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23/02 Verona: CONTRO IL DDL BOSSI-FINI. PER IL DIRITTO AL FUTURO, PER LA CASA, PER I DIRITTI DI TUTTI
- Subject: 23/02 Verona: CONTRO IL DDL BOSSI-FINI. PER IL DIRITTO AL FUTURO, PER LA CASA, PER I DIRITTI DI TUTTI
- From: olivia guaraldo <oguaraldo at tiscalinet.it>
- Date: Mon, 11 Feb 2002 09:50:40 +0100
VERONA, 23 FEBBRAIO 2002 CONTRO IL DDL BOSSI-FINI. PER IL DIRITTO AL FUTURO, PER LA CASA, PER I DIRITTI DI TUTTI A distanza di sei mesi esatti dalla grande manifestazione dei migranti con cui si è aperta la contestazione del G8 di Genova, la comune mobilitazione di italiani e stranieri per la rivendicazione di universali diritti di mobilità e di cittadinanza per tutti si è ripetuta lo scorso 19 gennaio, con straordinario successo, a Roma. Duecentomila persone hanno preso la parola contro un disegno di legge infame, il DDL Bossi-Fini, e contro un insieme di politiche tese a sgretolare, smontando la scuola pubblica, attaccando l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, smantellando pensioni e sanità, il sistema dei diritti sociali che le grandi lotte operaie hanno eretto a costituzione del lavoro in Italia. Nel migrante noi tutti siamo attaccati. E' questa la consapevolezza che si impone al movimento antirazzista in questa fase e ciò che spinge la comune mobilitazione. L'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e le figure del lavoro precario, interinale, intermittente, disegnate nel Libro Bianco predisposto dal Ministero del Lavoro, rappresentano forme di svuotamento dei diritti di cittadinanza, che trovano un corrispettivo immediato - più duro e feroce perché ulteriormente rafforzato da forme sanzionatorie apertamente razziste - nella fattispecie giuridica con la quale il DDL Bossi-Fini intende regolare l'accesso dei lavoratori stranieri sul territorio nazionale. Il "contratto di soggiorno per lavoro" in esso previsto, è forse opportuno ricordarlo, fa dipendere da un contratto di tipo privato, e cioè dalla volontà del padrone, secondo una logica giuridica di dubbia legittimità costituzionale, la possibilità di ottenere, e solo per il tempo previsto dal contratto - rendendo inoltre difficili i ricongiungimenti familiari, praticamente impossibile il riconoscimento del diritto d'asilo per i profughi di guerra e politici, sequestrando ai lavoratori stranieri i contributi regolarmente versati - la possibilità di vedere riconosciuti in termini di cittadinanza i diritti acquisitivi del lavoro. Come per operai, donne, studenti-lavoratori e precari italiani, le politiche neoliberiste di flessibilità disegnano per il migrante un destino di permanente clandestinizzazione e di invisibilità sociale. Solo in quanto braccia e menti al lavoro, delle quali ci si possa sbarazzare quando si è finito di servirsi, la contabilità confindustriale e governativa calcola quelli che noi ci ostiniamo invece a pensare come cittadini. A questo destino di invisibilità, precarietà e clandestinizzazione, che il DDL, nonostante le retoriche securitarie di cui è rivestito, tende ineluttabilmente a rafforzare nel migrante, e che il Libro Bianco di Maroni prepara per l'intero mondo del lavoro, abbiamo opposto a Genova, Brescia, Mestre, Treviso, Roma, una presa di parola che ha marcato una soglia decisiva dalla quale rilanciare la mobilitazione e la lotta. In essa il lavoro nero del precario e del migrante, quello che le politiche del lavoro neoliberali vorrebbero confinare all'invisibilità della fabbrica diffusa, ai cantieri deregolamentati, ai laboratori resi impermeabili alla sindacalizzazione e all'autorganizzazione operaia, viene alla luce e materializza lo spettro che accompagna l'immensa produzione di ricchezza in Occidente. Non c'è ricchezza senza lavoro, vale la pena di ribadire con una dose minima di contravveleno materialista rispetto agli incantamenti del postfordismo, né lavoro senza cooperazione e soggettività operaia. Nelle piazze di Genova, e dopo di allora in innumerevoli altre situazioni, contro la guerra, contro la controriforma confindustriale della scuola, contro un DDL in tema di immigrazione le cui coloriture razziste ed anticostituzionali paiono del tutto funzionali a produrre la ricattabilità e la precarizzazione del lavoro migrante, a scardinare i regimi di Welfare, a porre in competizione lavoratori italiani e stranieri drogando il mercato del lavoro, ci siamo mobilitati assieme e assieme abbiamo preso la parola per contestare la continuità di iniziative di governo, quelle liberiste, il cui unico obiettivo è quello di clandestinizzare il lavoro, dividerlo, privarlo di diritti, svuotarne la rilevanza sociale. "Siamo tutti clandestini", amiamo ripetere. Non perché ci piaccia questa condizione. O per sano istinto di solidarietà fraterna con chi tutti i giorni vive sulla propria pelle la "zona rossa" che per breve tempo abbiamo assaggiato a Genova. Con le donne e i bambini contro i quali vengono armate le cannoniere della Marina. Ma perché se clandestini ci vogliono, invisibili per titolarità di diritti, possibilità di avere spazi, case e un futuro decente, allora della clandestinità facciamo necessariamente orizzonte cooperativo e comune con le moltitudini del lavoro migrante. Un passaggio decisivo si è realizzato tra Genova e Roma, tra luglio e gennaio. I docili corpi al lavoro sognati dagli industriali veneti e dai padroncini del Nord Est, le braccia "intermittenti" che si vorrebbe impiegare per la produzione di ricchezza e che dovrebbero poi riprendere i propri bagagli e "tornare a casa", si sono materializzati come soggetti. Come voci che rivendicano con forza spazi e diritti corrispondenti al valore che producono. E che prendono in contropiede le stesse istanze dell'assistenza, il solidarismo antirazzista. L'accoglienza viene rivendicata come diritto. Come diritto vengono rivendicati un salario adeguato, la casa, spazi di libera socializzazione che decretino la fine dell'invisibilità sociale dei migranti. La rivendicazione di uno sciopero generale del lavoro migrante comincia a farsi strada tra gli operai stranieri che lavorano alla Fincantieri, nella galassia delle piccole industrie del trevigiano e del bresciano, nelle concerie del vicentino. E' su queste note che tende ad accordarsi la mobilitazione che organizziamo a Verona. A Verona, città razzista e governata da un'amministrazione fascista che solo di codici securitari ha investito la questione di nomadi e migranti. Che da mesi risponde solo con gli sgomberi alle legittime istanze dei Sinti veronesi. Che seppellisce sotto una cappa di silenzio di piombo la morte per il freddo di lavoratori stranieri che, per quanto inseriti nel tessuto produttivo della città, sono costretti a dormire sotto i ponti. Che riconosce legittimità alle deliranti crociate antislamiche che vedono alleati integralisti cattolici, leghisti e nazisti di Forza Nuova e il cui più evidente risultato è solo quello di ribadire la rigidità delle frontiere che confinano preventivamente ad uno spazio di esteriorità e di deroga tutto il lavoro migrante, perfettamente funzionale a garantire i tassi del suo sfruttamento. Una città i cui padroni costruiscono la propria ricchezza sulle speculazioni edilizie a Veronetta, affittando posti letto in nero, riempiendo i propri garages di lavoratori stranieri che ripagano in contanti il disprezzo del quale poi vengono pubblicamente investiti dai loro padroni di casa. Ciò che rivendichiamo è il diritto alla stabilità e al futuro. L'apertura di una trattativa che imponga all'amministrazione di questa città - e oltre di essa, alla Regione Veneto - di confrontarsi con la soggettività del lavoro migrante, riconoscendone pienamente i diritti di cittadinanza. Vogliamo che la voce dei migranti, le nostre istanze, vengano ascoltate nel ridefinire le politiche urbanistiche ed abitative dei quartieri di Verona. Che il Comune si faccia carico dell'impossibilità attuale per gli stranieri di trovare casa in città. Che vengano modificate le regole per le graduatorie e gli accessi alle case popolari. Che venga attuata una politica di forte pressione sulle agenzie che, fatte salve le forme, comunque non affittano ai lavoratori e alle famiglie straniere. Che il Comune garantisca spazi pubblici per le associazioni e per le attività culturali di cittadini italiani e stranieri. Vogliamo che venga aperta una larga trattativa sui bisogni del quartiere di Veronetta e di tutti i suoi abitanti in merito alla riqualificazione dell'area dell'ex Caserma Passalacqua. Rivendichiamo l'apertura di un tavolo di trattativa con l'Amministrazione comunale sulla politica degli spazi, sull'edilizia popolare, sulle politica di accoglienza, cui siedano, come pari tra pari, i cittadini stranieri che vivono e lavorano a Verona. E rilanciamo, sul più lungo periodo, la lotta per il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri alle elezioni amministrative. Ci mobilitiamo perché il lavoro ottenga visibilità e cittadinanza. Perché non sia semplicemente preteso dai padroncini furenti con il ritardo con cui il governo, ossessionato dai propri fantasmi securitari ed ostaggio del razzismo della Lega, sta decretando i flussi annuali di ingresso. Se del lavoro migrante c'è bisogno, il lavoro migrante pretende di essere riconosciuto come portatore di legittime richieste e di rivendicazioni in proprio. Ci mobilitiamo per il diritto alla casa, per il diritto ad un salario adeguato, per la difesa dei diritti del lavoro e della scuola pubblica, per il diritto di voto per tutti i cittadini residenti nel territorio, per il diritto ad un futuro decente. Vale per i migranti. Vale per studenti, precari, lavoratori. Coordinamento Antirazzista Cesar K - Verona Comunità dei Migranti - Verona
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