13/04 Parma: La psichiatria come forma di controllo



domenica 13 aprile 2003, Parma, convegno

La psichiatria come forma di controllo

"Chi non si arma, muore. Chi non muore è sepolto vivo: nelle prigioni, nelle
case di rieducazione, nelle periferie delle città satelliti, nelle pietre
sinistre dei palazzi, nei giardini di infanzia e nelle scuole sovraffollate,
nelle nuove cucine perfettamente attrezzate" (Ulrike Meinhof)

La recente occupazione del centro psichiatrico "1° Maggio" di Colorno, in
provincia di Parma, ha messo in luce la funzione della psichiatria come
strumento, sempre più pervasivo, di controllo sociale e di repressione; non
ci soffermiamo sulla cronaca e i particolari di questa lotta per i quali
rimandiamo al materiale allegato in fondo al presente testo.

Ci interessa invece evidenziare come alcuni settori della sinistra
istituzionale e para-istituzionale locale si siano prodigati nel tacciare
questa lotta, che è stata portata avanti insieme ai "malati" e ai loro
familiari, come lotta conservatrice e difensiva della logica manicomiale. A
sentir loro, sembra che l'intera questione possa essere risolta attraverso
una psichiatria innovativa e democratica, che sostituisce ai manicomi gli
appartamentini, agli infermieri professionali gli operatori sociali, all'
elettroshock e ai letti di contenzione, bombe di psicofarmaci. Il "manicomio
che si libera", come venne definito in un libro di Basaglia, fa parte ed è
il capostipite di tutta quella "cultura alternativa" alla devianza: male
curabile "frazionando il grande cubo, brutto, logoro e vistoso, in tanti
piccoli cubetti più accettabili moralmente ed esteriormente più discreti".

Questa "ingenua" sensibilità riformista emerge su tutto ciò che riguarda la
materia della "riabilitazione sociale". L'illusione di poter umanizzare il
carcere sembra nascere anch'essa in contrapposizione e in alternativa ad una
visione autoritaria di "destra" mentre, nei fatti, ne costituisce un
elemento indispensabile e complementare.

Le cosiddette misure alternative alla reclusione carceraria tramite
affidamento in prova, semilibertà, lavoro esterno, comunità di recupero ecc,
costituiscono un essenziale strumento materiale delle moderne politiche
repressive: la differenziazione della pena applicata mediante il trattamento
individualizzato, le meschine privazione e il ricatto del "premio" per chi
dimostra arrendevolezza collaborando, operano nella direzione di una
sistematica desolidarizzazione del proletariato prigioniero.

E' chiaro come tali ipotesi, centrate sulla funzione rieducativa del lavoro
salariato, siano possibili soltanto in ristretti contesti produttivi, capaci
di riassorbire la forza-lavoro in eccesso (il tasso di disoccupazione in
Emilia Romagna è stato del 4,6% nel 1999, del 4% nel 2000 e del 3,7% nel
2001, a fronte di una media italiana del 10-12%).

Le ragioni di questo neo-riformismo umanitarista nascono come risposta "di
sinistra" alle necessità di razionalizzazione dei costi imposte dalla
generalizzazione della crisi economica. La fase recessiva in atto impone
agli Stati di contrarre il più possibile gli investimenti improduttivi ma,
al contempo, di salvaguardare ed anzi potenziare le strutture repressive e
di controllo. Tali dispositivi, proprio a causa dell'approfondirsi delle
contraddizioni e dello scontro di classe, tendono ad essere sempre più
diffuse ed affollate. Di fronte alla necessità inderogabile di ridurre la
spesa pubblica - che ha già portato a drastici tagli alla sanità, alla
scuola, all'assistenza, alle pensioni - anche quella parte di spesa
destinata alle "politiche di sicurezza" deve perciò essere razionalizzata.
E' sulla base di queste necessità che possiamo comprendere i processi di
privatizzazione e di regionalizzazione a cui stiamo assistendo negli ultimi
anni, di cui la proliferazione di cooperative sociali grondanti di buoni
propositi sono una conseguenza.

La diffusione territoriale del carcere, attraverso meccanismi alternativi di
internamento e di controllo e la creazione di nuove strutture
para-carcerarie, prefigurano una sorta di carcere metropolitano,
differenziato sia in orizzontale, in relazione alla collocazione sociale del
soggetto "criminale" (Centri di Permanenza Temporanea per il proletariato
immigrato, comunità e nuovi carceri per i tossicodipendenti, manicomi per i
"malati" psichici) e sia in verticale, in relazione al grado di controllo
connesso alla "pericolosità sociale".

In quest'ottica, l'applicazione in forma estesa del 41/bis, la detenzione
nelle carceri dure, l'isolamento protratto, l'annientamento psico-fisico di
presunti terroristi (oggi, soprattutto, prigionieri rivoluzionari e
militanti islamici) non sono che l'altra faccia dell'accesso
individualizzato e premiale alle forme di custodia attenuata. Una riedizione
in chiave moderna della vecchia logica del bastone e della carota.

E' sempre in quest'ottica che si collocano tanto il progetto di costruzione
di un nuovo carcere per tossicodipendenti a Castelfranco (BO) gestito da
Muccioli che la proposta di legge Burani-Procaccini, che inasprisce
ulteriormente le condizioni dei "malati psichici" attraverso la riesumazione
della pericolosità sociale e l'estensione del ricovero coatto, tendendo a
far diventare l'intero circuito dell'assistenza psichiatrica, un diffuso
Ospedale Psichiatrico Giudiziario governato da operatori, cui è attribuita
la responsabilità piena, anche legale, del comportamento e delle scelte di
un individuo ridotto a malato.

Sulle tematiche della psichiatria, dell'anti-psichiatria, del carcere e del
controllo sociale invitiamo le compagne i compagni a partecipare a questa
due giorni. Le giornate serviranno al duplice scopo di rilanciare le
tematiche e mobilitazioni contro la psichiatria sul territorio emiliano e di
confronto e collegamento tra compagni e compagne sul territorio nazionale.

Domenica 13 aprile

dalle ore 11

spazio sociale M. Lupo (ex macello)- P.le Allende 2 - PARMA

convegno sulla psichiatria come forma di controllo


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