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Perché con la Ru486 le femministe hanno perso la loro battaglia
- Subject: Perché con la Ru486 le femministe hanno perso la loro battaglia
- From: "associazione Amici di Lazzaro" <associazioneamicidilazzaro at yahoo.it>
- Date: Fri, 30 Sep 2005 12:41:16 +0200
Perché con la Ru486 le femministe hanno perso la loro battaglia di Eugenia Roccella - storica femminista La Ru486 non è più solo una banale pillola che provoca l'aborto, è una bandiera. Non è facile capire come un metodo chimico per interrompere la gravidanza si sia trasformato in una frontiera di civiltà, una battaglia fatta in nome della libertà femminile e del progresso. Quando i gruppi di self-help e le associazioni per la salute delle donne si battevano per diffondere il metodo Karman, assai meno traumatico del tradizionale raschiamento, non ho memoria di un analogo coro di scalpitanti consensi e dichiarazioni pugnaci. Ma, sul dilemma aspirazione o curetage, nessuno poteva spendere qualche residuo scampolo di ideologia, non c'era il gusto dello scontro frontale laici-cattolici, progressisti- reazionari; si trattava, semplicemente, di valutare vantaggi e svantaggi delle diverse tecniche per le pazienti. Per farla diventare una bandiera, la povera pillola è stata caricata di significati simbolici che la travalicano, e le attribuiscono un ruolo salvifico del tutto sproporzionato: il mifepristone dovrebbe liberare le donne dalla sofferenza, fisica e psichica, eliminando insieme crampi e sensi di colpa. La Ru486, per chi la difende, avrebbe solo virtù positive, renderebbe l'aborto facile e indolore; dunque, chi chiede cautela (e per esempio non apprezza le emorragie domestiche) vuole in realtà che l'aborto sia difficile e doloroso, un penoso cammino di espiazione. Personalmente, ho lottato per ottenere una legge, mi sono autodenunciata, ho subito processi, e sarei disposta a rifarlo immediatamente. Non voglio, come credo non possa volerlo nessuna donna, che la scelta di interrompere la gravidanza sia punitiva, che implichi un tributo visibile e corporeo di lacrime e sangue da sommare a quella lacerazione interiore invisibile e incorporea, che comunque comporta. Quando, negli anni Settanta, scendevamo in piazza contro le leggi "per l'integrità della stirpe", qualcuna di noi commentava: pensa a che punto siamo, se dobbiamo reclamare l'aborto come fosse un diritto. Non lo è, infatti; è un compromesso raggiunto all'interno della costruzione maschile della cittadinanza, immaginata per il corpo dell'uomo, che non si sdoppia, che non sa generare. E'un pensiero-limite, una legittimazione di quella morale concreta dell'aggiustamento che le donne hanno praticato per secoli, nella zona di confine tra lecito e illecito, fra ciò che era consentito dalla legge patriarcale e ciò che ritenevano giusto secondo la propria esperienza di vita. L'aborto è una conquista ambigua, della cui ambiguità le femministe erano e sono perfettamente coscienti; non è l'affermazione trionfante della libera scelta, ma la presa d'atto di uno scacco, l'ultima via d'uscita di fronte al fallimento del tentativo di controllare il corpo e la fertilità. L'interruzione di gravidanza è una soluzione arcaica, che avrebbe dovuto cedere gradualmente il passo alla prevenzione, a metodi contraccettivi più morbidi e amichevoli per le donne. La battaglia per l'aborto era fatta per arrivare alla riduzione degli aborti, nella convinzione che sottraendoli alla clandestinità si sarebbe incrementata la consapevolezza e l'informazione. In questo senso, la battaglia è stata persa. Il ricorso all'interruzione di gravidanza, in Europa, non è mai calato sensibilmente, e non ha rapporto, come dimostra il caso della Svezia, con un alto tasso di diffusione dei contraccettivi. L'apologia della Ru486 rischia di aggravare e consolidare questa sconfitta. In che cosa consiste la tanto propagandata "facilità" dell'aborto chimico? Non in meno dolore fisico per le donne, se persino Silvio Viale ammette che "il bisogno di analgesia è minore per l'aborto chirurgico"; non in meno dolore psichico, se al sollievo per una rapida conclusione si sostituisce un'attesa di giorni, e l'ansia che sempre provoca un evento emorragico (lo si chieda a chi l'ha vissuto). I movimenti internazionali per la salute della donna hanno messo in guardia sulle conseguenze a lungo termine della Ru486, di cui non si sa ancora abbastanza; e da tempo le femministe esortano alla cautela verso l'uso disinvolto di farmaci che intervengono pesantemente sui delicati equilibri ormonali femminili. La facilità dell'aborto chimico è altrove, e si legge con chiarezza nelle parole dello stesso Viale, riportate sul Foglio di sabato da Nicoletta Tiliacos: "E' naturale che a un flusso di materiale indefinito sia attribuito un valore diverso da quello di un embrione o di un feto (.) più formato e più visibile". Siamo, dunque, a un'etica dell'invisibilità, del genere "occhio non vede, cuore non duole". La Ru486 potrebbe costituire una sorta di bilanciamento morale dell'ecografia, che induce a considerare il feto visibile una persona. Con questo metodo si può mascherare il conflitto, addolcire il senso cruento dell'operazione, permettendo, dice ancora Viale, "di considerarlo meno un aborto". Qui bisogna essere chiari: siamo pro-choice o siamo abortisti? Vogliamo la consapevolezza di una scelta, sempre connessa all'assunzione di una responsabilità, o vogliamo che l'interruzione di gravidanza diventi un anticoncezionale come un altro? Vogliamo tentare di ridurre o di incrementare il numero di aborti? La Ru486 rende l'aborto realmente facile solo dal punto di vista culturale, abbassando la soglia di attenzione cosciente delle donne, e permettendo agli uomini di minimizzare la propria responsabilità (in fondo basta una pillola). La banalizzazione dell'aborto è legata all'indifferenza pubblica verso il valore sociale, culturale e simbolico della maternità, e porta con sé una sostanziale mancanza di rispetto verso il corpo femminile. I nuovi anticoncezionali, invece di essere più naturali, meno invasivi e chimicamente pesanti, somigliano sempre di più a forme "leggere" di aborto (pillola del giorno dopo, vaccini antifertilità), intervenendo a cose fatte. Mentre in ogni campo della medicina sale la richiesta di metodologie dolci, alle donne si offrono solo bombe chimiche, e nei paesi terzi, in nome dei diritti riproduttivi, farmaci spaventosi come la Quinacrine, che provoca la sterilizzazione grazie a un processo infiammatorio dell'utero. Davvero vogliamo questo, abbiamo lottato per questo? Io no, e so di non essere la sola. Eugenia Roccella___________________________________ Yahoo! Mail: gratis 1GB per i messaggi e allegati da 10MB http://mail.yahoo.it
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