GIORELLO. (" la mo­rale che ci impone d'inchinarci a un'altra persona è una morale da schiavi»)



Ricevuto, inviato.
Molto interessante l'articolo del prof. GIORELLO. Da leggere con molta attenzione, fa bene proprio a tutti, anche a quelli che non vogliono essere più schiavi.
Associazione Partenia  http://utenti.lycos.it/partenia (neretto e sottolineature sono dell'ass.partenia)
 
ORGOGLIO LAICO

colloquio con Giulio Giorello

di Enrico Arosio

L’Espresso n. 15/2005

E ora, voltando pagina, la parola ai laici.

I quali, anche di fronte alle spettacolari liturgie di massa va­ticane, continuano a sostenere che i cattolici in Italia non possono più dirsi maggioranza. La società ita­liana procede a ritmo lento verso un mo­dello sempre più secolarizzato: dai legami di coppia all’educazione, alla bioetica. Lo conferma, tra l'altro, il primo "Rapporto sulla laicità" pubblicato dalla rivista "Critica Liberale" che propone un inedi­to "Indice di secolarizzazione" Ma iniziamo con un intellettuale laico, Giulio Giorello, filo­sofo della scienza ben più attratto dal­l'empirismo britannico che dal professor Buttiglione. Per Giorello la cultura laica deve rialzare la voce. E con urgenza.

 

Professor Giorello, tre milioni di cattolici a San Pietro colpiscono. Ma che in Italia siano ancora maggioranza culturale lo negano i dati. Giu­sto ricordarlo?

 

«Diciamo subito che "cattolico” è un ter­mine flessibile. Non pochi si riconoscono nella dottrina della Chiesa apostolica ro­mana; ma non so se, nella vita quotidiana, essi seguano i rigorosi dettami della mo­rale familiare o sessuale sostenuti con vi­gore dal papato Wojtyla. In Italia abbia­mo due precedenti storici, i referendum sul divorzio e sull'aborto: quando la mag­gioranza cattolica ha preteso di contarsi si è rivelata minoranza. Quanto ai giovani che hanno invaso Roma, sono in regola su castità, matrimonio come vincolo indis­solubile, anticoncezionali? Ho seri dubbi.

L’Italia è il paese dei compromessi, delle amanti segrete e dell'ufficialità per amore dei figli. In altri paesi cattolici, l'Irlanda, la Francia, le persone sono più coerenti. Aggiungo poi che non bisogna confonde­re cristianesimo con cattolicesimo».

 

Perché questa distinzione ingente?

 

«La libertà di scelte derivante dalla Rifor­ma protestante come processo di lungo periodo ha portato una vasta gamma di letture: da quelle iperfondamentaliste dei Reborn Christians americani, dei creazio­nisti antidarviniani, dei movimenti antia­borto; ma ricordo anche che in Inghilter­ra, all'epoca delle prime campagne contro il contagio da Hiv, ai giovani insegnavano l'uso dei contraccettivi dentro le chiese metodiste. Francamente, la difesa della vita sbandierata da certi nostri propagandisti così sensibili ai diritti dell’embrione elude l'enorme responsabilità che deriva dal divieto degli anticoncezionali».

 

Per essere competitivi, però, i laici devono do­tarsi di un'etica laica convincente. È un punto delicato. Un prelato modernista come il cardi­nai Martini ricordava a Umberto Eco di diffi­dare dall'etica laica.

 

«Avercene, di cardinal Martini. Partiamo pure da questa salutare provocazione. Io penso che i laici in Italia abbiano fatto po­co, molto meno degli anglosassoni, per chiarire che si può avere un comporta­mento etico senza dipendere da una rive­lazione. Chi ha propugnato un'etica per vivere in un universo senza muraglie, co­me Giordano Bruno, è finito al rogo; la Chiesa di Roma è maestra in grandi spet­tacoli di morte, sia quando liquida i suoi nemici sia quando celebra i propri capi. Io inizierei col dire che da un'etica laica non si deve pretendere troppo, ma esigere al­cuni principi minimi».

 

Per esempio?

 

«l'idea di solidarietà. Se io aiuto te e tu aiuti me chi ci potrà sconfiggere? Così re­cita il poema epico di Gilgamesh. Un ri­conoscimento di solidarietà tra uomini e cose, uomini e altri uomini. Poi ci sarà la Fraternité dei giacobini francesi, la soli­darietà cantata in toni meravigliosamen­te laici da Leopardi nella "Ginestra», gli utilitaristi britannici svilupperanno sche­mi di cooperazione che non hanno biso­gno di fondamento trascendente. Mentre da noi la solidarietà o è presentata come carità o come principio di escatologia marxista. C'è poi il tema della libertà co­me rispetto delle posizioni altrui. Diceva Thomas Jefferson: «Cosa m'importa se il mio vicino crede in tre dei, in un dio solo o in nessun dio?» Alludeva ad atei, cristiani trinitari e unitariani. È il principio di "indifferenza". lo auspico una società indifferente alle mie scelte di coscienza. Non uno Stato che mi costringe a intera­gire secondo modalità imposte. La mia speranza non va programmata da un ca­po partito o da un pastore d'anime. Que­ste, direi, sono le barriere protettive minimali di una posizione laica».

 

L'accusa dei cattolici è il relativismo etico: se adori il Buddha, se adori Eminem, se uno vale l'altro, è un male.

 

«Io non vedo niente di male se uno di­venta buddista. Per certi versi trovo la fi­gura sorridente del Buddha più soppor­tabile del Cristo inchiodato sulla croce. Personalmente non farei mai di Michael Jackson un idolo, ma quale idolo peg­giore del papismo? Del dogma dell'infal­libile, come già deplorava Milton? Uno adora Adriano, il centravanti dell'inter? lo non lo farei, perché penso si viva be­nissimo senza idoli. Però rileggiamoci Spinoza: le preferenze di ciascuno, se non sono distruttive di altri, sono legittime. O dobbiamo parlare di una morale im­posta per legge? I vizi non sono crimini. Io non ho niente contro chi sì sbronza; ho qualcosa contro chi si sbronza e poi gui­da un'auto. Ho conosciuto molti teppi­sti, ed erano perfetti astemi. Essere laici vuol dire che ogni idea, ogni stile di vita ha il diritto di avere i suoi difensori pub­blici. Non solo. Il diritto all'indifferenza nel senso di Jefferson, l'etica laica nei suoi punti fermi, garantisce anche i cat­tolici. Abbiamo dimenticato le persecu­zioni anticat­toliche? Senza riandare al Terzo Reich basta l'orrenda apartheid nell’Ir­landa del nord».

 

Etica laica è etica della re­sponsabilità?

 

«Bel tema. Prendiamo la asserita sacralità del genoma  umano. Si chiede il biochimico Christìan de Duve: è più responsabile eradicare un gene maligno da un genoma trasmissibile, o non far niente? La vera responsabilità è agire. Al limite, manipolare i geni per salvare vite. Te­miamo che le genera­zioni future siano più sane di noi? Non mi pa­re un programma nazi­sta, tutt'altro. Non lottiamo tutti i giorni per anticipare il corso della natura?».

 

Riconosce il valore politico del referendum sul­la procreazione assistita?

 

«Sì. Perché il principio riguarda tutti. Per evitare che la partita sia vinta sul quorum mancante da questo movimento trasver­sale di bigotti che accomuna una parte della destra e della sinistra, non c'è che lottare. Si facciano vive le donne, che sono trattate come consumiste che vogliono i figlio su misura, come mi sembra di poter concludere dalle enunciazioni di monsignor Sgreccia o di Francesco D'Agostino della Consulta di bioetica. Questo è uno schiaffo in faccia a tutte le coppie con problemi di fertilità e una storia di sofferenze. Attaccarle "in difesa della vita" è ingeneroso e ben poco cristiano».

 

Altro punto controverso: quando ha inizio la "persona umana"?

 

«Io condivido l'approccio delineato dal genetista Edoardo Boncinelli sul Corriere della Sera: “non c’è l’ora X. Che cos’è la persona? Non è una questione scientifica ma una questione carica di valori Tagliare il problema d’autorità, come fanno molti esponenti del mondo cattolico, è un atto di tirannia. E alla tirannia si reagisce combattendo, non inseguendo il nemico fingendosi più papisti del papa. Come accade anche a sinistra. penso al verde Paolo Cento sull’”Avvenire”: disastroso.»

 

Nel centro-sinistra le tensioni tra laici e catto­lici sono un freno o una risorsa?

 

«La diversità è un male se la si esorcizza. Sinistra, per me, è lottare perché sia rico­nosciuto che ogni individuo è custode del­la propria salute fisica e spirituale. Altrimenti abbandoniamo la distinzione de­stra-sinistra e dividiamoci, come suggeri­sce Gianni Riotta, secondo la lezione pro­testante, tra chi piega le ginocchia e chi prende la cena del Signore restando in pie­di. lo sono tra questi ultimi. Perché la mo­rale che ci impone d'inchinarci a un'altra persona è una morale da schiavi»