art.18:"Il marchese del Grillo"



A pochi giorni dal referendum del 15 di giugno un'ultima riflessione da
parte del magistrato Michele Di Schiena (Brindisi) sulle ragioni tecnico
politiche a sostegno dell'estensione a tutti i lavoratori della garanzie
previste dall'art. 18.

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REFERENDUM SULL'ART. 18

IL MARCHESE DEL GRILLO

Il referendum sull'art. 18 propone una immediata modifica legislativa di
evidente giustizia: che i lavoratori delle imprese minori non vengano
privati del posto di lavoro nel caso di una "cacciata" del tutto
ingiustificata. Nel caso cioè di un licenziamento senza "giusta causa" e
senza neppure un "giustificato motivo", ipotesi questa ultima nella quale
rientrano tutte quelle situazioni che, tenuto anche conto delle limitate
dimensioni di certe imprese, risultano tali da giustificare la risoluzione
del rapporto di lavoro. E' chiaro allora che il successo del referendum
sull'art. 18 non danneggerebbe le piccole imprese correttamente gestite che
risulterebbero, peraltro, meglio tutelate contro la concorrenza "sleale" di
quelle che assumono in nero e negano i diritti.

Va poi considerato che la legge attuale prevede, in caso di licenziamenti
ingiusti di lavoratori occupati in imprese con meno di 16 dipendenti, solo
un irrisorio risarcimento (da due e mezzo a sei mensilità) che non
indennizza il dipendente dei danni subiti e non costituisce deterrente
contro le ingiuste espulsioni. Per contro, con l'estensione dell'art. 18 a
tutti i lavoratori, il dipendente arbitrariamente licenziato otterrebbe la
totale eliminazione degli effetti del licenziamento con la reintegra nel
posto e col risarcimento dell'intero danno subito mediante il pagamento
delle retribuzioni non ricevute dal giorno del licenziamento e fino alla
riammissione in servizio. E' quindi falso affermare che c'è un'adeguata
tutela per i lavoratori delle piccole imprese: la verità è che essi sono
oggi alla mercé del datore di lavoro.

Con buona pace di chi tenta di coprire con la parola "modulazione" la
sostanziale negazione di un sacrosanto diritto, va poi ribadito che una
somma di danaro non può mai compensare i pregiudizi economici, le
frustrazioni psicologiche ed i drammi familiari di chi viene ingiustamente
privato del lavoro. Ed è per questo che l'istituto della reintegra nel
posto di lavoro è una delle più rilevanti traduzioni in termini normativi
 di quella "filosofia" costituzionale che vede nel lavoro l'attività umana
nella quale deve realizzarsi, in armonica sintesi, la personalità del
prestatore d'opera e la crescita civile della comunità. Una concezione che
impone di non trattare la prestazione lavorativa, in quanto parte
integrante e momento espressivo dell'uomo-lavoratore, come una merce e di
non disciplinare il rapporto di lavoro come gli altri rapporti contrattuali
per i quali è prevista, in caso di ingiusto recesso, soltanto la sanzione
del risarcimento pecuniario.

Ma c'è di più: strada facendo il referendum sull'art. 18 è divenuto un
prezioso strumento di autotutela nelle mani dei lavoratori delle grandi e
medie imprese contro i licenziamenti illegittimi. L'art. 1 lettera p della
Legge "delega" del 14 febbraio 2003 n° 30 in materia di mercato del lavoro
liberalizza infatti al massimo la cessione del "ramo d'azienda" eliminando
il requisito finora necessario per la legittimità del trasferimento
costituito dalla preesistenza della "autonomia funzionale" alla cessione
del "ramo" medesimo. Ciò significa in pratica che le aziende con più di 15
dipendenti potranno senza ostacoli frantumarsi fittiziamente in diverse
piccole aziende (ognuna con meno di 16 dipendenti) per sottrarre i rapporti
di lavoro all'obbligo della reintegra. Il successo del referendum è quindi
un mezzo efficace per bloccare immediatamente questo tortuoso progetto che
punta all'abrogazione di fatto, e per tutti, dell'art. 18.

Ed infine, se così stanno le cose, una domanda si impone: per quale motivo
il titolare di una piccola impresa, prevaricatore e dispotico, non dovrebbe
essere obbligato, dopo un regolare processo, a reintegrare nel suo posto un
lavoratore arbitrariamente licenziato? L'unica plausibile risposta è quella
del Marchese del Grillo, interpretato nell'omonimo film da Alberto Sordi,
il quale, interpellato sulle ragioni di ingiustizie e discriminazioni,
prorompe in una espressione carica di cinismo e di arroganza che può essere
così emendata nel suo colorito termine conclusivo: "Io sono io e voi non
siete un · nulla". Quel trattare appunto i dipendenti come un "nulla"
denunciato con tanto coraggio da un recente film ("Il posto dell'anima")
che mette in drammatica luce la condizione dei lavoratori sempre più
colpiti nei loro diritti tra licenziamenti arbitrari e malattie
professionali.

Brindisi, 9 giugno 2003

Michele DI SCHIENA