4-6-2005, Lorenzo Salvia
DON FRANZONI, IL PRETE RIBELLE: IMMORALE
L’INVITO AD ASTENERSI, Corriere della Sera
ROMA - «L’appello del cardinal Ruini al
non voto è una violenza, un atto immorale da un punto di vista non solo laico ma
anche cristiano». Sono passati 31 anni ma don Giovanni Franzoni non ha cambiato
idea: nel 1974 disse che, per il referendum sul divorzio, i cattolici non
dovevano seguire le indicazioni della Chiesa ma votare secondo coscienza. Gli
costarono la sospensione a divinis , quelle parole. Una decisione su cui il
Vaticano ha poi fatto marcia indietro, sperando che don Franzoni tornasse
nell’ombra. Ma «prete ribelle Gianni», come lo chiamano i suoi nella Comunità di
San Paolo a Roma, non ha seguito quel consiglio: prima si è sposato in Comune
con una donna giapponese, matrimonio mai riconosciuto dalla Chiesa. Ed ora
annuncia i suoi quattro sì ai referendum sulla fecondazione assistita. Perché
definisce immorale l’appello del cardinal Ruini?
«Perché il non voto,
facendo mancare il quorum e annullando il referendum, passa con gli scarponi
chiodati sulla volontà dei cittadini che dicono sì o no. Annulla le loro
opinioni».
Ma lei parla di atto immorale per un cristiano. Non è coerente
con i principi cristiani difendere questa legge?
«No. Per la dottrina
della Chiesa la fecondazione artificiale semplicemente non esiste: quindi, per
essere coerenti con questa morale integralista e bigotta, i cattolici non
dovrebbero difendere la legge ma chiedere di cancellarla».
Ma i cattolici
schierati per l’astensione dicono che la legge è un buon compromesso fra la
dottrina della Chiesa e l’evoluzione della società.
«Ed è proprio qui il
problema: la Chiesa non può predicare il male minore, non può esortare a
difendere quello che considera sbagliato. La verità è che si tratta di
un’operazione politica».
E la Chiesa non ha diritto a partecipare alla
vita politica?
«Quando Gesù Cristo formò i suoi discepoli l’obiettivo non
era cambiare le leggi di Roma ma annunciare la salvezza e predicare il Vangelo.
L’essenziale era questo, poi è stata la Chiesa a fare politica, ad aprire la
strada pericolosa del temporalismo. E in Italia, dopo aver perso il braccio
secolare della Dc, la Chiesa vuole recuperare questa posizione di forza. E’ un
errore: se ai tempi del referendum sul divorzio la Chiesa avesse detto tenete
questa legge tanto noi cattolici non divorziamo, avrebbe evitato tanti problemi.
E invece la Chiesa non si fida del senso di responsabilità dei fedeli come lo
Stato non si fida di quello dei cittadini».
Sta pensando all’annuncio di
Rutelli?
«Un ex radicale, ex verde, ha molti titoli da ex nel suo
curriculum. Forse troppi. E poi quella parola, macello, davvero se la poteva
risparmiare. Ma nemmeno del sì di Fini mi fiderei: temo sia solo un’astuzia,
un’operazione politica per smarcarsi dal bigottismo della sua coalizione e
guardare al suo futuro personale. Sarebbe stato meglio se nessun politico avesse
fatto appelli né da una parte nè dall’altra: la cosa migliore era lasciare campo
libero al confronto senza ordini di scuderia».
Fini voterà no
sull’eterologa, lei non ha nessun dubbio nemmeno su questo?
«Ricordiamo
le parole di Lorenz: nel corso dell’evoluzione, i miglioramenti più importanti
sono arrivati quando un animale di una specie si accoppiava con un animale di
un’altra specie. E noi, con tutto quello che oggi succede in Italia e nel mondo,
vogliamo vietare l’eterologa. E’ anacronistico».
Anche il Papa ha chiesto
ai vescovi di «illuminare le scelte dei cattolici» sul referendum.
«Una
scelta tattica, me l’aspettavo. Avrebbe potuto tacere, dire "io sono cittadino
di un altro Paese e preferisco non entrare in questo problema". Ma anche Paolo
VI, ai tempi del divorzio, seguì la stessa strada».
Teme di essere
sospeso di nuovo?
«No, non sono il solo a pensarla così. Fra i credenti
c’è un fiume carsico di dissenso: vedrete, molti uomini di Chiesa andranno a
votare».
(4-6-2005) http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=004813