loro monopolio esclusivo sulla politica, l'inviolabile zona rossa dei partiti. Ora, con Berlusconi e il suo governo ormai alla frutta grazie anche e soprattutto alle mobilitazioni dei movimenti, quei stessi signori tornano alla ribalta e dicono "ragazzi, la ricreazione è finita, andate a casa...". In questo quadro politico così disarmante, la proposta di Rifondazione Comunista di costruzione della Sinistra Europea rappresenta una evidente anomalia, in quanto pone coraggiosamente il problema della propria inadeguatezza e la necessità di mettersi in discussione e guardare oltre sè stessa e la tradizionale forma-partito. Alla disponibilità a condividere la costruzione di uno spazio politico di incontro tra le esperienze che hanno segnato il ciclo da Genova in poi, Rifondazione ha affiancato la scelta di cedere una quota della propria sovranità per sperimentare un percorso concreto di innovazione oltre le formule tradizionali dell'organizzazione e della rappresentanza politica. Credo che questa sfida possa rappresentare, se opportunamente colta dai movimenti, un interessante banco di prova nella costruzione di una inedita relazione tra politica, movimenti e conflitti, per riuscire insieme ad individuare una possibile fuoriuscita a sinistra dalla crisi della democrazia, una fuoriuscita che non può eludere dalla centralità che i movimenti hanno assunto in questi anni. Non si tratta banalmente del fatto che i movimenti si devono buttare (mai termine così azzeccatto) in politica, ma piuttosto di uno strumento - non certo l'unico nè tantomeno esaustivo - di interconnessione tra esperienze e percorsi che, nella sempre più densa compenetrazione tra politica, società e cultura, cercano di sperimentare forme radicali e innovative di azione biopolitica, strategie inedite di costruzione di nuova soggettività anticapitalista. Il carattere del tutto aperto e deliberatamente indefinito nelle sue forme pone questo percorso come una scommessa per i soggetti in campo, i cui esiti non sono affatto scontati: da una parte, senza un meccanismo reale di connessione, di messa in moto di energie, partecipazione e conflitti, il rischio è che questa sperimentazione si traduca in un mero strumento di cooptazione di ceto politico. Dall'altra parte, ed è quello che ci dobbiamo proporre di realizzare, è possibile sperimentare meccanismi inediti di rovesciamento delle forme tradizionali e verticali della rappresentanza, di reinvenzione e riappropriazione dal basso delle pratiche e del concetto stesso di democrazia, di costruzione di spazi pubblici costituenti oltre gli istituti tradizionali della democrazia rappresentativa. Le esperienze maturate all'interno del movimento di movimenti, da questo punto di vista, sono fondamentali per la costruzione innanzitutto di una metodologia innovativa di confronto e iniziativa, in grado di abbattere e sostituire il formalismo burocratico con l'informalità, il voto di maggioranza con il principio del consenso, il centralismo democratico con il valore dell'autonomie e delle differenze, la piramide e la monolicità organizzativa con un modello rizomatico di messa in rete e di contaminazione. Abbattere quindi il fortino dell' "autonomia del politico", ma anche e soprattutto porsi con determinazione il problema dell'abbattimento dello stato, per dirla con il Lenin di "Stato e Rivoluzione", attraverso però non la presa del potere ma il suo superamento, la sua esautorazione, cioè attraverso la sistematica distruzione della distanza tra politica e società, l'annientamento della separazione tra società e sovranità. La base di partenza per questa sperimentazione non possono non essere le soggettività individuali e organizzate che hanno condiviso l'esperienza di Genova, quelle drammatiche e al tempo stesso avvincenti giornate. Tuttavia le insorgenze sociali che hanno scosso il meridione in questi anni, da Scanzano a Melfi, da Acerra a Terlizzi, da Ariano Irpino a Termoli, possono rappresentare un ulteriore trampolino di lancio per affrontare questa scommessa, perchè proprio a partire da quelle ondate di protagonismo sociale è possibile implementare una base innovativa di riconfigurazione di una democrazia partecipativa che non sia semplice elargizione dall'alto di quote di spesa pubblica, ma processo dal basso di sovversione dello stato di cose presenti. __________________________ L'autoritarismo ha bisogno di obbedienza, la democrazia di DISOBBEDIENZA
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