Rassegna Stampa n.3 - Il Manifesto - Marzo 2005



Salve,
segnalo il seguente articolo tratto dal quotidiano "il manifesto"
nel mese di Marzo 2005
sulla Giornata della Memoria e dell'Impegno.

A presto!
Micaela Beatini

Regione Toscana
Progetto Banca dati - Sportello Legalità
C/o Centro di documentazione
Cultura Legalità Democratica
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il manifesto - 22 Marzo 2005
SOCIETÀ
pagina 08


«Mafia, ritorno alla grande»

L'accusa di don Ciotti alla giornata per le vittime.
Impastato: istituzioni siciliane colluse

ANGELO MASTRANDREA

ROMA
Il comunista e il magistrato, il prete e il sindacalista, il politico e il
poliziotto. 640 vittime della mafia dal dopoguerra a oggi, 640 nomi che
scorrono sul maxischermo dello stadio Flaminio davanti a ottomila studenti
di 130 scuole superiori da tutta Italia e nel pomeriggio riletti ad alta
voce in Campidoglio. Alcuni più noti, come il Peppino Impastato dei «cento
passi» e Paolo Borsellino, don Luigi Puglisi e Pio La Torre. Altri confusi
nell'interminabile elenco che il comune di Roma fisserà in una stele nel
parco della villa confiscata al cassiere della banda della Magliana Enrico
Nicoletti e destinata a Casa del jazz e che i familiari, 140 quelli
intervenuti ieri a Roma alla decima giornata dedicata alle vittime della
mafia, provvedono a ricordare. Persone come Agostino Catalano, caposcorta
di Borsellino, che la madre in tailleur rosso ricorda appoggiandosi
all'asta del microfono per l'emozione. «Quando hanno ucciso Nicola
(Calipari, ndr) ho rivissuto quei momenti dell'82 e ho pianto come allora»,
dice collegando l'uccisione del funzionario del Sismi a Baghdad a quella
del figlio a Palermo. Fa così anche Veltroni quando paragona la morte
dell'agente Roberto Antiochia, ucciso nell'85 a Palermo insieme al
vicedirigente della Squadra mobile Ninni Cassarà, a quella di Calipari. La
guerra in Iraq e la guerra di mafia, quella che, come ricorda don Luigi
Ciotti, negli ultimi 10 anni ha provocato altre 154 vittime innocenti, di
cui 37 bambini e ragazzi, e in tutto 2.270 morti, una cosa che «non è
possibile in un paese civile come il nostro».

Vittime non solo di Cosa nostra ma anche delle altre mafie o di una
«mentalità mafiosa», come dice la figlia di Renata Forte, uccisa il 31
marzo dell'84 «perché si era opposta alla speculazione edilizia nel parco
naturale di Porto Selvaggio, nel Salento». Viviana oggi ha la stessa età,
33 anni, di quando la madre fu assassinata. Ma c'è anche chi non rientra
nemmeno nell'elenco delle 640 vittime. Come il giovane Emanuele, 16 anni,
di Gela, accoltellato e poi bruciato vivo perché non aveva pagato una dose
di eroina. Lo ricorda il sindaco della città siciliana Rosario Crocetta per
dimostrare come «la crudeltà della criminalità organizzata colpisce anche e
soprattutto la gente comune».

Una «festa della memoria», dunque, come avviene da dieci anni a questa
parte, cioè da quando esiste l'associazione Libera. Ma anche un momento di
riflessione su quanto accade oggi. Con una «mafia che è ritornata alla
grande», dice don Ciotti, e che costringe tutti «a tirare fuori le unghie,
ognuno per la sua parte». Libera la sua, di parte, l'ha fatta, tanto che,
aggiunge Rita Borsellino, «quando mangiamo la pasta o beviamo il vino
prodotto dalle nostre cooperative nei terreni confiscati alle cosche
raggiungiamo un risultato che i nostri cari non ritenevano raggiungibile in
appena dieci anni». E' questa, dunque, per don Ciotti la strada da
percorrere: accelerare i tempi per la confisca dei beni ai mafiosi, perché
«tra sequestro, confisca, destinazione e utilizzo passano dieci anni».
Ancora troppi. Un piccolo passo in questa direzione sarà il protocollo
d'intesa che oggi sarà firmato da Libera, prefettura di Roma, comune,
provincia e regione per la velocizzazione dei tempi d'assegnazione. Nel
frattempo il comune di Roma ha assegnato all'associazione una casa
confiscata in via IV novembre al boss napoletano Michele Zaza e Walter
Veltroni ricorda come, se è vero che «la mafia c'è e non dobbiamo mai
abbassare la guardia», è altrettanto vero che oggi «l'Italia è ancora più
forte» di dieci anni fa, quando i corleonesi mettevano le bombe in tutto il
paese.

Non ha peli sulla lingua invece Giovanni Impastato, che ringrazia «quella
parte delle istituzioni che ci è stata vicina», a partire dal presidente
della Repubblica Ciampi, che nel pomeriggio è anche lui in Campidoglio, e
se la prende con la «classe politica siciliana, totalmente collusa con la
mafia, a cominciare dal presidente della Regione Totò Cuffaro». «In questo
paese si sta cercando di legalizzare l'illegalità, con i condoni edilizi e
quelli fiscali», continua, per questo «bisogna lottare per cambiare le
leggi». Come? Con la disobbedienza civile, che non è «terrorismo» perché è
finalizzata ad ampliare i confini della legalità. Anche quando fu trovato
morto suo fratello Peppino, il 9 maggio del `78, lo stesso giorno
dell'uccisione di Aldo Moro, tentarono di far credere che fosse saltato in
aria mentre preparava un attentato. Non era così, e ci sono voluti 25 anni
per dimostrarlo. E, racconta Giovanni Impastato, «le persone che avevano
messo in dubbio la tesi dell'attentato, gente come Falcone, Costa,
Chinnici, sono tutte morte, mentre quelle che hanno tentato di depistare le
indagini hanno fatto carriera».