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ART. 18:UN RISULTATO DESTINATO A PESARE
- Subject: ART. 18:UN RISULTATO DESTINATO A PESARE
- From: "Giancarlo Canuto" <giancanuto at inwind.it>
- Date: Mon, 23 Jun 2003 16:00:36 +0200
Dopo aver condotto la campagna referendaria a favore del SI presiedendo il Comitato provinciale di Brindisi, Michele DI SCHIENA ha scritto nei giorni scorsi questo commento sui risultati - che invio in ritardo per mie difficoltà tecniche - con una lettura un po' diversa di chi ha parlato di "sconfitta". Affido alla vostra riflessione e diffusione se condividete. REFERENDUM SULL'ART. 18: UN RISULTATO DESTINATO A PESARE Se il referendum sull'art. 18 non ha raggiunto il "quorum" ha sicuramente saputo leggere nel "cuore" di milioni di cittadini dando voce alla loro sensibilità e alla loro passione politica che vanno in direzione opposta a quella delle scelte del Governo e della Confindustria perché chiedono l'estensione delle garanzie contro i licenziamenti illegittimi e, più in generale, la salvaguardia ed il rafforzamento dei diritti e delle tutele sociali. Quegli oltre dieci milioni di lavoratori che hanno detto "si" al referendum sono in realtà l'espressione più consapevole e combattiva di un'area di opinioni e di orientamenti assai più vasta alla quale è stato di fatto impedito di esprimersi nella sua interezza con metodi ed espedienti che puzzano lontano un miglio di "frode democratica": l'oscuramento televisivo e largamente giornalistico del referendum, la disinformazione sul suo oggetto e le bugie "terroristiche" sulle sue conseguenze, la scelta di giorni praticamente estivi per lo svolgimento della consultazione, il collocamento della consultazione medesima a ridosso di due stancosi turni elettorali che avevano interessato diverse regioni del Paese, la decisione "bipartisan" di sommare all'astensionismo fisiologico (sempre notevole nei referendum) quello cosiddetto consapevole ed infine le indicazioni per l'astensione dal voto provenienti dai gruppi dirigenti del novanta per cento delle forze rappresentate in Parlamento che hanno seminato confusione e disorientamento. Questo non basta, è vero, per spiegare l'insuccesso ma si deve tener conto che una piccola minoranza, quella dei sostenitori del "si" senza riserve, non poteva essere assolutamente in grado - ed era facile prevederlo - di informare adeguatamente e di convincere la maggioranza degli elettori dell'importanza specifica e strategica della consultazione. Ma c'è di più e cioè che l'esito del referendum sull'art. 18 non può essere giudicato col metro valutativo usato per le altre consultazioni referendarie perché questa volta si è trattato di una iniziativa che, oltre ad essere contrastata da un enorme schieramento politico, chiamava gli elettori, al di là dell'oggetto specifico del quesito proposto, ad una radicale pronuncia contro il liberismo selvaggio della maggioranza berlusconiana ed anche contro il liberismo temperato di larghi settori del centrosinistra a partire da quelli che si riconoscono negli orientamenti del senatore Treu. Una scelta che, se riguardata correttamente in quest'ottica, ha riscosso un consenso veramente incoraggiante. Nessuna sconfitta quindi e nessun pianto sul latte versato di un esito messo in preventivo ma la consapevolezza di aver ottenuto un risultato "importante" perché una larga parte dell'elettorato di sinistra ha detto, implicitamente ma chiaramente, che è contro il liberismo e perché di questo si dovrà tener conto sia a destra e sia, soprattutto, nei "quartieri alti" del centrosinistra. Ed è significativo il fatto che, al di là dei rituali commenti dei leaders politici e sindacali sull'esito del voto, molti osservatori di cultura politica moderata (per tutti, Paolo Pombeni su "il Messaggero" del 17 giugno) concordano nel ritenere che il referendum non ha segnato una vittoria delle destre e neppure dei "riformisti" dal momento che gli oppositori delle politiche liberiste in tutte le loro versioni "non sono poi così pochi" e vanno ben "oltre la metà dei voti globalmente ottenuti alle politiche del 2001 dall'area dell'attuale opposizione". E - giova ribadirlo - sono sicuramente, per le insuperabili ragioni indicate, molti di più degli oltre dieci milioni di cittadini che hanno esplicitamente approvato il referendum. Il fatto è che il referendum sull'art. 18 ha posto un problema sociale e politico di decisivo rilievo: se deve passare o meno nel nostro Paese lo smantellamento dello stato sociale e la precarizzazione del lavoro con l'obiettivo di rendere i lavoratori meno liberi dal bisogno, più ricattabili e più assoggettati alle logiche mercificatici di una politica che, per tentare di uscire dalla crisi da essa stessa provocata, la aggrava portando avanti logiche che puntano all'asservimento dei lavoratori e ad un progressivo impoverimento di massa. Ed allora si deve aprire a sinistra un ampio e serrato confronto per verificare se e con quali obiettivi si può dar vita a chiare e credibili convergenze in vista di un'alternativa alla politica dell'attuale maggioranza. Un'alternativa che va costruita soprattutto nella società e che si troverà di fronte, come primo banco di prova, la capacità e la determinazione di opporsi radicalmente alla cosiddetta "riforma Biagi" per tutelare e promuovere la dignità ed i diritti del lavoro, quel lavoro indicato dalla Carta costituzionale come valore fondante della Repubblica. Brindisi, 19 giugno 2003 Michele DI SCHIENA Siamo coscienti che e-mail indesiderate sono oggetto di disturbo, quindi la preghiamo di accettare le nostre più sincere scuse se la presente non è di Suo interesse. A norma della Legge 675/96 la Sua e-mail è stata inserita nel nostro database perché espressamente da Lei richiesto o l'abbiamo reperita navigando in rete. Questo messaggio non può essere considerato SPAM poiché include la possibilità di essere rimosso da ulteriori invii di posta elettronica. 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