[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Rassegna Stampa n.1 - Il Manifesto - Marzo 2005
- Subject: Rassegna Stampa n.1 - Il Manifesto - Marzo 2005
- From: Progetto Banca Dati - Sportello Legalità <ed.legalita at regione.toscana.it>
- Date: Sat, 2 Apr 2005 11:44:06 +0200
Salve, segnalo alcuni articoli tratti dal quotidiano "il manifesto" nel mese di Marzo 2005. La prima parte di questa rassegna stampa presenta i seguenti articoli: Ecco il nuovo volto di Provenzano - 8 marzo 2005 Nella trama secolare dell'onorata società - 10 marzo 2005 Funerali vietati al fratello del boss - 23 marzo 2005 Laurea al figlio di Provenzano - 24 marzo 2005 Il pentimento della donna boss - 26 marzo 2005 A presto! Micaela Beatini Regione Toscana Progetto Banca dati - Sportello Legalità C/o Centro di documentazione Cultura Legalità Democratica Via Val di Pesa, 1 50127 - Firenze Tel. 055. 4382248 Fax 055. 4382280 E-mail <mailto:ed.legalita at mail.regione.toscana.it>ed.legalita at mail.regione.toscana.it ****************************************** il manifesto - 08 Marzo 2005 SOCIETÀ pagina 14 Ecco il nuovo volto di Provenzano La procura di Palermo diffonde il nuovo identikit del boss. Era secretato dal 2002. L'ultima versione è stata indicata da un pentito ALFREDO PECORARO PALERMO E' più magro, i capelli bianchi corti con l'attaccatura alta e pettinati leggermente all'indietro, gli zigomi sporgenti, un po' più invecchiato anche se in alcuni tratti somatici sembra addirittura più giovane rispetto alla vecchia immagine ricavata al computer 42 anni fa grazie a una foto segnaletica. E' l'ultimo identikit di Bernardo Provenzano, il capo dei capi di Cosa nostra, latitante dal 1963. Gli esperti della scientifica, che lo hanno elaborato, avevano ricostruito il volto del boss di Corleone alla fine del 2002 sulla base delle indicazioni fornite dal pentito Nino Giuffrè. Il nuovo identikit è stato tenuto in un cassetto per più di due anni, a conoscerlo erano solo in pochi, adesso la procura di Palermo ha deciso di diffonderlo anche all'opinione pubblica. Il volto di Provenzano compare in primo piano, con una t-shirt a girocollo nera. «Abbiamo deciso di rendere pubblico l'identikit - spiega il procuratore di Palermo Piero Grasso - dopo che un altro collaboratore, Mario Cusimano, e altri testimoni hanno confermato che è molto somigliante alla realta». Cusimano è stato arrestato a gennaio nell' ambito dell'inchiesta sui presunti fiancheggiatori della «primula rossa», e dopo qualche giorno ha deciso di collaborare. «In via informale perché la rogatoria è ancora in corso», la ricostruzione al computer del volto di «zu Binnu», è stata confermata ai sanitari francesi che tra luglio e ottobre del 2003 hanno curato Provenzano, ricoverato in due cliniche a Marsiglia, dove è stato visitato e poi operato alla prostata. Medici e infermieri hanno detto che rispetto all'identikit in mano alla procura, il boss era più smagrito e invecchiato perché sofferente. La decisione di mostrare l'identikit, in accordo con il ministero dell'interno, spiega Nicola Cavaliere, direttore centrale della polizia anticrimine, «è stata presa anche per evitare eventuali fughe di notizie». «La polizia giudiziaria - afferma - è sempre un'attività che si presta a rischi, dobbiamo pensare però che non sia così, riteniamo che questa immagine di Provenzano sia a uso e consumo delle persone per bene». Di Provenzano, finora, si conoscevano solo cinque fotografie in bianco e nero che ne riproducono il volto e due immagini trattate al computer che partendo dalla foto originale ricostruiscono la faccia del ricercato numero uno d'Italia. Le fotografie sono due «fototessera», due «segnaletiche», fronte e profilo dell'arrestato (in un unica striscia fotografica), e una foto «in posa» che ritrae il boss quando era giovane vestito da militare accanto ad un vaso con fiori. «Zu Binnu» o «Binnu u tratturi», il trattore per la sua determinazione, è il superboss che vanta il primato della più lunga latitanza nella storia della mafia. Dopo la cattura di Totò Riina, nel gennaio del `93, è toccato a lui il compito di prendere in mano le redini di Cosa nostra. Di lui hanno parlato tutti i pentiti di Cosa nostra, a partire dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, dilungandosi sul complesso rapporto di amore-odio che lo ha legato per un quarto di secolo a Totò Riina. Luciano Liggio, che tra i due ha sempre privilegiato Riina, di Provenzano diceva: «Spara come un dio, peccato che abbia il cervello di una gallina». ****************************************** il manifesto - 10 Marzo 2005 CULTURA pagina 13 Nella trama secolare dell'onorata società «Cosa Nostra» Il libro dello storico inglese John Dickie, per Laterza, ricostruisce oltre un secolo di mafia siciliana. Dal mito cristallizzato nella «Cavalleria rusticana» alla tragica realtà della strage di Capaci MASSIMO CARLOTTO Secondo Denis Mack Smith: «nessun altro libro sulla mafia è così persuasivo, comprensivo e leggibile». Si tratta di Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana dello storico inglese John Dickie, uscito in Italia in questi giorni per l'editore Laterza (trad. di G. Ferrara degli Uberti, 506 pagine, 20 euro). Con Mack Smith concorda anche Andrea Camilleri, che di mafia e di Sicilia se ne intende come pochi altri: «Quando ho finito di leggere questa storia di Cosa Nostra non ho saputo se privilegiare l'accuratezza, la precisione, l'intelligenza dello storico o la leggerezza, la scorrevolezza, la fluidità del narratore». Tutto vero. Cosa Nostra è il miglior saggio mai scritto sulla mafia. Quando ho incontrato John Dickie, alla fine di gennaio, all'istituto di cultura italiano di Londra gli ho subito chiesto come era stato possibile per uno «straniero» essere così lucido e straordinariamente chiaro nel descrivere il fenomeno mafioso dalle sue origini ad oggi. Dickie ha risposto molto semplicemente che il punto di vista «esterno», appunto da straniero, e quindi privo di ogni influenza culturale, gli aveva permesso di affrontare Cosa Nostra con tutti gli strumenti dello storico. In effetti, in Italia, intorno alla mafia si sono creati miti e leggende che con il tempo hanno sedimentato l'idea dell'impossibilità di una sua precisa lettura storica. Leggendo il volume di John Dickie ci si rende conto quanto l'onorata società abbia investito nelle «voci» e nelle «chiacchiere» non soltanto per depistare, ma anche per creare una consapevolezza diffusa sull'ineluttabilità della sua stessa esistenza. Quella stessa consapevolezza che fa dire ai nostri governanti che con la mafia è necessario convivere. Il giovane storico dell'University College of London si è documentato seriamente. La bibliografia e le note sulle fonti citate in appendice al libro è davvero impressionante. Il libro si struttura in undici capitoli. Dopo la lettura del primo - «La genesi della mafia. 1860-1876» -, ci si rende conto di avere tra le mani uno strumento straordinario per capire. Dickie arriva fino al processo Dell'Utri e, se anche alcune parti sono necessariamente un capolavoro di diplomazia frutto dell'intervento di competenti uffici legali (in particolare sul caso Andreotti), la realtà mafiosa è svelata in tutti i suoi meccanismi principali. La tesi di Dickie è semplice: la mafia poteva essere sconfitta allora come oggi. Solo il suo ingresso nel «sistema italiano» ne ha permesso lo sviluppo in termini di radicamento e poi di esportazione del modello criminale. Questa ormai è cosa nota. Almeno a sinistra abbiamo sempre pensato al rapporto mafia-potere politico come a qualcosa di estremamente reale. Ma altra cosa è leggere una sequela infinita di episodi che hanno caratterizzato ogni momento storico del nostro paese, dal 1860 al 2003. Dickie è implacabile nella sua chiarezza. Cita nomi, fatti e fonti senza rinunciare mai alla verifica. E questo fa di Cosa Nostra un testo importante, necessario per fare piazza pulita, una volta per tutte, della disinformazione che ha contribuito al mito dell'invincibilità della mafia, ma anche per comprendere fino in fondo la genesi e dello sviluppo di posizioni differenti e spesso dolorosamente inconciliabili nel fronte antimafia. Come quella che oppose Sciascia a Falcone. Importanti anche i ritratti dei personaggi, di qua e di là della barricata. Ovviamente si torna a parlare di Buscetta e di Brusca, ma con un taglio più preciso, da storico, che permette di approfondire la conoscenza della vita interna di Cosa Nostra. Dickie non si è limitato a una lettura imponente di testi e documenti. Ha parlato con i protagonisti, in particolare con i giudici che oggi stanno continuando l'opera di Falcone e di Borsellino e le ultime pagine sono davvero dense di deduzioni importanti sul futuro assetto dell'onorata società. Dopo aver letto questo libro si capisce meglio perché colonnelli e teste di cuoio vengono rinviati a giudizio per non aver perquisito subito il covo di Totò Riina dopo il suo arresto o quale partita si sta giocando nella caccia a Bernardo Provenzano. O cosa può significare per la mafia la costruzione di un ponte inutile sullo stretto di Messina. John Dickie mi ha confidato che sta lavorando a una ricerca storica sulla cucina italiana. Conoscendolo non ho dubbi che si tratterà di un'opera imponente ma spero che continui ad aggiornare Cosa Nostra. ****************************************** il manifesto - 23 Marzo 2005 SOCIETÀ pagina 06 Funerali vietati al fratello del boss NAPOLI Sono stati vietati i funerali in forma pubblica di Nunzio Giuliano, l'esponente della famiglia di Forcella che da anni si era dissociato dalla camorra, ucciso lunedì sera in un agguato nel a Napoli. Lo ha deciso il questore Oscar Fioriolli. Intanto, sul fronte delle indagini, l'inchiesta condotta dal pm Filippo Beatrice privilegia l'ipotesi della vendetta contro i pentiti (tre fratelli di Nunzio Giuliano da anni collaboravano), anche se vengono tenute in considerazione tutte le altre piste, sempre collegate a moventi e ambienti camorristici. Ammazzare un Giuliano, nonostante il «discredito» al quale nella malavita organizzata vanno incontro i collaboratori di giustizia costituisce pur sempre una decisione - sottolineano fonti investigative - adottata ai «massimi» livelli. Non è da escludere che Giuliano sia stato condannato dopo un summit tra boss della camorra. ****************************************** il manifesto - 24 Marzo 2005 SOCIETÀ pagina 07 Laurea al figlio di Provenzano PALERMO In una cerimonia quasi «privata» che si è svolta alla facoltà di Lettere, Paolo Provenzano, 23 anni, il figlio minore del capomafia Bernardo, latitante da 42 anni, si è laureato ieri pomeriggio in lingue e culture moderne. È stato proclamato dottore in una piccola aula, quella dei «seminari», in una sessione pomeridiana dedicata a lui e altre due persone. Il giovane ha ottenuto 106 su 110 dopo aver discusso la tesi «I goti come oggetto di un'etnografia». Per questo appuntamento si è riunita in viale delle Scienze tutta la famiglia Provenzano, escluso il padre. Durante la discussione della tesi (la commissione era formata solo da donne), Paolo Provenzano ha parlato della popolazione germanica, i Goti, studiandone i costumi e raffrontandoli ai nazisti. Una esaminatrice ha poi interrotto il figlio del capomafia per sottolineare, per ben due volte un concetto: «Guai quando i figli devono inventarsi i padri». ****************************************** il manifesto - 26 Marzo 2005 SOCIETÀ pagina 07 Il pentimento della donna boss Sorella di due irriducibili di Cosa nostra, Giusy Vitale dirigeva la potente e spietata cosca di Partinico PALERMO Una donna tutta casa e Cosa nostra, più che legata alla famiglia era lei che la reggeva occupandosi di affari e omicidi, soprattutto dopo l'arresto dei fratelli Vito e Leonardo, «irriducibili» uomini d'onore fedeli all'ala stragista dei corleonesi di Totò Riina e Leoluca Bagarella. Giusi Vitale, però, passerà alla storia come il primo pentito donna. Non una semplice «donna di mafia» come tante altre, ma un boss in gonnella che comandava i «picciotti» e ordinava delitti e che ha deciso di saltare il fosso, lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue. Giusi è depositaria di molti segreti, li sta rivelando agli inquirenti che da un mese e mezzo la stanno ascoltando, riempiendo decine e decine di verbali d'interrogatorio. Ha retto una delle famiglie più potenti nell'organigramma di Cosa nostra, quella di Partinico. Una cosca storica, quella dei Vitale, radicata tanto da potersi opporre persino al capo dei capi Bernardo Provenzano, ritenuto troppo «moderato». Ai pm Maurizio De Lucia e Francesco Del Bene, Giusi, che da due anni si trova in carcere per l'omicidio di un imprenditore, ha detto di aver deciso di pentirsi «per amore dei figli». Probabilmente, però, a farle maturare la decisione sono stati anche i colpi inferti dalla Procura alla sua famiglia, decimata dalla inchieste giudiziarie. L'ultima operazione antimafia, condotta a novembre dello scorso anno, ha portato all'arresto di 23 persone, tra cui l'altro fratello di Giusi, Michele Vitale, la cognata Maria Gallina moglie di Leonardo, il nipote Giovanni, 23 anni, figlio di Vito, e Giovanni Intravaia, 26 anni, ritenuto il figlio illegittimo di Michele Vitale. L'inchiesta svelò che Leonardo Vitale, detenuto in regime di 41 bis, impartiva gli ordini spediti via fax dal carcere e decifrati dalla moglie che lo teneva informato sugli affari a Partinico. La "pentita" starebbe fornendo preziosi elementi alla Dda di Palermo su intrecci tra mafia e politica, omicidi, alcuni dei quali ordinati da lei, e retroscena di vicende giudiziarie che sono attualmente in corso. E starebbe raccontando anche di incontri avvenuti nel 1993 con il boss latitante Bernardo Provenzano, riunioni alle quali però non avrebbe partecipato, ma di cui è a conoscenza per avere accompagnato i fratelli Leonardo e Vito. La donna non avrebbe quindi avuto alcun contatto con la primula rossa di Corleone, ma non è ancora chiaro se lo abbia mai visto in volto. I due figli di Giusi Vitale sono stati portati via nei giorni scorsi da Partinico, dove si trovavano con la nonna, e sono stati trasferiti in una località protetta. La capomafia di Partinico ha vissuto un lungo travaglio prima di iniziare a collaborare con la giustizia. La prima volta fu arrestata il 24 giugno del 1998 con l'accusa di associazione mafiosa e scarcerata il 25 dicembre del 2002. Le porte del carcere si riaprirono tre mesi dopo: il 26 marzo del 2003 Giusi fu arrestata con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di Salvatore Riina (omonimo del capomafia), un imprenditore assassinato il 20 giugno 1998, perché sospettato di essere un informatore di Bernardo Provenzano. Per il delitto furono arrestati anche il marito Angelo Caleca e il fratello Leonardo Vitale, ritenuti gli autori materiali. La donna-boss non avrebbe gradito di avere nel suo territorio la «spia» di una cosca rivale, e per questo motivo avrebbe ordinato ai suoi uomini di uccidere Riina. Giusi l'ambiente mafioso l'ha respirato fin da bambina, allevata in una casa dove tutti erano affiliati a Cosa nostra. Per la «famiglia» ha fatto di tutto: ha coperto la latitanza del fratello maggiore Vito, detto «fardazza» e dei suoi picciotti, ha girato paesi e città per recapitare «bigliettini» con i messaggi da affidare ai boss, ha perfino portato nei covi dove si nascondeva il fratello l'amante per rendere più lieve la sua latitanza. Ma non si limitava a svolgere un ruolo di secondo piano: analizzava, rifletteva, suggeriva. La donna, secondo le indagini, si divideva infatti tra due amanti, uno dei quali arrestato cinque anni fa. La storia giudiziaria di Giusi comincia con i pentiti che svelano il suo vero ruolo, e ironia della sorte, uno dei suoi accusatori è proprio una donna: Maria Fedele, moglie di Antonino Guarino, `picciotto' della cosca di Partinico.
- Prev by Date: L'ISTAT DA' I NUMERI! (SOPRATTUTTO A RIDOSSO DELLE ELEZIONI REGIONALI)
- Next by Date: Rassegna Stampa n.3 - Il Manifesto - Marzo 2005
- Previous by thread: L'ISTAT DA' I NUMERI! (SOPRATTUTTO A RIDOSSO DELLE ELEZIONI REGIONALI)
- Next by thread: Rassegna Stampa n.3 - Il Manifesto - Marzo 2005
- Indice: