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Garage Olimpo, versione cecena
- Subject: Garage Olimpo, versione cecena
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- Date: Fri, 16 Jan 2004 04:13:13 +0100
Garage Olimpo, versione cecena L’odissea di Arbi, giovane benzinaio ceceno sequestrato dalla famigerata polizia speciale del regime filo-russo di Kadyrov. Picchiato e torturato per giorni, e rilasciato solo dopo il pagamento di un riscatto. Tra i suoi aguzzini, nei sotterranei della tristemente nota prigione di Hosi Yurt, lo stesso figlio del presidente ceceno, capo delle milizie private che da ottobre fanno il ‘lavoro sporco’ che prima facevano i russi 14 gennaio 2004 – Arbi, 27 anni, gestisce una pompa di benzina alla periferia di Grozny. Un pomeriggio di circa due mesi fa gli agenti della polizia speciale del regime filo-russo di Kadyrov hanno fatto irruzione nel suo ufficio-baracca. Gli hanno preso il passaporto e poi lo hanno portato via e caricato su un’auto che aspettava fuori. “Appena salito in macchina uno di loro mi ha detto che secondo le informazioni in loro possesso io ero un ribelle, che combattevo contro il presidente Kadyrov”. Dopo un breve viaggio, l’auto si è fermata davanti a una casa abbandonata, nel villaggio di Gil Gen. “Mi hanno portato dentro e hanno iniziato a picchiarmi con una spranga, ordinandomi di parlare, di confessare le mie colpe. Io ho detto che avevo combattuto la prima guerra d’indipendenza (quella del 1994-1996, n.d.r.), ma che adesso me ne stavo a casa. Allora i sei poliziotti hanno preso i loro Kalashnikov, hanno smontato i caricatori e, usando i fucili come mazze, mi hanno colpito ai reni, con forza, senza sosta, per almeno un quarto d’ora, ordinandomi di confessare e di fare i nomi di altri ribelli se non volevo rimanere storpio. Alla fine, mezzo morto, mi hanno ricaricato in macchina e portato all’ospedale, dove i medici mi hanno detto che i miei reni avevano subito gravi danni”. Arbi è rimasto in ospedale per vari giorni. Ogni tanto i poliziotti tornavano per interrogarlo. Ma lui non aveva niente da dire. Così, un giorno, gli agenti sono arrivati e, senza proferire parola, lo hanno portato via di nuovo. “Ero terrorizzato: avevo paura che mi volessero consegnare ai russi. Ma loro mi hanno detto che mi stavano portando nel villaggio di Hosi Yurt, il che non mi ha tranquillizzato affatto”. Per Arbi, come per tutti i ceceni, questo nome fa rabbrividire. Hosi Yurt, a pochi chilometri da Tsentaroi, la roccaforte del presidente Kadyrov, è un covo di suoi fedelissimi, sede di un centro di detenzione dove chiunque sia sospettato di sostenere gli indipendentisti viene interrogato e torturato per giorni. Se sopravvive, viene rilasciato dietro riscatto. “Conoscevo storie tremende su quel posto: persone picchiate con le spranghe per quaranta giorni di fila, costrette a tenere le mani su un tavolo mentre gli aguzzini gli schiacciavano le dita con un martello”. Nei giorni successivi Arbi ha avuto modo di verificare la fondatezza di queste voci e di conoscere di persona il terrore di tutti i ceceni: il capitano Ramzan, figlio del presidente Kadyrov nonché capo della polizia speciale, la famigerata milizia privata di 4 mila ceceni ‘collaborazionisti’ (o ‘traditori’ come li chiamano i ceceni) creata lo scorso ottobre dopo l’elezione-farsa organizzata da Mosca che ha portato al potere Akhmad Kadyrov. Il loro compito è fare quel ‘lavoro sporco’ che il presidente russo Vladimir Putin non vuole più far fare ai militari russi: rastrellamenti, torture, esecuzioni extragiudiziali, insomma tutto quello che il Cremlino chiama ‘operazioni di pulizia’ o ‘operazioni antiterrorismo’ volte a ‘stabilizzare’ la Cecenia. La chiamano “cecenizzazione del conflitto”, nel senso che non ci sono più russi contro ceceni, ma ceceni filo-russi contro ceceni indipendentisti. Arbi è stato portato nei sotterranei di un edificio di cemento. “Mi hanno chiuso in una cella assieme ad altri tre uomini. Ci hanno ordinato di metterci in fila lungo il muro, sull’attenti. Dopo un po’ è entrato lui, Ramzan. Ci ha chiesto se sapevamo chi fosse lui. Gli altri sono rimasti in silenzio, terrorizzati. Io, con il massimo rispetto, ho risposto che sì, lo sapevo. A quel punto lui mi ha colpito alla testa per poi sferrarmi un violento calcio all’inguine. Sono caduto a terra. Le guardie che lo accompagnavano si sono avventate su di me e hanno iniziato a picchiarmi e a prendermi a calci. Mi hanno rotto il naso”. Per tre giorni Arbi è stato malmenato e torturato. Ramzan non si è più fatto vedere. Il suo inferno è finito quando i suoi familiari sono riusciti a pagare il riscatto chiesto per la sua liberazione: tre fucili Kalashnikov, recuperati tramite conoscenze in polizia. Arbi, che oggi, seppur malconcio, è tornato a gestire la sua pompa di benzina a Grozny, è stato tra le prime vittime dell’ondata di violenza repressiva scatenata da Kadyrov. Una violenza che colpisce indiscriminatamente i civili ceceni di orientamento indipendentista (praticamente tutti), anche se non hanno nulla a che fare con la lotta armata dei ‘terroristi’ della guerriglia islamica separatista guidata dall’ex presidente Aslan Mashkadov e dal comandante Shamil Basayev. Per il regime filo-russo di Kadyrov tutti i ceceni sono potenziali ‘ribelli’. “Non è sempre stato così – dice Arbi –. La guerra non è una novità ma la violenza indiscriminata contro la popolazione non ha mai raggiunto i livelli di oggi. Questo è il periodo più brutto degli ultimi anni. Le cose sono peggiorate dopo l’elezione di Kadyrov. Il suo brutale regime è solo l’ultima versione dell’occupazione russa, alla quale i ceceni non smetteranno mai di resistere. Penso che un giorno il nostro Paese sarà libero: fino ad allora nessuno si rassegnerà”. Enrico Piovesana Fonte: PeaceReporter
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