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"la città e le ombre"
- Subject: "la città e le ombre"
- From: "palidda" <palitu at tin.it>
- Date: Sun, 7 Sep 2003 02:57:10 +0200
Alessandro Dal Lago Emilio Quadrelli La città e le ombre Crimini, criminali, cittadini Collana: Campi del sapere Pagine: 404 Prezzo: Euro 20,0 Alessandro Dal Lago Emilio Quadrelli La città e le ombre Crimini, criminali, cittadini Collana: Campi del sapere Pagine: 404 Prezzo: Euro 20,0 www.feltrinelli.it In breve Uno studio etnografico sul crimine e sulle connivenze tra legalità e illegalità, narrato attraverso le voci dei protagonisti. Un mondo di ombre che molto ci dice sulla natura e le propensioni della nostra società. Il libro Frutto di una ricerca durata diversi anni, questo libro descrive, grazie a tecniche etnografiche, i mondi criminali di una città dell'Italia del Nord. Vecchi contrabbandieri, uomini d'onore e camorristi, rapinatori, organizzatori del gioco d'azzardo, ma anche prostitute, italiane e straniere, spacciatori, ladruncoli e bidonisti (le diverse ombre cui allude il titolo) raccontano le loro attività passate e presenti, oltre che i rapporti con clienti, vittime e complici. I mondi criminali, illustrati dalla viva voce dei protagonisti, risultano così inestricabilmente connessi alla vita quotidiana della città, anche se perlopiù invisibili. L'immagine del crimine è molto diversa da quelle prevalenti nell'opinione pubblica. Se si escludono le attività di ladruncoli o scippatori (oggetto di una paura diffusa), i mondi criminali non sono altro che luoghi in cui vengono venduti beni e servizi per la società legittima: corpi da usare, sostanze proibite, azzardi clandestini, credito illegale. Il crimine appare come il retrobottega di un mondo abbacinato dal denaro e dal consumo. Questo libro vuole essere più di una descrizione sociologica. Benché cerchi di essere oggettivo e rinunci a qualsiasi compiacimento, non arretra di fronte alle realtà più dure della vita segreta di una città e disegna il racconto etnografico della sua storia. Indice Introduzione 1. Pesci piccoli e paranze 2. I bravi ragazzi 3. Azzardi quotidiani 4. Microfisica dell'usura 5. Padroni e servi 6. Corpi a perdere 7. Macchine celibi 8. Le vie dell'estasi Epilogo. Un mondo alla rovescia Note Glossario Fonti dirette Riferimenti bibliografici Introduzione ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti come una svista come un'anomalia come una distrazione come un dovere. Fabrizio De André, Smisurata preghiera Le due città In un tardo pomeriggio di primavera, la militante di un comitato di cittadini arringa i passanti, esortandoli a firmare una petizione alle autorità per l'espulsione degli "immigrati criminali". La scena si svolge in una piazza antica, ingombra di bancarelle di libri e frequentata da un'umanità eterogenea: vecchi male in arnese che si scaldano al sole, stranieri, coppie a passeggio, qualche turista, un tossicodipendente incerto sulle gambe. A pochi passi dal banchetto del comitato, in un angolo della piazza, un senegalese cieco suona imperturbabile uno strumento tradizionale. La donna non sembra curarsi della sua presenza, che pure, agli occhi di un osservatore, appare come una tacita confutazione delle parole intolleranti che vengono pronunciate. Pochi passanti si fermano ad ascoltare lo straniero e ancor meno a firmare la petizione. Una scena qualsiasi, che però ci rivela alcuni aspetti dell'interazione sociale in questo luogo frequentatissimo e più in generale nel centro storico della città. I due mondi rappresentati dall'esponente dei comitati e dall'immigrato convivono sullo stesso palcoscenico senza sfiorarsi, e soprattutto ignorandosi. Questa indifferente contiguità è tipica di Genova più ancora di altri centri portuali del Mediterraneo. La Kalsa a Palermo, diverse zone di Napoli, Bari vecchia, il vieux port di Marsiglia, il Barrio Chino di Barcellona condividono all'apparenza con il centro medievale di Genova alcune caratteristiche urbanistiche e sociologiche: quartieri antichi a ridosso dei porti, spazi di transito e di approdi temporanei, edifici fatiscenti, vicoli oscuri, economie marginali, traffici illegali o ai limiti della legalità come la prostituzione, la vendita al dettaglio di sigarette di contrabbando o lo smercio di merci contraffatte. A differenza dei quartieri storici di altre città affini, tuttavia, il centro antico di Genova non è socialmente omogeneo. Gli antichi palazzi sono abitati da cittadini comuni e, ai piani alti, anche da rampolli della nobiltà, mentre a poca distanza gli immigrati si insediano in edifici degradati o pericolanti. Non lontano dalle vetrine dei negozi di alimentari o da botteghe con qualche pretesa (moda, antiquariato, gallerie d'arte), le prostitute conversano sedute davanti ai bassi, segnalati da lampade rosse, come in una versione casereccia di Amsterdam. Dipartimenti universitari danno su vicoli ben noti ai clienti delle transessuali. I tossicodipendenti si raggruppano in piazzette o salite su cui si affacciano chiese, musei e scuole. Qui, di conseguenza, mondi sociali diversissimi si sfiorano e coesistono senza che gli sguardi degli abitanti di un mondo si soffermino sui frequentatori degli altri. Nelle sere dei giorni feriali fiumi di persone scorrono per i vicoli: le casalinghe si mescolano alle giovani straniere e i clienti delle rosticcerie incrociano quelli dei travestiti. Nelle notti di venerdì e sabato migliaia di giovani calati in centro dalla periferia, o dalle "delegazioni" (come qui vengono chiamati i quartieri aggiunti artificialmente alla città al tempo del fascismo, per farne una metropoli), affollano bar e ritrovi spuntati dappertutto negli ultimi anni. Apparentemente, solo i pattuglioni di poliziotti, carabinieri e finanzieri che perlustrano i vicoli sono interessati agli abitanti degli altri mondi, oscuri, marginali e in larga parte immaginari, che popolano questo dedalo di stradine e vicoli di pochi chilometri quadrati. Ma il loro è uno sguardo tecnico, interessato soprattutto a cogliere all'opera il "cavallo" nel gruppetto di adolescenti maghrebini che staziona a un angolo di strada o il borseggiatore che si mescola ai passanti. Nel complesso, negli ultimi anni, a parte le vociferazioni dei comitati, i mondi che qui si sfiorano tendono apparentemente a ignorarsi. A dire il vero, una volta questi mondi sono entrati clamorosamente in collisione. Per tre giorni, nel luglio del 1993, gruppi di giovani italiani hanno dato la caccia agli immigrati "spacciatori", con il risultato che per qualche tempo la città è balzata agli onori delle cronache nazionali. La situazione si è però stabilizzata in pochi mesi. Associazioni antirazziste, parroci, gruppi del volontariato, più ancora delle centinaia di agenti immediatamente inviati a sedare i tumulti, hanno formato una sorta di intercapedine invisibile ma efficace tra gli stranieri e i settori più intolleranti di un'opinione pubblica che, al pari di altre cittadinanze dell'Italia del Nord, si è progressivamente inasprita nei confronti dell'immigrazione. Anche se qui gli immigrati sono relativamente pochi, alcune migliaia sparsi nell'intera città, con una leggera concentrazione nel centro antico8 (dove è maggiore la loro visibilità), sono divenuti in passato oggetto di un risentimento silenzioso ma diffusissimo, percepibile nelle chiacchiere da bar e palesemente espresso dal clamoroso risultato del candidato di destra alle elezioni municipali del 1997. In una città considerata baluardo delle sinistre, il candidato di destra perdeva solo per poche migliaia di voti, anticipando la svolta avvenuta nelle elezioni regionali del 2000. L'apparente coesistenza di mondi diversi nel centro della città non riesce a nascondere il mutamento di clima sociale e politico, non diversamente da altre parti del paese. Anche questa città, a onta dell'immutabilità delle sue quinte di pietra, delle chiese e dei palazzi, nonché dell'apparente folklore dei vicoli che hanno incantato in passato viaggiatori e poeti, ha subito (forse più di altre) le conseguenze della deindustrializzazione. Senza essere globale, ripiegata com'è su un passato irripetibile (l'epoca dello sviluppo portuale, della cantieristica e della siderurgia assistita, su cui si basava la potenza dei sindacati e dei partiti di sinistra), ha scoperto amaramente, tra gli anni Settanta e Ottanta, la globalizzazione. Il porto è rifiorito, rispetto al declino iniziato venticinque anni fa, ma nel traffico dei container più che in occupazione. La ricchezza, appannaggio delle società di shipping e dei grandi patrimoni privati, non circola e non crea sviluppo, l'imprenditorialità tradizionale scompare senza che decolli veramente quella nuova, la disoccupazione giovanile è alta, il ceto politico indeciso nel guidare la transizione della città all'economia postindustriale. L'ossessione per il lavoro qui è inasprita da un senso di frustrazione che si è scaricato in passato sulle inadempienze dello stato, sull'abbandono da parte dell'Europa, sui fondi strutturali che qualcuno ha pilotato altrove. Si tratta di una crisi non più devastante che in altre aree del paese o d'Europa, ma che qui è rimasta a lungo congelata. Poche città sono così chiuse in se stesse, così definite sociologicamente dai propri confini naturali, dal mare che non offre più alcuna potenza e dalle montagne che la separano dalla ricchezza della pianura padana, che dovrebbe costituire un retroterra naturale e invece è remota. Tutto ciò conferisce apparentemente alla vita di questa città un'aria di risentita rassegnazione, a cui si addicono i versi di Kavafis: Non troverai altro luogo, non troverai altro mare. La città ti verrà dietro. Andrai vagando per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. Imbiancherai in queste stesse case. Sempre farai capo a questa città. Altrove, non sperare, non c'è nave non c'è strada per te. Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto tu l'hai sciupata su tutta la terra. (Kavafis
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