"la città e le ombre"



     Alessandro  Dal Lago
      Emilio  Quadrelli



      La città e le ombre

      Crimini, criminali, cittadini


      Collana: Campi del sapere
      Pagine: 404
      Prezzo: Euro 20,0



     Alessandro  Dal Lago
      Emilio  Quadrelli



      La città e le ombre

      Crimini, criminali, cittadini


      Collana: Campi del sapere
      Pagine: 404
      Prezzo: Euro 20,0
      www.feltrinelli.it




In breve
Uno studio etnografico sul crimine e sulle connivenze tra legalità e
illegalità, narrato attraverso le voci dei protagonisti. Un mondo di ombre
che molto ci dice sulla natura e le propensioni della nostra società.





Il libro
Frutto di una ricerca durata diversi anni, questo libro descrive, grazie a
tecniche etnografiche, i mondi criminali di una città dell'Italia del Nord.
Vecchi contrabbandieri, uomini d'onore e camorristi, rapinatori,
organizzatori del gioco d'azzardo, ma anche prostitute, italiane e
straniere, spacciatori, ladruncoli e bidonisti (le diverse ombre cui allude
il titolo) raccontano le loro attività passate e presenti, oltre che i
rapporti con clienti, vittime e complici. I mondi criminali, illustrati
dalla viva voce dei protagonisti, risultano così inestricabilmente connessi
alla vita quotidiana della città, anche se perlopiù invisibili.
L'immagine del crimine è molto diversa da quelle prevalenti nell'opinione
pubblica. Se si escludono le attività di ladruncoli o scippatori (oggetto
di una paura diffusa), i mondi criminali non sono altro che luoghi in cui
vengono venduti beni e servizi per la società legittima: corpi da usare,
sostanze proibite, azzardi clandestini, credito illegale. Il crimine appare
come il retrobottega di un mondo abbacinato dal denaro e dal consumo.
Questo libro vuole essere più di una descrizione sociologica. Benché cerchi
di essere oggettivo e rinunci a qualsiasi compiacimento, non arretra di
fronte alle realtà più dure della vita segreta di una città e disegna il
racconto etnografico della sua storia.





Indice
Introduzione
1. Pesci piccoli e paranze
2. I bravi ragazzi
3. Azzardi quotidiani
4. Microfisica dell'usura
5. Padroni e servi
6. Corpi a perdere
7. Macchine celibi
8. Le vie dell'estasi
Epilogo. Un mondo alla rovescia
Note
Glossario
Fonti dirette
Riferimenti bibliografici



Introduzione
ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere.
Fabrizio De André, Smisurata preghiera


Le due città
In un tardo pomeriggio di primavera, la militante di un comitato di
cittadini arringa i passanti, esortandoli a firmare una petizione alle
autorità per l'espulsione degli "immigrati criminali". La scena si svolge
in una piazza antica, ingombra di bancarelle di libri e frequentata da
un'umanità eterogenea: vecchi male in arnese che si scaldano al sole,
stranieri, coppie a passeggio, qualche turista, un tossicodipendente
incerto sulle gambe. A pochi passi dal banchetto del comitato, in un angolo
della piazza, un senegalese cieco suona imperturbabile uno strumento
tradizionale. La donna non sembra curarsi della sua presenza, che pure,
agli occhi di un osservatore, appare come una tacita confutazione delle
parole intolleranti che vengono pronunciate. Pochi passanti si fermano ad
ascoltare lo straniero e ancor meno a firmare la petizione. Una scena
qualsiasi, che però ci rivela alcuni aspetti dell'interazione sociale in
questo luogo frequentatissimo e più in generale nel centro storico della
città.
I due mondi rappresentati dall'esponente dei comitati e dall'immigrato
convivono sullo stesso palcoscenico senza sfiorarsi, e soprattutto
ignorandosi. Questa indifferente contiguità è tipica di Genova più ancora
di altri centri portuali del Mediterraneo. La Kalsa a Palermo, diverse zone
di Napoli, Bari vecchia, il vieux port di Marsiglia, il Barrio Chino di
Barcellona condividono all'apparenza con il centro medievale di Genova
alcune caratteristiche urbanistiche e sociologiche: quartieri antichi a
ridosso dei porti, spazi di transito e di approdi temporanei, edifici
fatiscenti, vicoli oscuri, economie marginali, traffici illegali o ai
limiti della legalità come la prostituzione, la vendita al dettaglio di
sigarette di contrabbando o lo smercio di merci contraffatte. A differenza
dei quartieri storici di altre città affini, tuttavia, il centro antico di
Genova non è socialmente omogeneo. Gli antichi palazzi sono abitati da
cittadini comuni e, ai piani alti, anche da rampolli della nobiltà, mentre
a poca distanza gli immigrati si insediano in edifici degradati o
pericolanti. Non lontano dalle vetrine dei negozi di alimentari o da
botteghe con qualche pretesa (moda, antiquariato, gallerie d'arte), le
prostitute conversano sedute davanti ai bassi, segnalati da lampade rosse,
come in una versione casereccia di Amsterdam. Dipartimenti universitari
danno su vicoli ben noti ai clienti delle transessuali. I tossicodipendenti
si raggruppano in piazzette o salite su cui si affacciano chiese, musei e
scuole.
Qui, di conseguenza, mondi sociali diversissimi si sfiorano e coesistono
senza che gli sguardi degli abitanti di un mondo si soffermino sui
frequentatori degli altri. Nelle sere dei giorni feriali fiumi di persone
scorrono per i vicoli: le casalinghe si mescolano alle giovani straniere e
i clienti delle rosticcerie incrociano quelli dei travestiti. Nelle notti
di venerdì e sabato migliaia di giovani calati in centro dalla periferia, o
dalle "delegazioni" (come qui vengono chiamati i quartieri aggiunti
artificialmente alla città al tempo del fascismo, per farne una metropoli),
affollano bar e ritrovi spuntati dappertutto negli ultimi anni.
Apparentemente, solo i pattuglioni di poliziotti, carabinieri e finanzieri
che perlustrano i vicoli sono interessati agli abitanti degli altri mondi,
oscuri, marginali e in larga parte immaginari, che popolano questo dedalo
di stradine e vicoli di pochi chilometri quadrati. Ma il loro è uno sguardo
tecnico, interessato soprattutto a cogliere all'opera il "cavallo" nel
gruppetto di adolescenti maghrebini che staziona a un angolo di strada o il
borseggiatore che si mescola ai passanti. Nel complesso, negli ultimi anni,
a parte le vociferazioni dei comitati, i mondi che qui si sfiorano tendono
apparentemente a ignorarsi.
A dire il vero, una volta questi mondi sono entrati clamorosamente in
collisione. Per tre giorni, nel luglio del 1993, gruppi di giovani italiani
hanno dato la caccia agli immigrati "spacciatori", con il risultato che per
qualche tempo la città è balzata agli onori delle cronache nazionali. La
situazione si è però stabilizzata in pochi mesi. Associazioni antirazziste,
parroci, gruppi del volontariato, più ancora delle centinaia di agenti
immediatamente inviati a sedare i tumulti, hanno formato una sorta di
intercapedine invisibile ma efficace tra gli stranieri e i settori più
intolleranti di un'opinione pubblica che, al pari di altre cittadinanze
dell'Italia del Nord, si è progressivamente inasprita nei confronti
dell'immigrazione. Anche se qui gli immigrati sono relativamente pochi,
alcune migliaia sparsi nell'intera città, con una leggera concentrazione
nel centro antico8 (dove è maggiore la loro visibilità), sono divenuti in
passato oggetto di un risentimento silenzioso ma diffusissimo, percepibile
nelle chiacchiere da bar e palesemente espresso dal clamoroso risultato del
candidato di destra alle elezioni municipali del 1997. In una città
considerata baluardo delle sinistre, il candidato di destra perdeva solo
per poche migliaia di voti, anticipando la svolta avvenuta nelle elezioni
regionali del 2000. L'apparente coesistenza di mondi diversi nel centro
della città non riesce a nascondere il mutamento di clima sociale e
politico, non diversamente da altre parti del paese.
Anche questa città, a onta dell'immutabilità delle sue quinte di pietra,
delle chiese e dei palazzi, nonché dell'apparente folklore dei vicoli che
hanno incantato in passato viaggiatori e poeti, ha subito (forse più di
altre) le conseguenze della deindustrializzazione. Senza essere globale,
ripiegata com'è su un passato irripetibile (l'epoca dello sviluppo
portuale, della cantieristica e della siderurgia assistita, su cui si
basava la potenza dei sindacati e dei partiti di sinistra), ha scoperto
amaramente, tra gli anni Settanta e Ottanta, la globalizzazione. Il porto è
rifiorito, rispetto al declino iniziato venticinque anni fa, ma nel
traffico dei container più che in occupazione. La ricchezza, appannaggio
delle società di shipping e dei grandi patrimoni privati, non circola e non
crea sviluppo, l'imprenditorialità tradizionale scompare senza che decolli
veramente quella nuova, la disoccupazione giovanile è alta, il ceto
politico indeciso nel guidare la transizione della città all'economia
postindustriale. L'ossessione per il lavoro qui è inasprita da un senso di
frustrazione che si è scaricato in passato sulle inadempienze dello stato,
sull'abbandono da parte dell'Europa, sui fondi strutturali che qualcuno ha
pilotato altrove. Si tratta di una crisi non più devastante che in altre
aree del paese o d'Europa, ma che qui è rimasta a lungo congelata. Poche
città sono così chiuse in se stesse, così definite sociologicamente dai
propri confini naturali, dal mare che non offre più alcuna potenza e dalle
montagne che la separano dalla ricchezza della pianura padana, che dovrebbe
costituire un retroterra naturale e invece è remota. Tutto ciò conferisce
apparentemente alla vita di questa città un'aria di risentita
rassegnazione, a cui si addicono i versi di Kavafis:
Non troverai altro luogo, non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c'è nave non c'è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l'hai sciupata su tutta la terra.
(Kavafis