(Fwd) Schiavi in Europa



Da Guerre & Pace
N. 86 - Febbraio 2002
http://www.mercatiesplosivi.com/guerrepace/gepso.htm

IMMIGRAZIONE
Schiavi in Europa
di Nicola Coccìa

Il disegno di legge Bossi-Fini non diverge molto dalle proposte di 
direttiva europee: contingentare i flussi, rendere lo straniero 
ricattabile e legato come uno schiavo alla sua precarietà di 
immigrato, destrutturando così l'intero mercato del lavoro 

È attualmente all'esame della Commissione affari costituzionali del 
Senato il disegno governativo n° 795 (cosiddetto Bossi-Fini) di 
riforma del Testo Unico delle disposizioni sull'immigrazione. Ove 
approvato, modificherebbe sensibilmente in peggio la già pessima 
legge vigente Turco-Napolitano, caratterizzandosi per la 
sostanziale riduzione del complesso fenomeno sociale 
dell'immigrazione alla dimensione dell'ordine pubblico e per 
l'ulteriore compressione delle condizioni dell'immigrato, già ridotto a 
mero fattore della produzione, da sfruttare il massimo possibile al 
minor costo.

NEL QUADRO DI SCHENGEN
L'evidente inasprimento della politica di chiusura (l'obiettivo non 
troppo nascosto è l'"immigrazione regolare zero") non costituisce 
però un'anomalia italiana, iscrivendosi a pieno titolo nella normativa 
europea in corso di preparazione, applicativa dell'accordo di 
Schengen. 
Propio mentre l'Onu pubblicava studi demografici in base ai quali - 
per mantenere inalterati l'equilibrio fra popolazione attiva e inattiva e 
la capacità produttiva - l'Europa dovrebbe consentire milioni di 
ingressi (160 entro il 2050, di cui 17 in Italia, per circa 350.000 
nuovi ingressi all'anno, contro gli attuali 60/80.000 in gran parte a 
termine), il vertice dell'Ue, riunito a Tampere a fine 1999, tracciava 
una politica assolutamente restrittiva, trasfusa oggi in una serie di 
proposte di direttiva le cui regole, in fondo, non divergono molto da 
quelle del disegno Bossi-Fini.

CONTINGENTAMENTO DEI FLUSSI
Così, tanto per fare qualche esempio, nell'ambito del comune 
orizzonte del contingentamento dei flussi (proprio la proposta della 
commissione n° 386/2001 di direttiva del Consiglio consente agli 
Stati membri di imporre tetti massimi per gli ingressi e di 
sospendere il rilascio di permessi), il modello pressoché unico di 
ingresso legittimo previsto dal progetto Bossi-Fini, che vincola la 
possibilità di ottenere il permesso di soggiorno alla previa 
stipulazione dall'estero di un contratto di lavoro con domanda 
presentata tramite le rappresentanze consolari, è il "normale" 
meccanismo di ingresso previsto dalla proposta di direttiva 
comunitaria sopra citata (art. 5). 
Tale proposta considera solo "eventuale" la possibilità per gli Stati 
membri di stabilire ulteriori ipotesi di ottenimento del (o conversione 
in) permesso di soggiorno per lavoro per chi, entrato per turismo, 
studio o ricerca di lavoro, abbia effettivamente trovato un impiego.
Nessuna sostanziale discrepanza nemmeno in materia di durata 
del permesso di soggiorno: la durata massima prevista dal progetto 
Bossi-Fini (2 anni, come nella vigente legge Turco-Napolitano) si 
colloca all'interno della previsione comunitaria la quale, senza 
fissare una durata minima, stabilisce che il permesso possa 
essere concesso per un "periodo iniziale non superiore a 3 anni".

IL "CONTRATTO DI SOGGIORNO"
Quanto al vincolo sempre più stretto che lega la permanenza dello 
straniero al mantenimento del posto di lavoro (con l'evidente effetto 
di costringere gli immigrati ad accettare qualsiasi forma di lavoro a 
qualsiasi condizione, purché possa servire, seppure nel breve 
periodo, ad evitare l'espulsione), l'introduzione del "contratto di 
soggiorno" del progetto Bossi-Fini trova riscontro nella proposta di 
direttiva europea, che prevede l'accorpamento in un unico atto 
amministrativo del permesso di lavoro e di soggiorno.
Inoltre, il progetto governativo dimezza rispetto ad oggi (da un anno 
a 6 mesi) il periodo massimo di disoccupazione, trascorso il quale 
si fuoriesce, se non dall'Italia, dalla regolarità (determinando un 
aumento della clandestinità cosiddetta "di ritorno" anche per 
lavoratori regolarmente presenti in Italia da lungo tempo, magari 
con famiglia). Ma la proposta di direttiva non prevede condizioni 
migliori: il periodo massimo di disoccupazione, trascorso il quale 
scatta la revoca del permesso di soggiorno, è di 3 mesi per quanti 
abbiano lavorato regolarmente meno di 2 anni e di 6 mesi per 
coloro che abbiano lavorato più a lungo (art. 10). 

LA NUOVA SCHIAVITÙ
E ancora: l'attribuzione di un diritto di preferenza ai lavoratori italiani 
(o meglio, comunitari) è in sintonia con la proposta di direttiva, che 
sancisce espressamente il principio secondo cui "un posto di 
lavoro può essere occupato da un lavoratore extracomunitario 
soltanto dopo un'attenta valutazione del mercato interno", quindi 
solo "se il posto non può essere occupato da un cittadino dell'Ue" 
(art. 6).
Come corollario la proposta di direttiva (scavalcando di molto Bossi 
e Fini) vincola lo straniero allo svolgimento dell'attività per la quale 
gli è stato consentito l'ingresso, consentendo agli Stati membri di 
limitare il permesso "allo svolgimento di attività di lavoro 
subordinato in una regione specifica" (art. 8) e comunque 
prevedendo che ogni variazione debba essere comunicata 
all'autorità competente e da questa autorizzata. In altre parole: 
poiché allo straniero è concesso di entrare solo se un lavoratore 
comunitario non può o non vuole occupare uno specifico posto di 
lavoro, una volta entrato non gli è concesso di cambiare attività o 
zona ma è indissolubilmente legato al suo posto di lavoro, come lo 
schiavo ai remi della galea...

ATTACCO AL SISTEMA DEI DIRITTI
Certo nella prosa del legislatore europeo non ci sono tutti gli 
eccessi dettati dal furore xenofobo della destra italiana. Si pensi 
alla previsione nel disegno Bossi-Fini di generalizzare l'espulsione 
per gli irregolari con sommaria procedura amministrativa, da 
eseguirsi con immediato accompagnamento alla frontiera (previo 
internamento nei centri di permanenza), in violazione palese 
dell'art.13 della Costituzione che riserva agli atti motivati 
dell'autorità giudiziaria ogni misura limitativa della libertà personale, 
secondo quanto già espressamente affermato dalla Corte 
costituzionale con sentenza n° 105/2001.
Ma l'Europa è ben disposta a rimodellare verso il basso l'intero 
sistema dei diritti civili e umani: basti pensare all'istituzione dei 
"campi" e alla creazione di un diritto speciale per stranieri, che 
possono essere sottoposti a misure privative della libertà senza 
aver commesso alcun fatto penalmente rilevante. Ciò non 
costituisce certo un'anomalia italiana: l'arresto/detenzione di una 
persona contro cui è in corso un procedimento di espulsione è 
infatti espressamente previsto sin dall'art. 5 della Convenzione 
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà 
fondamentali (sic) del 1950.

LO STRANIERO È IL NUOVO NEMICO
Il fatto è che in Italia come in Europa lo straniero è considerato 
potenzialmente un nemico, mentre l'immigrazione è trattata come 
un fenomeno composto da una pluralità di scelte individuali di fuga 
dalla povertà, assumendo un punto di vista che prescinde del tutto 
dall'analisi delle cause sociali ed economiche del fenomeno.
Si nega così - con una mistificante costruzione ideologica - 
l'evidente incidenza sui flussi migratori delle politiche economiche 
occidentali: allargamento dei mercati, politiche ultraliberiste e di 
riduzione della spesa sociale imposte dal Fmi e dalla Banca 
mondiale, industrializzazione, trasformazione dell'agricoltura. Per 
non parlare delle guerre e delle politiche di impoverimento e 
saccheggio delle risorse naturali dei paesi del Sud del mondo (che 
costituiscono l'altra faccia del rapporto Nord/Sud).
Il circolo diventa così vizioso: con la guerra e la neocolonizzazione 
si alimentano le cause dell'emigrazione, che si cerca di tenere 
sotto controllo essenzialmente con lo strumento poliziesco e 
quindi con un'altra guerra a bassa intensità, ma non per questo 
meno cruenta (l'accordo sul Nuovo concetto strategico Nato 
sottoscritto dai governi dell'alleanza nel 1999 inserisce fra i rischi 
incombenti per la "stabilità euro-atlantica" proprio i "movimenti 
incontrollati di un gran numero di persone, in particolare come 
conseguenza dei conflitti armati").

SPINTI ALLA CLANDESTINITÀ
In fondo, la ricetta poliziesca proposta per controllare i flussi è 
sempre la stessa e produce soprattutto clandestinità. Se da un 
lato muraglioni e controlli elettronici non fermano l'immigrazione - 
come dimostra la frontiera fra Usa e Messico -, dall'altro il 
meccanismo di ingresso previa chiamata nominativa dall'estero da 
parte del datore di lavoro era già previsto in Italia prima del 1998 e 
ha fatto sì che quasi il 50% degli stranieri oggi regolarmente 
soggiornanti lo siano esclusivamente grazie alle varie sanatorie 
(quasi un milione di stranieri regolarizzati fra il 1987, il 1990, il 1995 
e il 1998), essendo pertanto entrati nel territorio dello stato 
irregolarmente. Se si tiene conto che un altro 25% circa degli 
ingressi è dovuto ai ricongiungimenti familiari, si deduce che la 
percentuale degli ingressi regolari per lavoro subordinato è 
trascurabile (dati Istat).
Si vuole quindi, più o meno consapevolmente, mantenere (se 
possibile, accentuare) un sistema bloccato, in cui alla sostanziale 
impossibilità di entrare regolarmente non può che corrispondere un 
incremento degli ingressi clandestini, con ciò che comporta in 
termini di costi per i migranti, marginalizzazione, spinta verso la 
criminalità ecc. - proprio il fenomeno che demagogicamente si dice 
di voler combattere. Questo, in realtà, perché la presenza di un alto 
numero di clandestini costituisce e rinnova continuamente un vero 
esercito industriale di riserva composto da soggetti "flessibili" per 
eccellenza, in quanto "non-esistenti", e così indispensabili a 
questa economia per la loro ricattabilità.

LAVORATORI SOTTO RICATTO
Allo stesso modo, quanto più stretto sarà il legame fra permesso di 
soggiorno e contratto di lavoro, tanto meno potere contrattuale avrà 
anche il lavoratore straniero regolare, che in caso di perdita del 
posto di lavoro rischia di essere licenziato... dall'Italia. 
La diffusione di valori xenofobi, la tolleranza zero, la rassicurazione 
dell'elettorato attraverso la riduzione del numero e della durata dei 
soggiorni e la (inattuabile) espulsione generalizzata e immediata, 
servono quindi soprattutto a creare e mantenere in condizioni di 
invisibilità un amplissimo bacino di manodopera a bassissimo 
costo, che, per di più, non ha alcuna possibilità di associazione o 
anche solo rivendicazione dei diritti minimi (casa, istruzione, lavoro, 
sanità).
E non solo: tenendo ai margini della società centinaia di migliaia di 
stranieri si rende ancora più flessibile e si destruttura l'intero 
mercato del lavoro, abbassando anche il potere di contrattazione 
dei lavoratori italiani, poiché la concorrenza inter-nazionale fra 
lavoratori serve solo a ridurre i salari e, più in generale, le 
condizioni di vita e di lavoro.
Non è solo un problema da affrontare in nome della solidarietà 
quindi, poiché la difesa dei diritti dei migranti è elemento centrale e 
ineludibile per combattere la logica del sistema economico 
liberista.