ROMA - Lo Stato indagherà. Il ministro
dell'Interno, Giuseppe Pisanu ha disposto che il prefetto Alessandro
Pansa, direttore centrale per l'immigrazione, si rechi sabato a Lampedusa
per un «accurato sopralluogo al centro di prima accoglienza». Lo comunica
il Viminale. La decisione è stata presa in relazione all'inchiesta de
L'Espresso sulle condizioni di vita nel
centro.
La sezione italiana di Amnesty International -
sempre venerdì - aveva scritto al ministro dell'interno Giuseppe,
chiedendo per l'appunto chiarimenti e l'avvio di un'indagine sulle denunce
contenute nel reportage pubblicato nel numero in edicola e redatto dal
giornalista Fabrizio Gatti che ha trascorso otto giorni nei panni di un
curdo nel centro di permanenza temporanea e accoglienza di Lampedusa.
Otto giorni nei
quali dal racconto il Cpt appare più che una struttura di
accoglienza un vero e proprio ’girone’ dell’inferno, con torture
psicologiche, violenze fisiche e vessazioni nei confronti dei clandestini
ospitati (o detenuti?) nel centro. Otto giorni per raccontare cosa vuol
dire arrivare in Italia da clandestino, essere ripescato in mare e
rinchiuso con altre centinaia di disperati in un centro di permanenza
temporanea. In condizioni disumane. Picchiati e umiliati dalle forze
dell’ordine, costretti a sopravvivere tra escrementi e violenze, offesi
nel pudore e nella dignità.
È di vitale importanza, secondo Amnesty,
chiarire se le gravi violazioni dei diritti umani dei cittadini stranieri
trattenuti a Lampedusa riportate da Gatti nel suo articolo siano
effettivamente avvenute. Ciò anche «alla luce delle ripetute
rassicurazioni fornite dal ministro Pisanu sull'aderenza dell'Italia alle
norme internazionali sui diritti dei migranti e dei rifugiati».
L'organizzazione per i diritti umani
ricorda al ministro di aver più volte, e invano, chiesto di poter accedere
ai centri di detenzione per migranti e di garantire l'accesso anche a
osservatori indipendenti. A giugno, Amnesty International ha pubblicato un
rapporto sui Cpt italiani, nel quale si denuncia la «situazione
complessivamente preoccupante dei centri, la costante prassi di espulsioni
in violazione del principio di non-respingimento, la mancata assistenza
legale e condizioni di detenzione inadeguate non in linea con gli standard
internazionali»
Gatti ha realizzato il suo reportage
usando una identità fittizia. Bilal Ibrahim el Habib, del Kurdistan
iracheno, nato il 9 settembre del 1970 nel villaggio immaginario di
Assalah, distretto di Aqrah. Dopo essere stato ripescato in mare, portato
al Pronto Soccorso, Gatti-Bilal viene fermato dai carabinieri, rinchiuso
nel centro di accoglienza temporanea e alla fine della esperienza-calvario
viene rilasciato con un foglio di via che gli intima di lasciare l’Italia
entro cinque giorni; in realtà viene lasciato libero di andarsene come
clandestino in qualunque città d’Europa.
Nel lungo resoconto Gatti-Bilal descrive
il supplizio degli interrogatori e dei riconoscimenti, con gli
immigrati che appena sbarcati vengono portati nel Centro e fatti sfilare
nudi tra i carabinieri che li schiaffeggiano, dei musulmani obbligati dai
militari a guardare film pornografici, e per chi rifiuta, insulti e botte.
Un reportage crudo, in cui si scopre che nel famoso «Cpt» di Lampedusa,
definito dal leghista Mario Borghezio «un hotel a cinque stelle», i
gabinetti «sono un’esperienza indimenticabile».