filosofo Umberto Galimberti



«Come definire un Paese in cui per anni in tutti i telegiornali ogni domenica dieci minuti erano dedicati al papa? Non accade altrove. La nostra sovranità noi dobbiamo ancora guadagnarcela».
Associazione Partenia http://utenti.lycos.it/partenia
 
 

I funerali del Papa:
è San Pietro o la Mecca?
Umberto Galimberti

Folle di pellegrini. Scene di disperazione. Candele. Rosari e santini. Un'adunata oceanica che evoca uomini forti e Stati totalitari. L'atto di accusa del filosofo Umberto Galimberti

di Enrico Arosio 
 Gli italiani in questi giorni si dividono in due: pellegrini e telespettatori. E gli altri, i non omologati? Nel coro mediatico globale di lacrime e canti sulla morte di papa Wojtyla una voce che stride, libera e scomoda, giunge da uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti, che è anche psicologo di scuola junghiana.

Professor Galimberti, una piccola eresia l'ho sentita oggi da una signora milanese, laureata, madre, professionista. Guardando in tv Roma invasa da folle cristiane oranti, ha detto: «Cominciano a farmi paura. Mi viene in mente la Mecca».

«Sono stato anch'io telespettatore. Certo che a Roma oggi somigliamo un po' ai musulmani. Il problema è che la religione è la grande gestione dell'irrazionale. Nella religione c'è il conforto dell'emozione, la speranza, il desiderio di lenire il dolore. E questo papa ha dato una rappresentazione gigantesca del dolore. L'unica cosa davvero importante che gli riconosco è di aver rimesso in circolazione il dolore. Nell'età della Tecnica il dolore non è più un'esperienza umana, è qualcosa che è stato sospinto fuori di noi. L'uomo della modernità ha perso le categorie interpretative, addirittura le parole del dolore. Papa Wojtyla, mettendo in scena il dolore, ci ha riproposto un fatto di enorme significato».

Assistendo a questo grande momento liturgico su scala mondiale qual è il disagio del laico? O forse è la solitudine del laico?

«Io non mi considero laico. Non sono cristiano. Ho una mentalità greca. Il greco considera il dolore come facente parte della vita, e chiama gli uomini mortali. Mentre i cristiani fanno dipendere il dolore dalla colpa prima di renderlo strumento della redenzione. Da non cristiano non provo disagio dinanzi alle masse oranti. La religione è la più grande terapia della storia, e chi ha detto che lo psicoanalista è meglio del prete? Mi crea disagio la dimensione un po' fanatica».

Una sorpresa, in un Paese che si credeva sempre più secolarizzato?

«No. Questo io non l'ho mai creduto. Ho sempre saputo che l'Italia è essenzialmente il Vaticano, che la struttura di base, la psicologia dell'italiano è a sfondo religioso. Per questo siamo poco democratici, ci piacciono i fascismi, le figure che li incarnano. La nostra matrice antropologica è profondamente religiosa. Ma è una religiosità di tipo infantile, proiettiva, mitica. Ha bisogno del grande uomo, del grande personaggio per commuoversi. Vedo qualche analogia tra l'affollarsi in migliaia a un concerto all'aperto di Vasco Rossi e andare in piazza San Pietro coi papa-boys. La metafora è l'adunata di massa, ben nota al comunismo e al fascismo. Alla massa si dà uno stimolo e subito reagisce. È qualcosa di molto primitivo».

Vuote le chiese, il papa ha saputo riempire le piazze. Questo, per molti, è un successo del suo pontificato.

«No, questa è la dissacrazione. Il sacro vuole interiorità, e questo papa non ha espresso interiorità, ma esteriorizzazione: una Chiesa trionfante, populista, demagogica, televisiva. In qualche modo questo papa che ha combattuto i totalitarismi è rimasto anche affascinato da categorie totalitarie. Le adunate di massa le facevano Hitler, Mussolini e Stalin».

A San Pietro sono spontanee.

«Certo. La Chiesa ha la possibilità di lavorare sull'inconscio mentre la politica deve impiegare anche strumenti di coercizione. Freud racconta bene questa macchina. Il sentimento oceanico. La fusione totale col Padre. Un fenomeno irrazionale potentissimo. Non dimentichiamo che nei primi anni di viaggi di papa Wojtyla, nella adunate oceaniche ci scappavano i morti».

L'Italia sembra un paese in sospeso: riprese a reti tv unificate, città chiuse al traffico, cinema chiusi, spazi pubblici requisiti. Una Repubblica a sovranità limitata?

«Come definire un Paese in cui per anni in tutti i telegiornali ogni domenica dieci minuti erano dedicati al papa? Non accade altrove. La nostra sovranità noi dobbiamo ancora guadagnarcela».

Sebastiano Vassalli osserva che i laici in Italia hanno subito fin troppo il fascino carismatico di Giovanni Paolo II.

«Il carisma è bravura del papa. Ma il cedere alla dimensione carismatica è anche infantilismo delle masse. Lo concedo ai giovani, i papa-boys sono l'effetto evidente della dimensione carismatica. Ma il mondo laico non è di soli ragazzi, e in Italia sconta il fatto di essere stato a lungo anticlericale, perché con il papa in Roma non è maturata una laicità come libertà di pensiero, ma una laicità antitetica. Un laicismo molto modesto».

Qual è il suo giudizio sintetico su questo papa scisso in due? Il grande politico della pace, della libertà, del dialogo interreligioso, e il reazionario sui temi di bioetica e sessualità?

«Grande politico? Non mi pare. Lui ha perorato, non ha portato la pace».

Gli concederà di aver contribuito a far crollare il comunismo in Polonia. Solidarnosc, padre Popieluszko...

«Neppure questo. È infantile pensare che un sistema crolli per l'azione di un uomo. Il sistema sovietico è crollato per una semplice ragione: l'apparato tecnico dell'Unione Sovietica era decisamente inferiore a quello americano. È imploso per dinamiche proprie. Il papa ha favorito l'azione di Solidarnosc; ha approfittato del crollo del comunismo per far uscire la Polonia prima degli altri Stati satelliti. Punto».

Lettura impopolare, di questi tempi.

«Concedo al papa la condanna di certi aspetti del capitalismo, seppure in ritardo. Quando ha visto gli effetti devastanti del profitto come unico regolatore simbolico dei rapporti umani. Ma il vero peccato di Wojtyla è che non appena è salito al trono pontificio ha deciso di massacrare la teologia della liberazione in America Latina. Ha tagliato i vertici dei gesuiti, si è affratellato con le alte gerarchie di destra, se non addirittura fasciste. Non dimentichiamo, sul balcone di Santiago del Cile, Pinochet con Giovanni Paolo II. E al posto dei gesuiti si è appoggiato all'Opus Dei, un'operazione economico-finanziaria di destra vera, più che una scelta evangelica. Non solo. Ritengo Wojtyla responsabile, marginalmente, del massacro jugoslavo. Chi furono, dopo lo sfaldamento, i primi Stati a riconoscere le nazioni cattoliche Slovenia e Croazia? La Germania di Kohl e il Vaticano. Wojtyla ha canonizzato Stepinac, il cardinale di Zagabria che aveva benedetto le armi degli ustascia, i massacratori dei serbi».

Cosa si aspetta dal prossimo papa?

«Il depotenziamento del pontificato. Papa Wojtyla non è potuto andare in Russia, né con Gorbaciov né con Putin, ma non per i comunisti: per il veto della Chiesa ortodossa. E perché? Perché la distanza che la separa da Roma da mille anni è il primato del papa. Poi mi aspetto che riconosca l'uomo della modernità. Sulla morale sessuale, per esempio, questo papa tanto lacrimato non ha perforato alcuna coscienza. Ben pochi giovani rispettano i suoi divieti: ha fallito. Infine, per ciò che riguarda le scuse rivolte alla scienza, vorrei che il prossimo papa non chiedesse scusa su Galileo, ma sulla genetica».
(L'Espresso14.4.05)