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Rassegna Stampa n.3 - Il Manifesto - Marzo 2005
- Subject: Rassegna Stampa n.3 - Il Manifesto - Marzo 2005
- From: Progetto Banca Dati - Sportello Legalità <ed.legalita at regione.toscana.it>
- Date: Sat, 2 Apr 2005 11:44:49 +0200
Salve, segnalo il seguente articolo tratto dal quotidiano "il manifesto" nel mese di Marzo 2005 sulla Giornata della Memoria e dell'Impegno. A presto! Micaela Beatini Regione Toscana Progetto Banca dati - Sportello Legalità C/o Centro di documentazione Cultura Legalità Democratica Via Val di Pesa, 1 50127 - Firenze Tel. 055. 4382248 Fax 055. 4382280 E-mail <mailto:ed.legalita at mail.regione.toscana.it>ed.legalita at mail.regione.toscana.it ******************************************** il manifesto - 22 Marzo 2005 SOCIETÀ pagina 08 «Mafia, ritorno alla grande» L'accusa di don Ciotti alla giornata per le vittime. Impastato: istituzioni siciliane colluse ANGELO MASTRANDREA ROMA Il comunista e il magistrato, il prete e il sindacalista, il politico e il poliziotto. 640 vittime della mafia dal dopoguerra a oggi, 640 nomi che scorrono sul maxischermo dello stadio Flaminio davanti a ottomila studenti di 130 scuole superiori da tutta Italia e nel pomeriggio riletti ad alta voce in Campidoglio. Alcuni più noti, come il Peppino Impastato dei «cento passi» e Paolo Borsellino, don Luigi Puglisi e Pio La Torre. Altri confusi nell'interminabile elenco che il comune di Roma fisserà in una stele nel parco della villa confiscata al cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti e destinata a Casa del jazz e che i familiari, 140 quelli intervenuti ieri a Roma alla decima giornata dedicata alle vittime della mafia, provvedono a ricordare. Persone come Agostino Catalano, caposcorta di Borsellino, che la madre in tailleur rosso ricorda appoggiandosi all'asta del microfono per l'emozione. «Quando hanno ucciso Nicola (Calipari, ndr) ho rivissuto quei momenti dell'82 e ho pianto come allora», dice collegando l'uccisione del funzionario del Sismi a Baghdad a quella del figlio a Palermo. Fa così anche Veltroni quando paragona la morte dell'agente Roberto Antiochia, ucciso nell'85 a Palermo insieme al vicedirigente della Squadra mobile Ninni Cassarà, a quella di Calipari. La guerra in Iraq e la guerra di mafia, quella che, come ricorda don Luigi Ciotti, negli ultimi 10 anni ha provocato altre 154 vittime innocenti, di cui 37 bambini e ragazzi, e in tutto 2.270 morti, una cosa che «non è possibile in un paese civile come il nostro». Vittime non solo di Cosa nostra ma anche delle altre mafie o di una «mentalità mafiosa», come dice la figlia di Renata Forte, uccisa il 31 marzo dell'84 «perché si era opposta alla speculazione edilizia nel parco naturale di Porto Selvaggio, nel Salento». Viviana oggi ha la stessa età, 33 anni, di quando la madre fu assassinata. Ma c'è anche chi non rientra nemmeno nell'elenco delle 640 vittime. Come il giovane Emanuele, 16 anni, di Gela, accoltellato e poi bruciato vivo perché non aveva pagato una dose di eroina. Lo ricorda il sindaco della città siciliana Rosario Crocetta per dimostrare come «la crudeltà della criminalità organizzata colpisce anche e soprattutto la gente comune». Una «festa della memoria», dunque, come avviene da dieci anni a questa parte, cioè da quando esiste l'associazione Libera. Ma anche un momento di riflessione su quanto accade oggi. Con una «mafia che è ritornata alla grande», dice don Ciotti, e che costringe tutti «a tirare fuori le unghie, ognuno per la sua parte». Libera la sua, di parte, l'ha fatta, tanto che, aggiunge Rita Borsellino, «quando mangiamo la pasta o beviamo il vino prodotto dalle nostre cooperative nei terreni confiscati alle cosche raggiungiamo un risultato che i nostri cari non ritenevano raggiungibile in appena dieci anni». E' questa, dunque, per don Ciotti la strada da percorrere: accelerare i tempi per la confisca dei beni ai mafiosi, perché «tra sequestro, confisca, destinazione e utilizzo passano dieci anni». Ancora troppi. Un piccolo passo in questa direzione sarà il protocollo d'intesa che oggi sarà firmato da Libera, prefettura di Roma, comune, provincia e regione per la velocizzazione dei tempi d'assegnazione. Nel frattempo il comune di Roma ha assegnato all'associazione una casa confiscata in via IV novembre al boss napoletano Michele Zaza e Walter Veltroni ricorda come, se è vero che «la mafia c'è e non dobbiamo mai abbassare la guardia», è altrettanto vero che oggi «l'Italia è ancora più forte» di dieci anni fa, quando i corleonesi mettevano le bombe in tutto il paese. Non ha peli sulla lingua invece Giovanni Impastato, che ringrazia «quella parte delle istituzioni che ci è stata vicina», a partire dal presidente della Repubblica Ciampi, che nel pomeriggio è anche lui in Campidoglio, e se la prende con la «classe politica siciliana, totalmente collusa con la mafia, a cominciare dal presidente della Regione Totò Cuffaro». «In questo paese si sta cercando di legalizzare l'illegalità, con i condoni edilizi e quelli fiscali», continua, per questo «bisogna lottare per cambiare le leggi». Come? Con la disobbedienza civile, che non è «terrorismo» perché è finalizzata ad ampliare i confini della legalità. Anche quando fu trovato morto suo fratello Peppino, il 9 maggio del `78, lo stesso giorno dell'uccisione di Aldo Moro, tentarono di far credere che fosse saltato in aria mentre preparava un attentato. Non era così, e ci sono voluti 25 anni per dimostrarlo. E, racconta Giovanni Impastato, «le persone che avevano messo in dubbio la tesi dell'attentato, gente come Falcone, Costa, Chinnici, sono tutte morte, mentre quelle che hanno tentato di depistare le indagini hanno fatto carriera».
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