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Dal "tutto è politica" al "tutto è privato". Mariapia Garavaglia contro la RU486
- Subject: Dal "tutto è politica" al "tutto è privato". Mariapia Garavaglia contro la RU486
- From: "associazione Amici di Lazzaro" <associazioneamicidilazzaro at yahoo.it>
- Date: Wed, 16 Nov 2005 19:51:21 +0100
Dal "tutto è politica" al "tutto è privato". Mariapia Garavaglia contro la RU486
Al direttore - Si parla spesso, anche in modo abusato, di protagonismo femminile. A giudicare dalle notizie apparse in questi giorni però, c'è del vero in questa espressione, anche se sarebbe più esatto aggiungervi l'aggettivo "mancato". Abbiamo infatti una martire kamikaze fortunatamente mancata in Giordania, abbiamo, purtroppo, una vedova "sposa mancata" nelle celebrazioni dei caduti a Nassiriyah e abbiamo un'occasione mancata con il dibattito sulle quote rosa. L'unico protagonismo femminile non mancato di questi giorni è quello bellissimo di Ellen Johnson-Sirleaf, prima donna a essere stata democraticamente eletta alla presidenza della Liberia, dopo 14 anni di devastante guerra civile. Le donne dunque al centro delle notizie, e quasi mai in positivo. Ma al nostro elenco, mi si consenta il gioco di parole, manca ancora una manchevolezza importante, la principale, quella che investe in pieno la problematica femminile: il dibattito sulla RU486. Partiamo dai punti fermi. La 194 può non essere condivisa - ed è il mio caso - ma è una legge dello Stato e come tale va attuata nello spirito e nella lettera, ricordando che si tratta di "norme a tutela della maternità". Quindi il fine sociale della norma non può essere messo in discussione. Cosa è la RU486? E' un farmaco la diffusione del quale esigerebbe perlomeno una modifica delle misure previste dalla 194 a tutela della donna. La pillola abortiva, evitando il ricovero, consentirebbe a lungo andare di sottrarsi invece a quella assistenza sanitaria che oggi è prevista. Per qualche esperto e per i fautori di una società laicista, proprio in questa capacità di isolamento della persona e del suo disagio deriva il principale beneficio di questo farmaco. Si parla di trionfo della persona che liberamente può fare fronte a un aborto senza ricorrere a nessuno, tranne a un medico che prescrive e a pochi milligrammi di sostanze capaci di interrompere una gravidanza. Queste stesse ragioni, secondo me, sono l'aspetto sviante della RU486. Si relega in solitudine quella donna che la legge, socializzandone i problemi, decide di aiutare. Come è noto infatti, ogni farmaco ha sempre effetti indesiderati; l'aspirina, che pure ha più di 100 anni di storia, è pericolosa per le persone che hanno intolleranze. Questo non è un motivo per abolirla, ma fa capire che anche la pillola più comune può richiedere una conoscenza precisa delle indicazioni terapeutiche. La legge non serve per occupare posti letto, ma per fornire assistenza, un diritto fondamentale per la tutela della salute cui si rischia rinunciare. La mancata socializzazione di un problema fa mancare alla donna l'aiuto, che non è un concetto teorico ma pratico. Separarsi dal resto del mondo e vivere un disagio in solitudine non è infatti un rimedio, perché misurarsi apertamente con un problema presuppone anche la possibilità di risolverlo. È preoccupante che l'ultima frontiera del dibattito su un tema fondamentale per le donne si risolva nel far mancare sostegno alle donne in un momento non facile della loro vita. Altro che manchevolezza, con l'adozione generalizzata della RU486 si aprirebbe un'enorme crepa sociale. Purtroppo, come spesso accade da qualche tempo, soprattutto dopo il legittimo intervento dell'episcopato italiano su questo argomento, c'è da attendersi un inasprimento del confronto, con il merito della questione che scompare, sostituito da un estenuante dibattito su quanti grammi la società italiana deve essere più o meno laica. E' un copione che conosciamo e che lascia insoddisfatti chi, come chi scrive, vorrebbe che i problemi delle donne non si esaurissero in un guazzabuglio ideologico, in cui la ragione diventa un concetto astratto, del tutto disancorato alla realtà. Al contrario, i problemi delle donne vanno risolti nell'interesse della società. La società che non assume l'esperienza esistenziale delle donne per rappresentarla in politica e per socializzarne le relazioni personali, oltre che deficitaria dal punto di vista democratico, induce ingiustizie e solitudini che diventano pericolose. La donna isolata nel suo disagio è una cittadina sola e più in pericolo. E' l'icona di tante scorciatoie. Dopo aver vissuto un'epoca in cui tutto era politica, oggi, con eccessiva semplificazione, si torna indietro. Adesso credo che la priorità sia evitare che si affermi il contrario, che tutto appartenga alla sfera privata.Mariapia Garavaglia, vicesindaco di Roma
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