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La spirale guerra - terrorismo
- Subject: La spirale guerra - terrorismo
- From: "Garofalo Lucio" <garofaloluc at tiscali.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Wed, 13 Jul 2005 00:23:55 +0200
LA SPIRALE GUERRA-TERRORISMOChiarisco subito un concetto che deve costituire un punto fermo e inamovibile: il nuovo attentato terroristico che ha devastato Londra rappresenta un orrendo crimine commesso contro l’intera umanità, soprattutto contro la parte più umile e indifesa del genere umano. Voglio urlare con forza il mio sdegno morale contro atti che rivelano soltanto una ferocia assassina ed una raccapricciante efferatezza, e non sono certo utili alla causa degli oppressi o dei diseredati del pianeta, anzi non è ravvisabile alcun vantaggio per i più deboli e miserabili. Caso mai vi si annidano gli interessi affaristici e miliardari di qualche oscuro centro di potere sovranazionale. Comunque, per comprendere simili fenomeni non servono analisi di carattere dietrologico, ma occorre sforzarsi di compiere una valutazione il più possibile lucida ed obiettiva dei fatti e delle conseguenze. Occorre chiedersi: cui prodest, a chi giova tutto ciò? A chi giovano, dunque, queste azioni criminali e stragiste che, per la loro tipologia, mirano a colpire in modo indiscriminato le masse popolari, non certo bersagli ben precisi e individuati, tanto meno i sedicenti ”decisori” superblindati del G8. Uno degli effetti più immediati è stato quello di stravolgere l’agenda politica del summit scozzese, ponendo al primo punto il tema della sicurezza e della “guerra al terrorismo”, così da ridare fiato e slancio alla strategia della “guerra preventiva” (o “guerra globale permanente”) imposta dall’intellighenzia neoconservatrice che ispira l’amministrazione nordamericana. Una strategia che ormai attraversa una grave crisi di consensi a livello internazionale, e spera in una ripresa e in un recupero di immagine e di risorse finanziarie. La priorità più urgente della politica mondiale torna ad essere la cosiddetta “emergenza terrorismo”, a cui vengono subordinate e sacrificate tutte le altre questioni di cui si era tanto cianciato (anche durante il “Live 8”, ricordate?): il bisogno di sicurezza prevale ora sul blando sentimento di solidarietà e fraternità suscitato dall’iniziativa mega-spettacolare di Bob Geldof e dell’apparato ideologico-propagandistico costruito intorno ai mega-concerti del “Live 8”. Tutto il resto non conta più. Conta solo la questione della sicurezza, ossia la sicurezza dell’occidente, rispetto alle insidie provenienti dal terrorismo globale. Questa “emergenza” viene ora nuovamente anteposta sia alla tragedia della povertà estrema e del debito economico che affligge e debilita le popolazioni africane, sia ai pericoli derivanti dai mutamenti climatici terrestri e, di conseguenza, al punto concernente il protocollo di Kyoto. Ebbene, tutto ciò è passato rapidamente in secondo piano: questo è un primo dato di fatto assolutamente innegabile. In tal senso, una conseguenza degna di rilievo è stata l’intensificazione delle misure di sicurezza nel mondo, soprattutto nelle metropoli occidentali, compresa l’Italia, apertamente minacciata da Al Qaeda. La circostanza che deriva da tale “incombente e permanente minaccia” è una drastica riduzione delle libertà individuali, che vengono sacrificate sull’altare della “sicurezza generale”. Rinunciare alla libertà per ottenere in cambio più sicurezza: questo è lo slogan trito e ritrito che è stato rapidamente adottato da diversi ambienti politici, nazionali ed internazionali. Un altro effetto immediato è riconoscibile in un’operazione di isolamento e ghettizzazione che ha coinvolto il movimento “noglobal”, al fine di indebolire ed affossare le istanze, le lotte e le vertenze anticapitaliste che sono portate avanti in questi giorni attraverso iniziative ed incontri “anti-G8”, una sorta di “summit alternativo” in cui i protagonisti non sono più otto individui che si arrogano il diritto di decidere e condizionare il destino dell’intera umanità, bensì centinaia di migliaia di persone, di attivisti, di esperti, di studiosi, di semplici cittadini, che si mobilitano e si risolvono a partecipare concretamente ad un convegno, ad un’assemblea, ad una manifestazione, per dare voce a sé e a chi non riesce a far sentire la propria. Uno degli obiettivi perseguiti da questa strategia internazionale del terrore, sembra essere proprio quello di emarginare e criminalizzare il cosiddetto “movimento dei movimenti” che contesta il G8 e gli contrappone un modello alternativo ed antitetico di discussione e decisione collegiali, di organizzazione dei rapporti interpersonali e politici a partire dal basso, ossia dai bisogni e dalle rivendicazioni concrete della gente, attraverso forme democratico-dirette e partecipative, rifiutando la logica autoritaria e verticistica del summit, per optare a favore di una costruzione orizzontale, diffusa ed aperta della prassi politica. Un altro importante motivo di riflessione riguarda il quadro politico mediorientale. Mi spiego. L’attentato stragista di Lontra sembra aver ridestato bruscamente l’opinione pubblica internazionale dallo stato di torpore e di indifferenza generato da una sorta di assuefazione alle immagini di guerra, di orrore e di morte, provenienti tutti i giorni dall’Iraq e dallo scenario mediorientale. E’ evidente ed ovvio ormai che, quando simili vicende terroristiche insanguinano New York, Madrid o Lontra, anziché Baghdad o i palestinesi, la comunità occidentale sembra reagire in modo viscerale ed irrazionale, in preda agli effetti scioccanti e tramatici della paura. Pertanto, chi decide di diffondere il panico e l’angoscia per favorire il propagarsi di sentimenti irrazionali, fa il gioco dei terroristi. In sostanza, il terrorismo giova anzitutto a chi, prendendo a pretesto lo stato di inquietudine, insicurezza ed irrazionalità diffuse tra la popolazione, ne approfitta per invocare svolte politiche in senso autoritario e liberticida all’interno delle società occidentali. Parimenti (come è stato finora deciso dai vertici dell’establishment militare-industriale anglo-americano), di fronte alla spietata recrudescenza del terrorismo si sollecita una risposta altrettanto cruenta, ossia un’escalation militare e interventistica, nella misura in cui le armi continuano ad essere lo strumento privilegiato di una strategia neocoloniale condotta su scala globale. Un altro punto su cui vale la pena soffermarsi, concerne la questione palestinese. Negli anni si è consolidata una verità che ormai più nessuno osa contestare, cioè che all’origine della “polveriera” mediorientale, e persino dietro l’espansione del fondamentalismo islamico, sta il problema palestinese, quindi il decennale conflitto arabo-israeliano. Ebbene, è chiaro a tutti che fino a quando non si otterrà un’equa soluzione della controversia arabo-israeliana, che preveda e garantisca una coesistenza pacifica con lo stato d’Israele, non si potrà mai sperare in una pacificazione effettiva dell’area mediorientale, che continuerà ad essere esplosiva, né si potrà sperare in un ridimensionamento delle sacche dell’estremismo e del fanatismo religioso. Basti ricordare che una notevole parte della popolazione arabo-palestinese, tradizionalmente sunnita e non sciita, dunque appartenente alla corrente moderata dell’Islam, soprattutto dopo l’aggressione anglo-americana contro l’Iraq e le successive vicende, si è trasformata in un terreno fertile dove prosperano le ragioni dell’integralismo e dell’oltranzismo religioso. Una simile ipotesi di pace comporta soprattutto un decisivo cambio di rotta nella politica dell’occidente, ossia una svolta radicale nella linea eccessivamente filo-israeliana assunta dal connubio anglo-americano negli ultimi decenni. In tale scenario storico si collocano e si spiegano le infauste vicende degli ultimi anni, dalla terribile strage dell’11 settembre 2001 al conflitto bellico in Iraq, trasformatosi in un teatro di guerriglia permanente. Se non si fuoriesce da questa perversa e pericolosa spirale “terrorismo-guerra-terrorismo”, difficilmente si potrà sperare in un avvenire di pace autentica, che è una condizione assolutamente incompatibile con l’ingiustizia, specie se cronica e troppo duratura, nella misura in cui il superamento delle tensioni internazionali presuppone l’eliminazione delle loro cause storiche, tra le quali emergono con prepotenza le pesanti ingiustizie materiali che schiacciano soprattutto le popolazioni affamate, sfruttate e depredate dell’Africa, e che stanno segnando il triste destino del Sud del mondo, cioè di miliardi di esseri umani.
Lucio Garofalo
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