Re: A proposito della vicenda Indymedia: risposta ad Attivissimo



Marco Trotta wrote:

> Ciao Paolo,
> ho letto il tuo punto di vista sulla vicenda di Indymedia
> (http://attivissimo.blogspot.com/2004_10_01_attivissimo_archive.html).
> Provo ad argomentare il perché non condivido la tua analisi e dove, credo,
> tu abbia fatto dei veri e propri errori.
> Il quadro non è ancora abbastanza chiaro. Mancano molti elementi
> determinanti, ma è proprio sulle tessere del mosaico che si stanno
> riempiendo che ci sono le falle più vistose.

infatti mi sono reso conto di aver postato troppo presto. Mi premeva
pero' chiarire subito che saltare alle conclusioni, ossia dire "USA
fascista e censore" come stanno facendo in molti, mi sembrava azzardato.
Se confermata l'ipotesi svizzera, i veri liberticidi starebbero nella
"civilissima" Europa, ma questa e' una cosa a cui molti preferiscono non
pensare.
>
> Prima di tutto:
>
>  >Innanzi tutto, molti hanno avuto l'impressione che l'FBI sia piombata
>  >in Inghilterra e abbia fatto quello che le pareva. Calma un attimo:
>  >l'FBI non ha giurisdizione nel Regno Unito. Deve chiedere alle
>  >autorita' di sicurezza locali, come è successo in casi analoghi per
>  >l'arresto di vandali informatici. Puo' assistere alle operazioni, ma
>  >non può agire autonomamente. Quindi e' scorretto titolare "l'FBI
>  >sequestra i dischi di Indymedia".
>
> Vero. Ma in un primo momento era del tutto legittimo pensarlo rispetto alle
> poche informazioni che sono filtrate e conoscendo bene la storia dell'FBI.

Era in effetti legittimo, a partire dalla dichiarazione di Indymedia, ma
ricordavo vagamente questa storia di come l'FBI non ha giurisdizione ma
"assiste" nelle operazioni fuori USA, ma non ne ero sicuro. Quando ho
letto i commenti su The Register, mi si e' chiarito il dubbio, per cui
mi e' sembrato opportuno chiarire l'equivoco. Fra l'altro l'FBI
smentisce di aver fatto la richiesta autonomamente, ma dice di aver
semplicemente riferito una richiesta di terzi.


> Provo ad integrare soprattutto con quello che è venuto dopo (anche se
> maggiore prudenza non avrebbe gustato).

e' sempre difficile bilanciare tempestivita' e completezza. All'ora in
cui ho scritto quella newsletter, i dati che c'erano in giro erano
quelli, perlomeno per quanto sono riuscito a trovare io.

> viene anche scritto esplicitamente che l'avvocato Dai Davis è scettico sul
> fatto che la Rackspace in territorio UK abbia obblighi di questo tipo nel
> caso di una rogatoria internazionale. Ma questo non lo riporti nella
> newsletter.

Scettico, si': sicuro, no. Oltretutto, se tu sei una filiale UK di una
societa' USA e ti bussa alla porta la Metropolitan Police con una
"richiesta" (non dico un ordine, ma una richiesta cortese ma ferma) di
takedown, tu che fai? Fai, come dice Rackspace, il "good citizen" e
cominci a rimuovere il server contestato, in attesa di chiarimenti,
oppure rischi l'intralcio alla giustizia? Business is business,
Rackspace non e' pagata per difendere i diritti, ma per fare hosting.
Credo che qualsiasi imprenditore UK/USA/italiano avrebbe fatto la stessa
cosa.

In più, come hanno appurato a Indymedia nella riunione di
> Genova di ieri, e come ha scritto sabato Bonini su Repubblica
> (http://www.difesa.it/files/rassegnastampa/041009/5ZLUI.pdf) la Rackspace
> ha agito in maniera volontaria ad una richiesta della Corte USA usando,
> come dire, una modalità molto zelante di collaborazione se è andata
> addirittura oltre gli obblighi di legge territoriali.

il che confermerebbe la situazione che descrivo qui sopra.

> Ricapitolando i dati certi: Indymedia ha subìto il danno di veder bloccate
> due sue macchine, che ospitavano una trentina di siti, perdendo dei dati
> (non essendo stata avvisata per tempo), su una procedura di rogatoria
> internazionale in base ad un trattato MLAT che riguarda reati palesemente
> lontani da quelli per i quali, forse, Italia (vilipendio delle forze
> armate) e Svizzera (pubblicazione di foto di agenti in borghese) sono parte
> in causa della vicenda. In più, qualsiasi giurista te lo potrà confermare,
> non ci sono precedenti simili nella storia di casi di questo tipo
> (triangolazione ed utilizzo di questo trattato per questi reati).

attenzione, ancora non sappiamo qual e' il reato contestato. la storia
delle foto potrebbe essere una pista falsa. Finche' rimane il segreto
istruttorio, possiamo solo fare ipotesi. Adesso la cosa dovrebbe essere
in mano a David Blunkett (hai visto l'analisi su Statewatch?), vediamo
cos'ha da dire nei prossimi giorni.
>
> Ancora:
>
>  >L'idea puo' piacere o non piacere, ma mi sembra indubbio che i
>  >responsabili di Indymedia, consci di avere a che fare spesso con
>  >informazioni scottanti e fastidiose per i potenti di turno, avrebbero
>  >dovuto riflettere piu' attentamente prima di depositare i propri
>  >server in territorio inglese. Ci sono molti altri paesi che offrono
>  >garanzie superiori. Inoltre, da un punto di vista strettamente
>  >informatico, mi stupisce la mancanza apparente di un backup
>  >(Indymedia
>  >afferma di aver "perso molto del materiale presente" sui propri
>  >server")
>
> Non capisco quali paesi dovrebbero offrire garanzie superiori.

Sealand, per dire il primo che mi viene in mente


> E ancora. Sai benissimo che un sito, come Indymedia, che arriva fino un
> milione di contatti al mese nel caso di eventi speciali e che usa servizi
> ad alto dispendio di risorse di rete (come lo streaming o il deposito di
> audio e video) ha bisogno di un servizio efficiente e a banda larga.

indubbiamente. ma fare un servizio del genere, senza prevedere un
contingency planning, e' comunque poco prudente. Ci si puo' attrezzare
con risorse distribuite, usare circuiti p2p, quello che vuoi, ma
arrivare a meettere tutte le uova in un unico paniere e', a mio avviso,
pessima pianificazione, qualunque sia il servizio fornito.

Su un piano piu' personale, se Indy vuole davvero lottare contro i
poteri forti, deve farlo in modo piu' professionale, senza porgere il
fianco a manovre di facile takedown, altrimenti la si puo' chiudere in
un batter d'occhio, come appunto e' successo.


> Soprattutto se, invece, può legittimamente ipotizzare che in caso di
> problemi di questo tipo sia il provider stesso ad avvertire il cliente per
> approntare un backup d'emergenza. Ma questo non è avvenuto, per i motivi su
> scritti, perché è di tutta evidenza che si è scelta una modalità -
> sequestrare gli hard disk - che non era necessaria per le indagini se,
> qualunque fosse stato il reato, tutto il problema era trovare tracce e
> prove e sarebbe bastata una copia del contenuto della macchina. Ma
> sicuramente è stato sufficiente a fermare un intero network. Certamente non
> c'erano norme internazionali a prescriverlo, ma norme nazionali sì e
> perfino una direttiva del Consiglio d'Europa (95/13) che distingue
> nettamente i dati dal supporto.

sono d'accordissimo con te che la modalita' del takedown e' assurda ed
esagerata. Ma in un ambiente come questo e' necessario premunirsi
proprio contro queste razioni esagerate.

>
> Se Indymedia subirà un processo per tutto questo - e ripeto: stiamo ancora
> aspettando di capire per quale reato - il minimo che ci si possa augurare è
> che avvenga nell'ambito di solide garanzie democratiche con una seria
> applicazione del:
> a) principio d'innocenza finché non si dimostri il contrario
> b) principio di responsabilità individuale

e se non e' cosi', saro' il primo a strillare

>
> Distinguere tra colpe della polizia e di Indymedia, e assegnarne un po' per
> ciascuno quasi mettendole in relazione di causa ed effetto può sembrare
> buon senso, ma a tutti gli effetti è una bella distorsione dei principi di
> garanzia democratica e costituzionale.

Non era quello che intendevo. Non voglio giustificare il takedown, ma
considerarne le possibili motivazioni. E (ammesso che siano le foto la
causa del takedown) mi sembra giusto chiedersi se e' eticamente corretto
che si pubblichino le foto degli agenti, soprattutto visto che molti
utenti di Indy non amerebbero che le proprie facce venissero sbattute in
Rete.

Quando gli organi inquirenti
> indagano devono farlo nell'ambito di precisi paletti che stabiliscono per
> quanto tempo e quali libertà possono infrangere nell'unico obiettivo di
> raccogliere prove che altri valuteranno. Quando si confondono le cose,
> infatti, nascono gli stati di polizia e di confonde legalità con
> legalitarismo. Ne consegue che quand'anche Indymedia fosse accusabile del
> reato ipotizzato non è la gravità presunta di quest'ultimo che può
> autorizzare a travalicare questi paletti.

Concordo. Purtroppo stiamo discutendo di un tema su cui c'e' ancora
troppa nebbia. Sappiamo se i paletti sono stati violati? No, perche'
c'e' il segreto istruttorio.

>
> Soprattutto se si valuta un fatto ben più centrale che in nessuno dei tuoi
> scritti citi. La magistratura che eventualmente ha chiesto la rogatoria non
> sta indagando *su* indymedia, ma sui soggetti che hanno usato Indymedia per
> veicolare testi oggetti di presunti reati. Infatti sai che il forum di
> Indymedia è aperto e pubblico, chiunque può scriverci.

e' quello che intendevo con "pubblicare o consentire la pubblicazione".
La giustificazione "chiunque puo' scriverci" vale finche' non vieni
avvisato che il tuo sito contiene materiale
offensivo/illegale/inaccettabile postato da chissa' chi. Quando ti
avvisano, e mi risulta che l'avviso ci sia stato, tu come gestore del
sito acquisisci, secondo me, una responsabilita'. Se non secondo legge,
allora secondo etica.

  C'è una bella
> differenza. La stessa per la quale se nella tua seconda newsletter avessi
> deliberatamente fatto girare quelle foto oggetto di presunto reato, sarebbe
> stato grave se la magistratura se la fosse presa con Peacelink che ospita
> la tua newsletter ma, paradossalmente, giustificato dal tuo ragionamento.
> Ovviamente succede anche questo, e la storia recente di Peacelink lo
> dimostra

per questo ho scelto la prudenza

, ma diventa grave avallare anche solo implicitamente questa
> logica, sostenuta da un dibattito politico di infimo livello, quando è del
> tutto evidente che un pezzo importante delle garanzie di libertà
> d'espressione e pensiero in rete passano e passeranno attraverso il ruolo
> di siti e provider che gestiscono e garantiscono la comunicazione. Su tutto
> questo consiglio la lettura del contributo di Rattus Norvegicus che
> condivido completamente:
> https://www.ecn.org/wws/arc/cyber-rights/2004-10/msg00123.html

letto, ci sono pero' alcune considerazioni che non mi quadrano.
L'articolo 21 non copre anche il diritto, per esempio, di gridare "Al
fuoco!!!" in un cinema gremito. Ci sono paletti anche alla liberta' di
stampa e di espressione, per evitare che quella liberta' leda il diritto
altrettanto forte del singolo cittadino a non essere diffamato o
perseguitato.

E poi si costruiscono ipotesi su ipotesi:
>  Se si tratta di rogatoria, la cosa dovrebbe riguardarlo in prima persona...

ipotesi

>
>  Se ne conclude che la rogatoria richiesta in parlamento da Landolfi e
>  recepita da Valentini (sottosegretario alla Giustizia) non poteva, almeno a
>  norma di legge, essere avviata da Castelli.

l'ipotesi diventa certezza

>
>  Puo' darsi, anzi pare probabile, che la rogatoria sia stata avviata de
>  facto. Occorre a questo punto vedere quali sono i reati per i quali e'
>  stata avviata questa procedura.

di nuovo ipotesi?

  Quando Landolfi, nel suo intervento in
>  parlamento, ha detto che i testi inviati su Indymedia erano fuori dai
>  diritti costituzionali e divenivano oggetto del codice penale alludeva
>  chiaramente all'art. 290 del C.P. cioe' al reato di "Vilipendio della
>  Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate". E si
>  riferiva esplicitamente ad alcuni post in cui si faceva l'apologia della
>  strage di Nassirya.

Non so se e' spiegato altrove, ma come fa Rattus a sapere che Landolfi
si riferiva esplicitamente eccetera?

Non voglio fare polemica. Sta' certo che se i diritti di Indymedia
vengono violati ingiustificatamente e si inizia il gioco sporco della
censura a colpi di takedown, non me ne staro' zitto. Non so se ricordi
la mia difesa di brigaterosse.com in occasione di un provvedimento
analogo. Credo che il caso Indymedia diventera' comunque un punto di
riferimento nella creazione degli standard per i diritti online.

Scusa lo sfogo.

Ciao da Paolo.
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Paolo Attivissimo
topone at pobox.com          http://www.attivissimo.net
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